Manca una partita vera alla fine di questa stagione memorabile, nel senso che non potremo togliere dalla memoria.
La gita a Bologna è divertente come una colonscopia: fastidiosa ma obbligatoria.
Il chiodo fisso si chiama finale di Champions’ League e l’unico luogo geografico che abbia veramente senso da qui al 3 giugno è Cardiff, Galles.
La sensazione di potercela fare si mischia ai sogni con cui ti risvegli la mattina (abbiamo sognato, sogniamo e sogneremo la partita da qui a sabato prossimo un centinaio di volte a testa) ai conti con la cabala che ti fa pensare che stavolta è il tuo turno, alla paura di perdere nuovamente.
Insomma ci dobbiamo abituare a sta “febbretta” che da qui al 3/6 ci farà compagnia, e non esiste paracetamolo in grado di abbassarla.
Cosa fare quindi?
Esaminiamo 3 partite di CL che ci possono far guardare alla sfida col Real con ottimismo e speranza:
18/10/2016 Lione-Juve
Il periodo è così così: vittoria larga a Empoli a inizio mese poi un 2-1 in casa con l’Udinese sofferto, risolto solo da due calci da fermo di Dybala, una punizione e un rigore.
La partita in Francia è complicata, il Lione inizia forte, pressa e correre insomma la vuole vincere.
Al 35 del pt le cose si mettono male: un abbraccio reciproco in area juventina tra Bonucci e Diakhaby porta al rigore in favore dei francesi con annesso giallo per il difensore bianconero. Sembra l’inizio della fine, invece comincia la partita capolavoro di Gianluigi Buffon: para il rigore di Lacazette, nel secondo tempo seguono altri due interventi miracolosi, oltre l’umana comprensione che tengono il risultato sul pari.
Nel frattempo le cose si complicano ulteriormente: Leminà lascia la squadra in 10 per doppio giallo dopo 10′ del secondo tempo.
A 15′ dalla fine l’episodio che cambia il risultato: Cuadrado, in campo da 7 minuti si inventa una delle sue fughe, un guizzo, “atto e azione” alla Carmelo Bene, gol.
La partita finisce 0-1 in un misto di solidità, esaltazione delle qualità dei singoli, capacità di tenere, piegarsi senza rompersi, colpire l’avversario forte da tagliargli le gambe. Qualità fondamentali per chi vuole arrivare in fondo.
11/04/2017 Juve-Barcellona
Ci sono partite che valgono qualcosa di più di quello che c’è sul piatto. La sfida coi marziani del Barca, coi 3 davanti che segnano a ripetizione vale più del passaggio ai quarti. È la porta d’ingresso nell’élite del calcio mondiale, è il passaggio da semidio a dio.
La Juve ci arriva avendo superato agevolmente il Porto e col campionato in controllo. I blaugrana arrivano dalla remuntada epica e romanzata contro la banda di Emery, sembra impossibile non prendere gol, eppure Allegri nei giorni che precedono la sfida lo fissa come obbiettivo realistico e ci credono anche i suoi.
La Juve parte solida, concentrata, attacca gli spazi e mette in difficoltà la difesa non perfetta di Luis Enrique, stressa il suo centrocampo a cui manca Busquets per squalifica.
I primi 20 minuti sono qualcosa di epico: Dybala colpisce 2 volte col mancino, che è anche il piede del vero alieno argentino che gioca dall’altra parte. In mezzo il solito miracolo di Buffon su uno scambio da mandare in loop infinito tra Messi e Iniesta.
La Juve non ha paura, gioca la sua partita, rallenta ma non si ferma, vuole segnare ancora e dopo aver spreca trova il 3-0 con Chiellini, da corner.
Il Barcellona dei mostri, della MSN riesce a tirare solo 3 volte in porta, Dani Alves è dalla parte giusta e si esalta. È la partita perfetta, oltre ogni aspettativa realistica. È la partita della consapevolezza che consacra la squadra e allenatore ai massimi livelli europei: da qui in poi nulla è precluso.
03/05/2017 Monaco-Juve
Confermarsi non è mai facile. Sul tabellone delle semifinali il Monaco di Jardim è la rivelazione, pro e contro.
Dopo aver eliminato il Barcellona sulla squadra grava il peso di dover dimostrare il proprio valore.
A Montecarlo la Juve dimostra di essere matura: partita attenta, rischi limitati a parte qualche fiammata iniziale, poi L’AZIONE per eccellenza: il tacco di Dybala bello e utile, Higuain palla a Dani Alves che la porta avanti, entra in area, altro tacco per il Pipita che segna. Un gol strepitoso per una delle azioni più belle della stagione e di sempre. Alla faccia del brutto gioco.
Continua il gioco di controllo, la Juve spinge come un pistone aumentando la pressione e schiaccia il giovane Monaco: quando l’orologio fa il sessantesimo giro Dani Alves (che gioca una partita da cinema) mette in mezzo per Higuain, marcato male da Glik, gol.
0-2, finale in ghiaccio e zero rischi. È la partita della maturità, di chi gioca sapendo quando e come colpire.
