Con la partita contro la Lazio, Massimiliano Allegri ha raggiunto quota 300 panchine in Serie A. E l’ha fatto con un coup de théâtre, inaugurando un inedito 4-2-3-1. Vediamo brevemente i numeri collezionati fin qui dal nostro allenatore alla guida di Cagliari, Milan e Juventus.
Cagliari+Milan+Juventus
Partite in Serie A: 300
Vittorie: 171
Pareggi: 62
Sconfitte: 67
Percentuale vittorie: 57%
Cagliari
Partite in Serie A: 71
Vittorie: 26
Pareggi: 15
Sconfitte: 30
Percentuale vittorie: 36,6%
Milan
Partite in Serie A: 133
Vittorie: 74
Pareggi: 34
Sconfitte: 25
Percentuale vittorie: 55,6%
Juventus
Partite in Serie A: 96
Vittorie: 71
Pareggi: 13
Sconfitte: 12
Percentuale vittorie: 73,9%
Come ci si poteva aspettare, le percentuali di vittoria salgono col passaggio al Milan e ancora più vertiginosamente durante l’esperienza bianconera. C’entra, ovviamente, la qualità del capitale umano a disposizione del mister, ma nel calcio i campioni non bastano per raggiungere i successi. Per rivelarsi e poi confermarsi come allenatore da top club occorre dimostrare di avere competnze a tutti i livelli: tattico, gestionale, comunicativo. E in questi 2 anni e mezzo di Juve Max Allegri l’ha dimostrato pienamente.
Congratulazioni, mister. Avanti così!
Di Federica Zicchiero (@fedezic)
La Banda del Sor gente Allegri
In un clima, ignobile, da resa dei conti con l’allenatore che ha fatto meglio ciò che andava fatto comunque Mister Allegri decide di sfidare tutto il mondo fuori. Il modo è quello classico. Prenderlo sul serio. E poi lui non è neanche difensivista, faceva la mezzala e l’ore piccole con Mister Galeone.
La gente vuole tutti dentro, attaccanti, punte, mezze punte. No alle mezze misure, alle mezze calze specie se nel tempo si sono rivelate inopinatamente più utili dei grandi discorsi. Ebbene Allegri dà questo. I 3 attaccanti più Cuadrado più Pjanic. Sembra una follia agli occhi di chi voleva proprio questo perché chi voleva questo non lo voleva sul serio. Voleva solo rompere le palle. A ragione o senza motivo non importa. Il problema dei media Juve è la noia. L’aggressività dell’ambiente, un tempo placidamente cannibale, svegliata e aizzata da Calciopoli si è piegata su se stessa come Frankenstein. Il creatore, l’ambiente rimbambito da chissà quale nuovismo, il Frankenstein juventino rigido e insieme comico che s’era cresciuto dentro un tumore di chiacchiere per andare a crepare nell’Hotel California dei falliti, un deserto all’indirizzo “Calcio che convince”, rimirava la Corazzata Potemkin tutta attacco e brufoli che tanto aveva agognato. E non smetteva di considerarla una cagata pazzesca.
Allegri che è più intelligente del nuovo juventino medio, non più travet della banalità della ciccia ma piacione in fuga dalla vittoria, li ha fregati tutti. In nome di tutti. Travestitosi in Sor Gente, dava scacco a critica e partita dandosi torto per il passato in cambio dell’aver ragione ancora una volta. In nome della gente metteva su una banda di stelle fuori ruolo tipo Brasile ’70 o Argentina ’94, quella di Balbo mediano. L’obiettivo era duplice: togliere voce ai tinti che gli vanno contro e tempo utile ai 90 minuti della Lazio.
La formazione se così si può definirla la chiudeva infatti subito e amen. Il secondo tempo poi rivelava in pratica la bellezza del disegno vero del Mister, squadernando con esempi visibili la teoria padronale di Allegri che proprio la gente, la nuova gente, non capisce più. Controllo assoluto dei tempi di gioco. Attendismo poi incursioni. Minuti interi di possesso palla dichiaratamente non produttivo e non da esposizione in sala stampa. Il coraggio di non voler soddisfare alcuna frenesia, ansia, voglia di piacere. Il chiarire in modo plastico che questa roba, la Juve di Allegri, non finirà mai nei documentari sulle chincaglierie di Buffa e nemmeno nei taccuini di Benitez o Sarri. Questa è roba che non si può scrivere, non è fatta per essere descritta. E’ roba che si fa. E’ azione. Non è la seduzione verbosa del primato ma io Juve tu scudetto.
