La selezione qui di seguito è, ovviamente, soggettiva dell’autore: si tratta di una graduatoria di 20 calciatori (non più in attività) che mai hanno vestito la maglia della Juventus. Il criterio però non è prettamente di gusto, anzi l’autore ha cercato di trascendere il classico limbo dei cosiddetti pallini personali. C’è sicuramente il suo vissuto a braccetto con il calcio nel corso dei decenni, ed è fondamentalmente questo elemento a rendere la scelta assolutamente personalizzata.
20. GIORGIO VENTURIN (ITA – 9 luglio 1968) era il calcio hipster prima che esistesse il termine hipster. Era il gregario che avrebbe fatto il gregario ovunque, perché gregari è un modo di essere. Basso profilo, a disposizione degli altri, soprattutto dell’allenatore. La storia della Juventus è intrisa di queste figure, inutile negarlo. Anzi è un vanto, anche se non il vanto numero uno. Magari il numero 23, come quello che ha vestito alla Lazio e all’Atletico Madrid. Milanese dell’hinterland, Venturin sarebbe stato il Pessotto del centrocampo. Misura, fosforo, piccole geometrie, letture. Un più che sufficiente vice-Deschamps. Uno di cui, inspiegabilmente, fidarsi e innamorarsi.
19. DAN PETRESCU (ROM – 22 dicembre 1967) fa parte della grande generazione di fine secolo scorso dei rumeni-giramondo. Soldini, fama e fame di calcio occidentale propria di una nazione mai così florida come negli esplosivi anni del dopo Ceausescu. Uno specialista, terzino destro, il quarto basso di oggi, in costante crescita fino al suo apice in barba all’attitudine “zingaresca” che lo contraddistingue oggi anche da allenatore. Sono le cinque stagioni in un Chelsea che lotta ancora per ritagliarsi un nuovo spazio nella storia della Premier. Meglio o peggio di Birindelli? Certamente meglio di Zenoni…
18. BRUNO GIORDANO (13 agosto 1956), romano, come soltanto Angelo Di Livio. L’uno avrebbe fatto le fortune dell’altro, ma le epoche sono diverse. Il centravanti laziale, con addosso la dura responsabilità del dopo Chinaglia in una società che si inabissava, seppe tenere botta. Qualità cristalline, repertorio, tecnica da mezzapunta come quando vinse tutto con la Primavera biancoceleste. Come e più di Paolo Rossi finisce nel nebuloso scandalo del calcioscommesse, si rifece grazie alle qualità indiscusse al genio di Maradona. Di Pablito sarebbe stato, in bianconero, un degno erede. Come i bomber dei vecchi tempi. Certamente più dei tentativi anni ’80 chiamati Galderisi, Rush, Pacione e l’ineffabile Renato Buso.
17. FREDRIK LJUNGBERG (SVE – 16 aprile 1977) prototipo del giocatore moderno, quando il calcio è già nella sua spirale moderna. Non avrebbe precorso i tempi, ma nel dopo Di Livio (e comunque Ljungberg era già più moderno del Soldatino) avrebbe detto la sua in bianconero. Temperamento, capacità di giocare su entrambe le fasce, acceleratore dinamico dell’azione palla al piede, perfino incursore. Chi legge può scegliere persino se immaginarlo primo cambio reale (con Mutu destinato eventualmente a giocarsela davanti) di Camoranesi e Nedved qualche anno più tardi, in quella Juventus fermata solo da un impronunciabile blackout politico-sportivo.
16. LORENZO MINOTTI (ITA – 8 febbraio 1967) l’intelligenza tattica, la leadership silenziosa, la fedeltà alla causa. Tutto in anni in cui il ruolo del battitore libero perde forma, anni in cui Minotti attraversa da protagonista “dimenticato” almeno tre generazioni di quel Parma delle Meraviglie al quale mancherà “soltanto” il titolo italiano. Di fronte, appunto, c’era già una grande Juventus, ma non sempre impeccabile sul mercato dei centrali: senza fare nomi, Minotti avrebbe rappresentato uno status potenzialmente adatto, da titolare o alla Sergio Porrini, con qualità di gioco maggiori e certamente qualche gol pesante in meno.
