Sembra fatta, dopo poco più di venti minuti, con i gol di Bernardeschi e Higuain, che avevano premiato un dominio assoluto. A Bergamo però l’Atalanta è dura a morire e lo dimostra una volta di più, recuperando il doppio svantaggio e costringendo la Juve a un pareggio che lascia un bel po’ di amaro in bocca, visto come i bianconeri approcciano la gara prendendone subito il comando.
DOPPIO COLPO
Quando Allegri ribadisce in conferenza o nelle interviste che “si deve crescere”, vuole anche dire che si deve andare in stadi tosti, come l’Atleti Azzurri d’Italia, e piazzarsi nella metà campo dei padroni di casa con una personalità ai limiti della prosopopea. È esattamente quello che fa la Juve per mezz’ora tenendo in scacco l’ottima Atalanta e annichilendola con un giro palla rapido e preciso.
La personalità con cui gli uomini di Allegri prendono possesso del campo viene presto ripagata:al 21′ Asamoah se ne va sulla sinistra, appoggia a limite per Il sinistro di Matuidi e, sulla ribattuta di Berisha, Bernardeschi infila il suo primo gol da bianconero.L’ex viola, per festeggiare degnamente la sua prima da titolare, non si limita al gol, ma tre minuti dopo approfitta dello sbandamento dei bergamaschi e serve a Higuain il pallone del raddoppio, che il Pipita scaraventa sotto l’incrocio.
GIOCHI RIAPERTI
Visto il punteggio e la personalità con cui la Juve gestisce il gioco, la gara sembra già chiusa dopo mezz’ora e invece l’Atalanta rialza la testa e dopo una mezz’ora di assoluto dominio bianconero, riapre la partita: Gomez calcia dal limite una punizione rognosa, il pallone, rimbalza davanti a Buffon, complicando la presa e favorendo invece l’intervento di Caldara, che da due passi mette in rete il gol del 2-1.
TUTTO DA RIFARE
Con il punteggio ancora in bilico, la Juve non può semplicemente gestire la partita e inizia la ripresa attaccando come se si fosse sullo 0-0 e, dopo una manciata di minuti, potrebbe anche chiudere il discorso, ma il gol di Mandzukic, che incorna perfettamente il traversone di Dybala, viene annullato dopo l’intervento del VAR, che rileva un fallo di Lichtsteiner durante lo sviluppo dell’azione.
I bergamaschi non solo tirano un sospiro di sollievo, ma anzi trovano coraggio e sfruttano al meglio una delle poche occasioni concessa dalla difesa bianconera: Gomez si libera sulla sinistra e pesca l’inserimento di Cristante, che incorna in piena corsa e piazza alle spalle di Buffon il gol del pareggio.
MATCH POINT FALLITO
La Juve ritrova la rabbia per riportare il risultato dalla sua parte e dopo una punizione di Dybala, respinta con il braccio da Petagna, Damato concede il rigore, confermato anche dal VAR, ma lo stesso Dybala calcia debolmente e permette a Berisha di respingere. E quando si fallisce un’occasione del genere, a pochi minuti dalla fine, significa che la partita è segnata. E il risultato pure.
ATALANTA-JUVENTUS- 2-2
RETI: Bernardeschi 21′ pt, Higuain 24′ pt, Caldara 31′ pt, Cristante 22′ st
ATALANTA
Berisha; Masiello, Caldara, Palomino; Hateboer, Cristante (43′ st De Roon), Freuler, Spinazzola, Kurtic (16′ st Petagna); Cornelius (32′ pt Ilicic), Gomez
A disposizione: Gollini, Rossi, Bastoni, Mancini, Castagne, Haas, Orsolini, Gosens, Vido
Allenatore: Gasperini
JUVENTUS
Buffon; Lichtsteiner (21′ st Barzagli), Benatia, Chiellini, Asamoah; Bentancur, Matuidi; Bernadeschi (24′ st Cuadrado), Dybala, Mandzukic (33′ Douglas Costa); Higuain
A disposizione: Szczesny, Pinsoglio, Rugani, Sturaro, Alex Sandro, Caligara
Allenatore: Allegri
ARBITRO: Damato
ASSISITENTI: Valeriani, Marrazzo
QUARTO UFFICIALE: Nasca
VAR: Orsato, Ghersini
AMMONITI: 13′ st Lichtsteiner, 19′ st Gomez, 35′ st Palomino, 37′ st Petagna
Atalanta-Juve 2-2: chi ci ha capito qualcosa è bravo
Atalanta-Juve per il cronista è una squadra che butta via due punti, perché ogni partita ha un suo percorso che ne condiziona la morale.
