-14 e la formazione anti-Atletico è nell’aria

Meno quattordici. Due settimane. Sarà di martedì. Che giorno inutile il martedì. Seriamente, ve lo immaginate un ribaltone di martedì? Cosa è mai successo nella mia vita di martedì? Già il giovedì è diverso per me, perché ci sono nato. Poi il giovedì, quando non sono a Milano, faccio il Top Match in tv. L’analisi, o meglio la rianalisi, la psicanalisi delle partite della Juventus. Il movimento, il sovraccarico, la ricezione, la zona di rifinitura… sono sovrappensieri, ma anche il momento in cui trovare spiegazioni a fatti calcistici già accaduti. Qui sul web è tutta un’altra cosa, i proclami restano, te li rinfacciano. Su internet e sui social le persone hanno una memoria che sarebbero mariti, mogli, segretari perfetti. Sovrumani che fanno sentire quanto tu sia umano. Chissà se capita anche a Massimiliano Allegri, o ai calciatori, chissà con quanti profili fantasma ci seguono, ci leggono, se la ridono salvo poi voler spaccare il cellulare.

Ne basterebbe uno, uno tra loro, che soltanto a leggere la formazione che fareste per sentire il profumo dell’impresa senza precedenti (un ritorno con tre gol di scarto in rimonta mai, una finale europea con tre gol di scarto mai, i rigori per andare avanti mai, mentre ai supplementari lego ricordi di ogni genere dai più maledetti ai più esplosivi) sono certo direbbe la sua. Perché ognuno ce l’ha lì, con gli inamovibili e con la mossa fantasma, chi per Spinazzola e chi per Emre Can. Perché Bologna – comunque fosse andata – avrebbe consentito a tutti di voltare pagina, senza più troppi mugugni per Madrid, ma con in testa soltanto l’Atletico. E’ forse l’unico degli aspetti che mette sullo stesso livello giocatori e tifosi in situazioni come questa.

Chi incorpora il calcio dentro i bioritmi della propria vita non può non crederci. E’ uno scatto in avanti istintivo. Vale anche per chi sbraita. “Troppo amore, troppa passione” si è scusato via sms Enzo da casa che è intervenuto in diretta. E’ la Juve, diamine. Poi ognuno ha il suo carattere. Ognuno ce l’ha lì, la sua formazione. Quella che la fortuna è un dettaglio in più, ma è evidente che ce la si possa fare soltanto così. Anche Allegri che fa tanto il grillo ce la deve avere. Io ho Szczesny, tu hai Szczesny, egli ha Szczesny. Anzi neppure più ricordiamo di avere un portiere. E magari ci si inginocchierà ringraziando proprio lui. Tra quattordici giorni – qualcosa come trecento e qualcosa ore – guarda caso la durata del corso di abilitazione per estetisti. Per prima cosa, in questo nuovo giorno di riposo per la squadra, facciamoci belli. Tanto Cristiano Ronaldo in campo ce lo mettiamo.

Luca Momblano

Pensandoci bene: noi sappiamo come si fa

Ci siamo abituati, diciamoci la verità. Fra 2016, 2018 e quest’anno, raggiungeremo le nove settimane circa di angoscia legata a risultati deludenti, che – se non chiudono totalmente la porta del passaggio del turno – lasciano solo quel tipo di consapevolezze negative, della serie “avremmo potuto, avremmo dovuto, eccetera eccetera”.

Il problema è che nel calcio, come nella vita, non puoi tornare indietro, premere il tasto rewind e correggere gli errori fatti; no, conta l’adesso, l’oggi, il qui e subito, e devi essere in grado di fare del tuo meglio per ottenere il meglio che ha da offrirti la situazione che ti si è parata davanti. “Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai” si ripete il buon Santiago, alle prese con gli squali che divorano la carcassa del marlin appena pescato; e questo è ciò che, ormai, siamo abituati a dover fare quando sentiamo quell’arrangiamento in chiave post-moderna di Zadok The Priest di Handel.