Ora un’altra illusione sta girando, fomentata dalla gente che non si arrende al Dio è morto di Allegri e pure il campionato e continua a volere uno straccio di Giudizio universale. L’altra rottura di balle in arrivo è: ah ci avesse ascoltato prima, ora sempre così. Coi 3 attaccanti, più quello e più quell’altro. Ovviamente non ci saranno repliche. Quella di ieri è stata una contingenza, un capitolo di pragmatismo nella Grande bellezza di successi a discapito della frivolezza ipotizzata e realizzata dal regista toscano. Quella di ieri è una puntata della gestione del Palazzo, non l’inizio di una nuova era di rivoluzioni permanenti che finiscono davanti alle pompe di benzina chiuse. Non è possibile utilizzare sempre le star per il lavoro sporco. Quel tipo di controllo, di prendersi la gara punto, lo si può ottenere anche con gente più specializzata e in vestiti meno sgargianti.
La classe operaia non andrà in Paradiso ma in campo alla prossima. Ieri non è morta. Era solo in panchina.
Il 4-2-3-1 di Allegri contro la Lazio: dove sta l’inganno?
Così come Massimiliano Allegri immagina le partite prima, il tecnico ha provato più in generale a immaginare il futuro della Juve. Dentro l’undici del match contro la Lazio, dentro questa visione, ci ha messo di tutto un po’ e l’effetto è stato sorprendente. Nel senso che:
– Barzagli può fare la riserva.
– Khedira può fare ciò che ha sempre fatto meglio.
– Asamoah può (e deve) fare il vice Sandro.
– Cuadrado può fare le due fasi senza l’affanno psicologico che ce ne sia una dominante sull’altra.
– Dybala (con più compagni vicini, e su tutti i quattro lati) può fare ciò che ritiene.
– Pjanic può distribuire ai 50 metri se gli si va incontro.
– Bonucci può giocare a quattro (questa è di cinque anni fa, quando il futuro era la difesa a tre).
– Mandzukic può (una volta sì e una volta no, stando ai tifosi). E, soprattutto, può fare ciò che Morata non poteva essere in grado di fare largo là per ciò che chiede la Serie A. Il suo sangue è operaio, lo stesso di Mario Manzuchi, laborioso e scontroso artigiano trentino di cui tutti in paese, stando con le mani in mano, parlano male.
L’incastro contemporaneo ha prodotto il sistema del calciofilo del terzo millennio. Altri potrà produrne. Sarà un passaggio graduale, per tutto il resto ci sono le estati. Valse anche per il 4-3-3/3-5-2 nel 2011/12 e fu la cosa più saggia. Così come del primo Lippi rimane il falso storico dell’eterno tridente: semplicemente, si guardarono negli occhi; si armarono; capirono chi erano e dove erano; solidarizzarono; provarono a ottenere il massimo dando il massimo delle qualità e delle caratteristiche a disposizione. Di certo resta un aspetto chiave: questa disposizione apre clamorosamente a una catena di scelte uomo su uomo, coppia su coppia, che non dovrebbero snaturare l’assetto alla prima assenza importante. E di più: dare a calciatori come Pjanic e Pjaca più d’una collocazione che rientrano nella sfera dell’ideale.
Non facciamo però come Penelope, non quest’anno, perché il rombo di centrocampo post-Genoa è di meno di due mesi fa. Certo, ciò che si è visto potrebbe anche essere l’accelerazione di un secondo step evolutivo. Qualcuno ne percepiva l’urgenza, qualcuno la viveva e l’ha descritta come “necessità di cambiare”. Cambiare ancora. Doha e Firenze, però, non sono stata la stessa partita e questo era il vero seme della preoccupazione.
Da qualche parte si è scelto di ripartire. Lo si è fatto guardando allo spirito, alla logica, con sui è stata costruita la rosa.
Ma tra partita della svolta, termine di Allegri, e partita dell’inganno, termine terribilmente umano, ci passa sempre poco.
Il primo è di pancia, d’istinto, come se fosse una corsa contro il tempo. Come una luce.
Il secondo è di testa, realistico, come se nel calcio non fosse vero che le uniche partite che fanno scuola, singolarmente, non siano solo le finalissime e/o le imprese insormontabili. Fanno scuola e fanno storia. Fanno enciclopedia. Fanno spartiacque e memoria. Come un mattone.
E non parlate di “Juventus a 5 Stelle” perché una l’avevo dimenticata e, purtroppo, ora la ricordo di nuovo.
Piuttosto, parliamo di effetto benefico, di effetto domino, di messaggio trasversale alle anime della squadra (prima tra tutte l’anima di chi può risolvere una partita: insieme se ne possono risolvere cinque).
Non parlate di qualità in corsia di sorpasso sulla fisicità. Sette undicesimi e mezzo della formazione di domenica scorsa, per fortuna, appartengono alla seconda specie.
Sennò non sarebbe calcio, non sarebbe Juventus, non sarebbe stata la scelta di Allegri.
E, quindi, torniamo al presente.
Il futuro non è adesso.
E’ domani.
Parola chiave nella e della Juventus di Andrea Agnelli, il nostro mondo parallelo a fianco del mondo dei risultati.