15. ENZO FRANCESCOLI (URU – 12 novembre 1961) in Italia si è limitato a Cagliari e Torino, uomo squadra di quasi soli gregari, al di sotto del nome che portava. Uruguagio, quindi potenzialmente in buona confidenza col bianconero, El Principe di Montevideo ha perso il treno Juve quando forse lo meritava e quando entrambi ne avrebbero potuto trarre una pozione magica in anni complicati. Francescoli, idolo di Zinedine Zidane che lo vede all’opera nel Racing Club Paris e per un anno nella sua Marsiglia, doveva e poteva saltare il confine al momento giusto. Per esempio al posto di Zavarov al quale mancavano astuzia, testa alta e colpo d’occhio, figlio di un calcio troppo meccanico (per una Juve da ricostruire) come quello del colonnello Lobanowski.
14. DEJAN STANKOVIC (SER – 11 settembre 1978) Mourinho non lo voleva vedere in neppure in figurina. Succede. Mourinho nella stessa estate ci ha provato per Nedved. Pace all’anima sua. Stankovic aveva dato il suo sì. Peccato. La dirigenza, anzi le due dirigenze, valevano quel valevano e il centrocampista già compagno dell’attuale vicepresidente juventino ai tempi della Lazio si trovò tra l’incudine e il martello. Solo Guarin, parecchi anni più tardi, ha saputo fare peggio. Strano il destino, anche quando a volte incrocia le traiettorie della Juve: Stankovic sarebbe stato il miglior colpo di Blanc e Cobolli, il colombiano forse il meno azzeccato da Marotta e Paratici. Anche se quest’ultimo ci avrebbe messo la mano sul fuoco, fin dai tempi del Porto. Amen.
13. HANS PETER BRIEGEL (GER – 11 ottobre 1955) gli anni ottanta sono gli anni dei due stranieri. E ci si leccava le dita. Il calcio italiano faceva ancora scuola, duellando in Europa proprio con quello tedesco, nazioni che hanno applicato meglio di ogni altra la controrivoluzione all’accecante (ma perdente) esperienza olandese. Domande: aveva senso sprecare una slot per un terzino? Cos’è quel vuoto del dopo-Cabrini fino al dignitoso De Agostini? Risposte che avrebbero potuto contenere un decatleta nato in provincia di Kaiserslautern tra tremila anime.
12. MICHEL PREUD’HOMME (BEL – 24 gennaio 1959) dal 1986 al 1993 in bianconero ha resistito Stefano Tacconi, folle e felino, reattivo e a suo modo originale. Un merito sopra tutti per l’ex Avellino: non aver fatto pesare il dopo-Zoff. Un mezzo capolavoro, praticamente. In Europa c’era ben poco da pescare, al suo livello però certamente questo belga entrato nell’immaginario collettivo per i reni, le mani di Gulliver e piedi quasi senza precedenti. Gli stranieri però… (puntini, puntini). E infatti la Juventus, a tempo debito, si è procurata Angelo Peruzzi. Salvo poi la parentesi, dieci anni dopo, addebitabile a Van der Sar (puntini, puntini). Forte era forte, Michel. Nomen omen.
11. CARLES PUYOL (SPA – 13 aprile 1978) Luciano Moggi ci aveva pensato più e più volte. Altro che Zebina come corazziere, nei tempi pre-Calciopoli, sulla destra. Con o senza l’avallo di Don Fabio, l’uomo che veniva dall’entroterra della Catalogna avrebbe ascoltato forse le sirene della Vecchia Signora. Anche da calciatore ormai maturo è rimasto, a testa alta, il più italiano tra i difensori che avrebbero poi riscritto la storia del calcio iberico. E quindi, forse, l’unico davvero adatto per i colori bianconeri (sia con il suo “simile” Cannavaro, sia dopo).