I giocatori del Monaco a fine partita parleranno di concentrarsi sul campionato, come se non ci fosse il ritorno da giocare: il messaggio è arrivato forte e chiaro.
Solidità, consapevolezza, maturità.
3 partite, 3 qualità che serviranno a Cardiff, sperando di poter tornare ad alzare quella coppa, come 21 anni fa, consapevoli come allora di vivere in un tempo straordinario come questa Juve che abbiamo il privilegio di vedere.
Willy Signori.
10 lezioni da imparare dalle finali perse
L’ideale epigrafe a questo pezzo che Massimo Zampini mi ha, più che commissionato, ingiunto, potrebbe essere una celebre vignetta di Altan: “Mi vengono in mente opinioni che non condivido”.
Poiché infatti il tema assegnato è “che cosa possiamo imparare da ciascuna delle finali perse”, la risposta istintiva sarebbe “a non andare in finale, ché tanto la perdiamo. Da favoriti; da sfavoriti; da più forti; da più deboli; giocando bene; giocando male: noi perdiamo (quasi) sempre”.
È richiesto tuttavia uno sforzo di ottimismo della volontà contro il (fondato) pessimismo della ragione. E allora vediamo un po’ se il passato ci impartisce qualche lezione, fermo restando che se fosse vero l’abituale mantra “impareremo dalla sconfitta” a quest’ora avremmo la bacheca straripante…
1973, Belgrado. Non c’ero, cioè c’ero ma ero troppo piccolo, le testimonianze quindi sono tutte de relato: leggendo quella che contrapponeva il ritiro plumbeo, blindato e militaresco dei nostri alla vacanza degli zazzeruti olandesi con le mogli scorrazzanti in albergo verrebbe da dire che Belgrado ci insegna non essere troppo ascetici. Ma più seriamente, e posto che l’Ajax era una squadra imbattibile, si pensa che Vyckpalek, già privo di Spinosi, lasciò fuori due uomini in palla, Haller e soprattutto Cuccureddu che dieci giorni prima aveva segnato il gol-scudetto all’ultimo giro di lancette all’Olimpico. La lezione potrebbe quindi essere: 1) occhio alla condizione: giochi chi è in forma.
1983, Atene. Ecco, appunto, una partita che sfugge talmente alla razionalità da vanificare le buone intenzioni di questo scritto, una sfida che sulla carta Davide vs Golia partiva alla pari,e per quanto in panca l’Amburgo avesse quel volpone di Happel che già ci fece piangere nel ’78. Possibile lezione: 2) niente è scontato, anche se sei di gran lunga il più forte. Se la giochi 100 volte la Juve batterà l’Amburgo 99, ma ognuna di quelle 100 partite darà all’Amburgo la possibilità di battere la Juventus. Vale anche a rovescio, se sei l’Amburgo di turno.
1997, Monaco: insegnamenti plurimi. 3) quello che hai fatto prima, fosse anche la cavalcata delle Walkirie, in finale non conta nulla; 4) non pensare all’arbitro, ché ti possono assegnare “il migliore del mondo” (così si diceva di Puhl all’epoca) e quello non ti dà un rigore clamoroso; 5) occhio alle gravidanze, e ai permessi-paternità 24 ore prima; 6) i dettagli: non prendere la fotocopia del gol preso 5 giorni prima in campionato; 7) se una cosa può andare male, lo farà (Ricken).
1998, Amsterdam. Partita brutta assai, nata male (l’infortunio a Del Piero subito prima dell’inizio, il gol in fuorigioco), giocata pure. Forse, ripensando a Inzaghi e soprattuitto a uno slalom di Davids concluso con tiro in bocca al portiere, l’insegnamento è 8) in una finale le occasioni vanno sfruttate, anche perché in genere sono poche (e se pure son tante e non le sfrutti poi finisci ai rigori in una partita che avresti dovuto vincere 5-0).
2003: Manchester. Qui la lezione verrebbe dalla semifinale, se il tuo miglior giocatore (in qul momento il migliore al mondo, in trance sportiva) è in diffida e hai la partita in pugno, lo levi: razionalità sempre. Ma il caso non si è dato, e la semi è andata. Cosa ci insegna la finale? 9) niente esperimenti: Montero terzino non è una buona idea, specie se hai Birindelli che ricoprì egregiamente il ruolo a La Coruña o a Barcellona; Zalayeta e non Di Vaio se vuoi sfondare sulla fascia dove gli altri hanno uno zoppo è un’idea addirittura balzana.
2015, Berlino: per carità, Barcellona formidabile e in condizione straripante, noi un po’ con la sindrome del parente povero che si è imbucato al party dell’aristocrazia. E però non si doveva regalare un tempo, e una volta ripresa la gara per i capelli non ci si doveva far prendere dall’euforia. Noi siamo la versione aggiornata e sublime del calcio all’italiana, i contropiedi li dobbiamo fare, non subire. Ergo 10) leggere la partita e interpretarne i momenti.
Incredibile, ce l’ho fatta, ho estrapolato 10 “lezioni” La sensazione? Che questa squadra, quest’anno, le abbia già ampiamente metabolizzate. Il dubbio? Che il 4 giugno stia a pensare all’undicesima.
Massimiliano Mingioni