Per il tifoso dello stadio, frastornato dai gol che non sono gol e dai rigori che non sono rigori, è una Juve dalle emozioni forti, praticamente di ogni genere.
Per il tifoso della poltrona, il peggior fastidio è passare dalla posa da pascià (una mano sulla pancia e l’altra sul bicchiere) alla posa da guida nel traffico quando si lotta per non arrivare tardi a lavoro.
Per il tifoso di puro campo, in attesa delle grafiche e delle statistiche sulle quali proseguire il discorso, tutto sta nel ragionamento da finale dei mondiali, primordiale e apparentemente ineccepibile: il portiere deve parare (anche l’altro, però), il rigore è da segnare (purtroppo l’altro, questo, lo para).
Per il tifoso dei social, che li usa con assiduità da quando la Juve vince, ci sarà ancora più gusto contro il Napoli dei record e dei complimenti.
Per me, e non necessariamente per Juventibus, è una partita che lascia un punto e poco altro. Perché sono umano, fallibile, chiamato a stare a metà tra il primo capoverso e il primo ottobre di una stagione che non è riuscita ancora a dirci granché. Non posso essere me stesso, perché nel calcio la digestione di un match porta a cambiare mille volte i contorni del giudizio prima ancora che si arrivi alla partita successiva: non posso pensare ai singoli, al concetto di 2-0 partita vinta, al vecchio adagio di chi su un campo ci è stato a proposito di quanto pesi un gol annullato a esultanza completata. Non posso pensare a dove l’Atalanta trovi da un anno e mezzo tutte queste energie, a quanto stiamo chiedendo a Bentancur, a Bernardeschi di cui non resterà niente con annessa prima lezione di Juve per l’unico uomo in rosa, insieme a Pjanic, ad aver l’assist incorporato nel piede.
Non posso pensare neppure alla VAR, ma qui il problema è più profondo e viene da lontano: la mia estrazione mi ha portato a trattare gli arbitri come oggetti inanimati, permettendomi di non dover mai dar conto a qualcosa che non fosse uno sport più forte di tutto e tutti.
Nel frattempo il mondo è cambiato, io sono cambiato, il mio uditorio è cambiato. Quindi ci riprovo. E alla VAR non posso proprio ancora pensare già solo perché in tre mesi nessuno me l’è riuscita a spiegare. Solo un pochino Allegri nel dopopartita: lui arriva al dunque, cioè arriva a dove arriveremo, ha questa innata capacità di colorare un arcobaleno con una bic. Lo faccia anche con questa Juve: i fogli sui quali scrivere non mancano…
Luca Momblano.
Atalanta-Juve 2-2: dal dominio alla spirale dei gol fuori casa
Occasione sprecata per la Vecchia Signora in casa dell’Atalanta, sopra di due gol, la squadra di mister Allegri si fa rimontare una partita assolutamente dominata sino al momento del secondo gol siglato da Higuain: episodio che forse ha alleggerito troppo l’attenzione della squadra che nel finale è stata tradita anche da Dybala, dopo la papera di Buffon in occasione dell’1-2, reo di aver calciato male un penalty concesso a qualche istante dalla fine.
Prima mezz’ora di gioco di alta qualità dei bianconeri, fraseggi veloci, buon giro palla, una grande occasione sprecata da Higuain sullo 0-0, poi un uno-due micidiale firmato da Bernardeschi ed Higuain, con l’ex Fiorentina protagonista anche con l’assist per il compagno. Il fiacco intervento di Buffon su Gomez cambia anche l’umore dei bergamaschi, forse è proprio qui che scappa via il match: a parte qualche rara occasione casuale, ci si riaffaccia poco e male dalle parti di Berisha. Il 2-2 è un concorso di colpe di chi lascia troppo spazio a Gomez, chi non segue Cristante, chi lo fa saltare liberamente in mezzo all’area, e poi si arriva all’ultimo istante quando per una volta Dybala non fa ciò che gli è riuscito meglio in questa prima parte di stagione, ed allora si perdono punti importanti.