10. JEAN TIGANA (FRA – classe 1955) centrocampista della Francia che inginocchiava ai piedi di Michel Platini, il maliano naturalizzato francese è di quell’epopea il miglior rappresentante del calcio transalpino che sarà, figlio delle naturalizzazioni e dei tempi colonialisti. Più di Alain Giresse (i due di classe alle spalle di Le Roi) si completava con il tre volte Pallone d’Oro. Perché Tigana aveva fosforo e gamba, oltre che la maglia fuori dal pantaloncino. Numero 6 (vi dice qualcosa?), avrebbe assortito alla Juventus, sempre nella teoria, con largo anticipo un eccezionale asse alto-basso del rombo. Diciamo giusto qualche tempo prima dell’epica forbice composta dai connazionali Deschamps e Zidane.
9. AGOSTINO DI BARTOLOMEI (ITA – classe 1955) ferro e velluto in mezzo al campo, una statua prima e dopo, campione dimenticato. Forse nelle due generazioni di Juventus pre e post mondiale del 1982 non sarebbe servito, ma avrebbe fatto bene. Avrebbe fatto bene anche fuori dal campo, con quel suo destro da fermo, con quel suo modo di essere silenzioso all’inverosimile. Di Bartolomei faceva parlare la squadra, era un equilibratore. Una personalità adatta alla cheta Torino. E inadatta, ahinoi, per tutto quello c’è stato dopo la carriera da calciatore tutto d’un pezzo.
8. MICHEL (SPA – classe 1963) dopo Marco Tardelli fu individuato Lionello Manfredonia, non proprio un calciatore fortunato e, con ogni probabilità, neppure “l’eletto”. Siamo ovviamente nel campo della semplificazione storica, e ci restiamo dicendo che la scelta ideale sarebbe stata quella di riuscire a strappare un canterano del Real Madrid. Jorge Miguel Gonzalez Martin del Campo, in arte Michel era il classico giocatore che faceva imbestialire giocatori e tifosi avversari. Dinamico, rognoso, infingardo il giusto. I tempi però erano quelli che erano, tempi in cui solo il Torino ce la fece, un lustro più tardi, con il pavido Martin Vazquez.
7. ALAN SHEARER (ING – classe 1970) pallino dell’Avvocato, narra la leggenda. Pallino come forse lo era stato Ian Rush, con la differenza che nessuno sentì di doversi assumere il rischio di riprovare quell’esperienza. Che giocatore, però, Alan Shearer. Quando esplose in Premiership, a Torino c’era la versione prodromica all’italiana. Parliamo di Gianluca Vialli che, appena inizia davvero a sentirsi un numero nove, permette che le vicende di metà anni novanta tornino a allinearsi con la storia. Pallino forse anche di Luciano Moggi, Shearer non avrebbe deluso. Forse. Affascinante l’idea di vederlo arrivare carico di gol, mani sollevate e sorrisi abbinati al bianconero giusto…
6. CARLOS DUNGA (BRA – classe 1963) non è un debole di chi scrive, quello dei mediani. E’ che i calciatori bravi, utili e spesso determinanti sono figli del loro tempo. Il brasiliano meno brasiliano della storia del calcio del Novecento si sarebbe messo al servizio dell’ultimo Platini, avrebbe eseguito ogni perentorio ordine di Boniperti, avrebbe onorato ciò che il tifoso juventino chiede. Senza la pretesa, come tanti illustri colleghi del ruolo, ritagliarsi spazio nella dialettica futura. Ma quel che conta, da queste parti tutti lo sanno…
5. GABRIEL OMAR BATISTUTA (ARG – classe 1969) non servono ipotesi e paragoni. Non serve neanche ricordare con chi avrebbe avuto modo di giocare al fianco, con chi dietro, con chi e come che gli portassero i palloni. Oggi c’è Gonzalo Higuain, che di Batistuta è la versione modernista, almeno per quel che s’è visto a Torino del Pipita fin qui, della sua sottovalutata trasformazione. Anche Batigol si sarebbe dovuto trasformare, e immaginate qualcosa meglio di ciò che avete visto per 12 anni in Serie A. Brutto?!?