Non so esattamente quello che dovremmo fare sul rettangolo di gioco, quale modulo adottare, chi schierare, dove e perché e come tutto questo possa influenzare le nostre possibilità di passare il turno. Con un pizzico di demagogia calcistica, azzardo a dire che tutto ciò conta poco, conta relativamente: se il calcio fosse una scienza esatta, basata solo su valori assoluti dei giocatori e sul loro ottimale posizionamento in campo, con moduli che possano far rendere al massimo e schemi che esaltino singolarmente le capacità, giocato in ambienti asettici e privi di possibilità di influenzare le forze (raddoppiando le energie per i padroni di casa o intimidendo avversari e direttori di gara), non avrei avuto dubbi: Atletico – Juve 0 – 4, sempre, comunque e dovunque.

Il calcio per fortuna (altrimenti non avrebbe il seguito che ha), non è una scienza esatta; è un gioco con una palla che rotola ed 11 che provano coi piedi a spedirla nella porta difesa dagli altri 11, e viceversa. Il fatto che non siamo riusciti a mettere quel dannato pallone in porta, pur schierando il miglior realizzatore dai tempi di Pelé, è forse l’unico vero rammarico che si può avere; giocare sui 180’ vuol dire gestire i 180’, di cui 90’ in casa dell’Atletico, con ciò che ne consegue in termini di “Cholismo”, e può voler dire mettere in conto anche la sconfitta. È nell’ordine delle cose, è anche accettabile (a meno che qualcuno non pensasse di poter andare al Wanda e dettare legge), ma segnare sarebbe stato fondamentale per facilitarsi il lavoro al ritorno.

E’ quello che ha pensato Allegri, se non altro perché è in tal senso che ci ha abituati: se andata – ritorno si giocano sui 180’, è sui 180’ che bisogna ragionare. Per cui con un Barcellona a Torino che schiera un terzino non esattamente al top della forma, puoi permetterti di spingere di più, mettere in saccoccia il risultato e schierare il pullman davanti a Buffon al Camp Nou; con un Dortmund non impossibile può andar bene un pareggio in casa, per andare poi in Germania a spaccare la gara da subito; con un Porto fuori casa puoi permetterti lo 0-2, vista l’ampia differenza di valori; così come col Monaco, ecc. ecc. Tutti precedenti positivi dove però ciò che poteva andare per il verso giusto è andato per il verso giusto: come col Real, quando a Torino vincemmo, e al Bernabeu resistemmo. Perché non puoi vincerle tutte a prescindere: in UCL passi e vinci soprattutto se sai soffrire. E di questo siamo maestri, modestamente.

Sappiamo come si fa. Sappiamo com’è rimontare, leggasi Monaco di Baviera 2016 e Madrid 2018. Se c’è una cosa di cui possiamo essere sicuri, è proprio questa: la nostra squadra non solo sa reagire, sa rimontare, sa mettere alle corde l’avversario e mettere sul prato la grinta necessaria a prevalere su chi ci ha sopraffatto. E se c’è un’altra cosa di cui possiamo essere sicuri, è che questa squadra è in grado di imparare dagli errori fatti e rimediare. Loro lo sanno, sanno cosa vuol dire accarezzare l’impresa, sfiorarla e poi perderla per un soffio, per una palla persa o una spinta di troppo.

Sanno come si fa, ci hanno provato e ci sono quasi riusciti; quello che noi, nelle prossime tre settimane scarse possiamo e dobbiamo fare (se non altro per riuscire a prendere sonno la notte, evitare problemi di stomaco e proseguire con le faccende quotidiane senza un pensiero fisso che ci accompagna le giornate), è provare ad avere fiducia in loro: nel mister, nella squadra, negli undici che scenderanno in campo e che proveranno a regalarci ancora un’emozione forte, vada come vada.

“È stupido non sperare, pensò. E credo che sia peccato”.

di Gianmarco Iaria