Raggiunti dall’Inter, il Napoli ci lascia dietro, serve registrare qualcosa in fretta perché la differenza di gol subiti fra casa e trasferta vorrà dire sicuramente qualcosa.
Fabio Giambò.
Questione di (de)merito. O, forse, no…
Dice: «Non puoi pretenderle di vincerle tutte». Giusto. Ribadisce: «In condizioni normali avresti anche firmato per un pareggio». Forzato, ma ci sta. Sottolinea: «Questi sono forti forti». Vero. Conclude: «E bisogna dare i giusti meriti all’Atalanta». Verissimo. Però sarebbe anche lecito chiederti, dopo che a Bergamo hai scherzato per la prima mezz’ora contro una delle realtà più solide del campionato, dove comincino detti meriti e dove, invece, comincino i demeriti tuoi. Soprattutto quando ti tocca raccontare, per l’ennesima volta (già perché qualche campanello d’allarme era risuonato anche quando avevi i tre punti a confortarti: Sassuolo e Fiorentina docet), una squadra, nettamente superiore al resto della concorrenza, diretta e indiretta, che al primo gol subito sconnette. Senza ragione, senza motivo, senza spiegazione, tecnica o tattica che sia.
La Juventus che esce con un punto in più (e due in meno) dall’Atleti Azzurri d’Italia è riuscita nella non facile impresa di disputare la migliore e la peggiore partita stagionale: la migliore se si guarda alla prestazione globalmente considerata (almeno i primi trenta minuti), la peggiore se si considera come, dopo il regalo di Buffon (che fa il paio con quello di Berisha), la tenuta mentale, un tempo primo punto di forza, sia venuta clamorosamente meno. Il pari, meritato, dei nerazzurri, nasce già nell’ultimo quarto d’ora del primo tempo (dove già Kurtic perdona incredibilmente una mancata copertura di Lichtsteiner) quando, di colpo, errori di misura, di concetto, di interpretazione del singolo gesto tecnico, prendono il posto di tutto il buono e il bello mostrato prima.
Quelli bravi direbbero “come Penelope che disfa la tela”. Noi, molto più sommessamente, diciamo “come la Juventus che imita se stessa” nel suo ripetuto smarrirsi nelle pieghe mentali, prima che fisiche o tecniche, delle partite in cui l’episodio (o gli episodi) ti gira male e ti scompagina momentaneamente l’ottimo piano gara, alla ricerca di quella gestione a ogni costo che tante volte è una risorsa ma che, ogni tanto, può anche trasformarsi in un limite. Il resto, compresi il VAR, Damato e Dybala che sbaglia tutto quello che c’è da sbagliare, rigore compreso (può capitare anche a lui), forse addirittura il risultato, è solo un dettaglio, anzi la naturale conseguenza di qualcosa di più grande e che non abbiamo imparato a conoscere, capire e gestire. Quando e se accadrà, l’ordine naturale delle cose e della classifica verrà ristabilito. Ma, fino ad allora, permetteteci che ci girino, e di brutto, per aver pareggiato così una partita che si era messa colì. Pur riconoscendo tutti i meriti del mondo all’Atalanta e Gasperini.
Claudio Pellecchia.
7a Serie A: Atalanta-Juventus 2-2
di Davide Terruzzi
La Juventus pareggia a Bergamo al termina di una gara fortemente episodica e ricca di errori individuali decisivi.
La Juventus chiude il primo ciclo ravvicinato di partite con una delle trasferte più ostiche del campionato: l’Atalanta di Gasperini è squadra in salute, è reduce da un ottimo pari a Lione che permette agli orobici di pensare concretamente al passaggio di turno, fortemente organizzata e con un’identità nettamente delineata. L’impegno di giovedì non comporta un uso abbondante del turnover da parte del tecnico nerazzurro che effettua pochissimi cambi, appena 2, rispetto agli undici iniziali schierati in Francia; Gasperini schiera la sua Atalanta col consueto 3-4-3 di partenza con Berisha tra i pali, Masiello-Caldara-Palomino in difesa, Hateboer-Cristante-Freuler-Spinazzola a centrocampo, Kurtić-Cornelius-Gomez compongono il trio d’attacco. Allegri, invece, grazie a una rosa più profonda e qualitativa, nonostante le numerose assenze, opta per qualche modifica: la Juventus è in campo col 4-2-3-1 d’ordinanza, Buffon tra i pali, davanti a lui Lichtsteiner-Benatia-Chiellini-Asamoah, Bentancur-Matuidi in mediana, Bernardeschi-Dybala-Mandžukić dietro a Higuain.