4. LUIS FIGO (POR – classe 1972) antefatto: Moggi l’aveva preso facendogli firmare il tesseramento anzitempo come garanzia totale dell’accordo. In pratica: il giocatore può anche tirarsi indietro (ovviamente ipotesi folle) per rimanere allo Sporting Lisbona. Se firma per altri club rischia il doppio tesseramento se i club depositano l’accordo. E spuntò una firma per il Parma. Inspiegabile, per certi versi, nonostante i Ducali dell’era Tanzi (chi avrebbe mai pensato a uno spudorato del genere??) fossero la vera antagonista sul terreno italiano (con tanto di grandi risultati in campo europe)o. Risultato: la pagherai un giorno, dagli undici metri, al Delle Alpi. Che peccato, campione… eheheh.
3. GIGI RIVA (ITA – classe 1944) perché mi fido di chi capiva di calcio. Mi fido delle immagini. Mi fido di chi ci provava e riprovava. Di chi lo applaudiva. Di chi gli portava rispetto. Poi dei numeri, delle statistiche quando ancora nessuno riteneva fossero la spiegazione di tutto, dei muscoli, delle cronache, dell’incredibile risultato sportivo portato nella reietta Cagliari. Alla Juventus avrebbe vinto molto di più, avrebbero forse riscritto insieme la storia degli anni ’60. Quanta nostalgia, quanta forza, quanti condizionali. Ma un’enorme certezza: avrebbe fatto non bene, Rombo di Tuono avrebbe fatto sfaceli.
2. LOTHAR MATTHAEUS (GER – classe 1961) senza dubbio il momento storico del lungo apice della carriera di questo centrocampista tedesco “cattivo” in entrambe le fasi, leader a testa alta nelle gioie e nei dolori, incide eccome nel portarlo fino alla seconda piazza. Nella Juventus dei nove anni senza tituli mancava tremendamente uno come Matthaeus (non solo la sua versione in nerazzurro), quando si perdeva tempo e si sprecava inchiostro a cercare un inesistente successore a Le Roi Michel. Avrebbe potuto fare, simbolicamente anche nella diversità dei tratti, come avrebbe poi fatto Pavel Nedved nel dopo Zidane. Cambiare il fuoco del gioco, cambiare il concetto, cambiare tutto per non cambiare niente. Ovvero anche trascinare, attraverso la convinzione e il carisma, buoni calciatori in un’orbita superiore. Che è poi il concetto di squadra…
1. ANDRYI SHEVCHENKO (UCR – classe 1976) la generazione successiva alla caduta del muro di Berlino è stata inconsapevolmente rappresentata da un ucraino biondo, bello, veloce e ambidestro al tiro. Tratti siberiani, movenze da attaccante a tutto campo fin che ha avuto totale fiducia intorno, mostruoso per lunghi mesi fino al Pallone d’Oro. A quella Juventus, serviva? Risposta irrilevante perché Shevchenko, a cavallo dei due secoli ed escludendo la maggioranza di coloro che ne hanno avuto modo, è il calciatore che più di tutti avrebbe avuto il physique-du-role per vestire la maglia della Juventus. Visto in Italia, poco da aggiungere. Visto già alla Dinamo Kiev che andava a violare il Camp Nou (Van Gaal allenatore, tripletta, 0-4), era comunque da prendere.
ALERT: non andate a rivedere l’esecuzione del calcio di rigore contro Vitor Baia. Grazie.