I ritmi della partita sono immediatamente elevati grazie al pressing aggressivo d’entrambe le formazioni. Il sistema di pressione collettiva organizzato da Gasperini prevede un rigido sistema in cui sono gli uomini, e non la palla e il compagno di reparto, i principali riferimenti: queste marcature aggressive sugli avversari sono a tutto campo, puntano a impedire giocate tranquille pur correndo il rischio di perdere la forma difensiva. L’allenatore nerazzurro intende sempre avere un uomo in più dietro, libero da marcature dirette, chiamato a scalare per coprire i compagni saltati; questo ovviamente comporta la scelta di lasciare un difensore avversario libero d’impostare.
I due centrocampisti della Juve marcati da quelli dell’Atalanta. Dybala seguito a uomo. Chiellini lasciato libero.
Per i primi quindici minuti la coppia centrale bianconera è libera d’impostare, una scelta che permette alla Juventus di prendere agevolmente campo, schiacciando l’Atalanta nella propria trequarti difensiva azionando il contropressing juventino.. Anche i bianconeri sono estremamente aggressivi portando una pressione collettiva sul portatore di palla e sugli appoggi più vicini: il sistema d’Allegri non prevede marcature fisse sugli uomini, ma un meccanismo in cui i riferimenti per la pressione sono gli avversari e i compagni di reparto.
Il pressing è studiato sulle caratteristiche di gioco dell’Atalanta: Gasperini, in fase di possesso, chiede la continua creazione e destrutturazione di rombi sulle catene laterali, quadrilateri formati da un difensore centrale esterno-centrocampista centrale-esterno basso – esterno alto in cui i componenti passandosi la palla si scambiano le posizioni creando varchi e attaccando la profondità. Il centro del campo viene completamente svuotato, utilizzato solamente per cambiare lato d’attacco, cercando di muovere il fronte per trovare spazi sulla fascia opposta. La Juventus s’oppone a questa organizzazione portando densità sul lato forte, ponendo attenzione a unire aggressività a copertura razionale del campo.
L’Atalanta forma il suo rombo, la Juventus fa densità attorno al pallone chiudendo gli appoggi.
È una Juventus che prova, riuscendoci per i primi 30 minuti, a giocare in maniera diversa rispetto il finale della scorsa stagione, con un baricentro più alto, con i difensori più alti e aggressivi sugli avversari, una circolazione di palla maggiormente veloce, più sicura: la squadra di Allegri si muove offrendo più soluzioni al compagno col pallone, sfruttando le debolezze della formazione orobica. L’Atalanta non si batte sfidandola col gioco sulle fasce, ma con un predominio nella zona centrale del campo: questo significa far stringere dentro il campo i due esterni alti, aprire Matuidi sulla sinistra con Bentancur che resta faro centrale (un classico allegriano), cercare giocate in diagonale per le due punte e da lì entrare in area con combinazioni sullo stretto mettendo in mostra le qualità tecniche.
Il primo blocco di partita vedi i bianconeri nettamente in pieno controllo tattico e tecnico della partita, sebbene un correttivo apportato da Gasperini, cioè stringere maggiormente la posizione di Gomez, spostando Kurtić sulla sinistra, portando il pressing sui due difensori centrali in condizione di parità numerica lasciando come uomo libero Asamoah, ha avuto come effetto quello di rallentare e ostacolare con maggiore efficacia l’uscita del pallone. Così come il cambio Cornelius (letteralmente divorato da Benatia e Chiellini) per Iličič ha creato maggiore imprevedibilità offensiva, grazie alla capacità dello sloveno e dello stesso Gomez di posizionarsi tra le linee sfuggendo agevolmente alla marcatura dei due centrali.
Il pressing dell’Atalanta con le marcature a uomo, solo Asamoah lasciato libero.
La seconda micro partita inizia col gol di Caldara (oltre all’errore grossolano di Buffon, è da evidenziare l’assenza di protezione sul portiere con i due terzini che restano fermi e non attaccano la respinta) e termina con la fine del primo tempo: l’Atalanta alza i ritmi, è ancora più aggressiva, la Juventus continua a muovere bene il pallone, ma non riesce più ad avere il predominio della prima mezzora. È una micro partita nella quale i bianconeri colgono l’importanza di soffrire difendendo e sono particolarmente attenti in fase di non possesso; l’aumento della velocità e dell’intensità bergamasca però abbassa il baricentro bianconero con conseguenze sulla qualità delle giocate col pallone tra i piedi.
Il terzo blocco è dall’inizio del secondo tempo fino al gol annullato col Var di Mandžukić. Ed è una parte della partita in cui il copione non si discosta da come la prima frazione di gara era terminata: l’Atalanta è entrata forte in campo grazie a un’intensità senza palla notevole che non consente alla Juventus di mantenere il possesso per rallentare i ritmi, ma i bianconeri sono lucidi e dentro la partita, mostrando di saper attaccare la formazione orobica con le consuete combinazioni tra gli attaccanti sfruttando il centro del campo.
Come attaccare l’Atalanta.
Poi inizia un’altra partita. Il quarto blocco, che termina col gol del definitivo pari dell’Atalanta, è maggiormente caotico, nervoso: l’errore principale della Juventus è quello di essersi lasciata innervosire da un episodio, perdendo quella attenzione e tranquillità che avevano contraddistinto la prestazione dei bianconeri, mentre Gasperini ritorna al 3-4-3 classico con il centravanti puro, Petagna, al posti di Kurtić, chiedendo ai due esterni alti d uscire aggressivi sul centrale che riceve la palla. I palloni gestiti non perfettamente in uscita aumentano, come quello che innesca l’azione che porta alla rete di Cristante: gli uomini d’Allegri gestiscono malamente l’avvio di manovra, Bernardeschi perde pallone, si perdono le misure e le distanze tra i compagni di reparto, l’aggressività non è elevata, non s’assorbe l’inserimento del centrocampista.
L’intera sequenza. L’Atalanta pressa alto, Bernardeschi non protegge il pallone, sugli sviluppi la Juventus perde compattezza ed e poco aggressiva: Matuidi accorcia sull’uomo più vicino, Mandžukić non rientra velocemente (manca in area).
L’ultimo blocco di partita è ancora di più confusionario. L’Atalanta abbassa il baricentro, prova a colpire in contropiede, mentre i cambi d’Allegri non riescono a dare l’apporto sperato: Douglas Costa e Cuadrado nei piani del tecnico juventino dovrebbero portare imprevedibilità, saltare gli avversari diretti creando condizioni di superiorità e mettendo dei granelli all’interno del rigido meccanismo di marcature e scalate, ma l’aggressività dei difensori orobici sugli uomini è elevata e i giocatori bianconeri intasano eccessivamente il centro non riuscendo più a costruire azioni pulite. Il rigore sbagliato di Dybala chiude così la partita.
Quella tra Atalanta e Juventus è stata una partita molto intensa, fortemente episodica. Al netto degli errori arbitrali e del Var (di cui nelle analisi tattiche mai giustamente si parla, ma che fanno parte delle partite e condizionano le stesse), ci sono stati sbagli dei singoli che hanno condizionato la gara: l’intervento di Buffon sul primo gol (e la mancata copertura sul suo rinvio), il penalty di Dybala (poco aggressivo, ha sofferto la marcatura rigida), la poca attenzione sul gol del pari. Quelle con le formazioni di Gasperini sono partite in cui è assai improbabile riuscire a gestire il risultato col possesso: è possibile farlo quando le gare sono chiuse, come stava infatti facendo agevolmente la Juve sul 2-0, ma quando l’Atalanta è viva e sentea possibilità di centrare il risultato sono match molto intensi e duri. La prestazione bianconera è stata eccellente per 30 minuti, più che buona fino al gol di Mandžukić annullato; poi è stata eccessivamente caotica, poco lucida e nervosa. Gli episodi non hanno premiato, ma quello che lascia questa gara è il continuo tentativo da parte di Allegri di proporre un gioco in cui il baricentro della squadra è più alto, il possesso più elevato, veloce e razionale, la difesa posizionale usata sempre meno. L’Atalanta, fortunata nei singoli episodi, ha avuto il merito di crederci, dimostrando di essere in salute e con le solite idee chiare.