5 cose che ci mancheranno di Joao Cancelo

Una stagione. Tanto è durata l’illusione chiamata Joao Cancelo. La stessa durata, e forse non è un caso, di quella relativa a Dani Alves, quest’ultimo però andatosene sbattendo la porta e per motivi non certo imputabili alla nostra dirigenza. Invece il portoghese, che aveva raccolto l’eredità dell’ex Barcellona proprio in un momento nel quale credevamo non fosse possibile farlo, lascia la Juve per cause di forza maggiore, sacrificato sull’altare del bilancio e delle plusvalenze, facendo posto a quel Danilo riguardo al quale abbiamo già ampiamente disquisito.

Di Cancelo, oltre all’impatto in campo, ci piaceva il personaggio, spavaldo e sicuro di sé, ma anche la filosofia che gli stava dietro, secondo la quale un giocatore in quella posizione può essere importante e decisivo come e più di una punta o di un fantasista, ci ha fatto accarezzare l’idea che un altro calcio fosse possibile, e proprio quando ne abbiamo portato uno dei più grandi esponenti in panchina, ecco che ci viene portato via.

Un anno e qualche mese fa, ancor prima della fine della stagione, mi trovavo a metter giù i 5 motivi per i quali Joao sarebbe stato l’uomo giusto per la Juve. Oggi, a malincuore, ecco i 5 aspetti che ci mancheranno di più di lui.

1 – Regia sulla fascia

Proprio come Dani Alves, Joao Cancelo porta il ruolo del terzino a una dimensione diversa. Sull’altro versante Alex Sandro, pur devastante nei periodi migliori, interpreta il ruolo in maniera più ortodossa, il lusitano invece ama entrare dentro il campo ma anche sfrecciare sulla fascia, laterale moderno e classico insieme, viene cercato con continuità coi compagni, è decisivo nell’uscita dalla difesa col pallone e rappresenta un porto sicuro quando c’è da tenere la sfera. Affermare che Cancelo sia un grande terzino è riduttivo, Cancelo è un grande giocatore di Calcio.

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38 11:00 – 7 giu 2019Informazioni e privacy per gli annunci di Twitter Visualizza altri Tweet di WhoScored.com

2 – Campione tra i campioni

Abituato a contesti non di primo livello come Valencia e Inter e relegato a un ruolo non certo da protagonista in nazionale, un calciatore avrebbe potuto faticare a imporsi in un club come la Juventus. Non Joao Cancelo, che ho imparato da solo come integrarsi coi tanti campioni della rosa bianconera: parlando la loro stessa lingua calcistica. Cancelo può duettare sulla fascia con Douglas, Cuadrado o Bernardeschi facendo impazzire i laterali avversari, può stringere verso il centro e associarsi con Pjanic, può servire cioccolatini sulla testa di Cristiano Ronaldo (Atletico vi dice nulla?); un campione che ha spazzato via in un lampo la mediocrità tecnica dei vari predecessori.

3 – Numeri da giocoliere

Diciamoci la verità, a tutti piacciono da impazzire i giocatori “con le skill”, quelli che fanno dribbling perfetti per le gif da diffondere su Twitter e che riempono la home di Youtube. Ci innamoriamo delle suolate di Cristiano, degli elastici di Douglas, dei cambi di passo di Dybala. Cancelo, oltre a un terzino, è anche quel giocatore lì, uno di quelli che vale il prezzo del biglietto.

Il vecchio che arranca contro il nuovo che avanza, in tutta la loro ineluttabilità

4 – Look da trapper

Fa parte del personaggio Cancelo, estroso tanto in campo quanto fuori, nelle giocate così come nella scelta del vestiario. Anche un club di grande tradizione come la Juventus di tanto in tanto ha bisogno di qualche ventata di freschezza e spavalderia: lo erano Pogba e soprattutto Dani Alves in tutta la loro eccentricità, lo è a suo modo la Dybalamask di Paulo, lo è anche il look da trapper del buon Joao, un ragazzo al quale è difficile voler male.

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Torino, 2018: il trapper di Cinisiello Balsamo Gionata Boschetti, meglio conosciuto con il nome d’arte Sfera Ebbasta, posa a margine della consegna del Disco di Platino per il suo ultimo album, Rockstar.@segnanti

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51 08:11 – 3 lug 2018Informazioni e privacy per gli annunci di Twitter 20 utenti ne stanno parlando

5 – Testa (troppo?) alta

Corollario degli ultimi due punti, l’atteggiamento di Cancelo in campo, un giocatore propositivo e associativo fino all’ossessione, incapace fisicamente di buttar via la palla, terribilmente allergico alla soluzione più sicura. Appena Cancelo riceve la sfera, sempre a testa alta, vede mille vie davanti a sé, raramente sceglie la più semplice, dando la precedenza a quella che può portare un vantaggio offensivo alla sua squadra, sia pur rischiando di perdere la palla in zone sanguinose. E’ quello che amavamo e odiavamo di lui, che eravamo però pronti a perdonare a ogni giocata positiva. E’ quello che ci mancherà di più e forse nel contempo, ma speriamo non sia vero, una delle cause che lo ha portato a dirci addio.

Alex Campanelli

Che la Juventus non compri mai più un João Cancelo

Nemmeno tanto tempo fa, parlando con il solito amico che ne sa sul serio e che, altrettanto sul serio, è dentro le cose di casa Juve a livello di campo – quindi dell’unico aspetto del calcio che mi interessa per quanto il calcio, oggi, è anche, se non soprattutto altro – mi fu detto che «va bene i cambiamenti necessari ma non si può pensare di stravolgere il tratto distintivo di una squadra e di una società». In pratica la riconoscibilità di un club si sostanzia (anche) in sede di composizione della rosa e di scelta dei giocatori che vanno a comporre la stessa. Giocatori a loro volta riconoscibili per determinate caratteristiche, inclinazioni, interpretazione del proprio ruolo.

Si tratta di un teorema che non mi ha mai trovato del tutto d’accordo, tanto più avendo avuto la (s)fortuna di leggere in Herr Pep di Martí Perarnau in che misura la dirigenza del Bayern Monaco abbia avviato un deciso cambio di rotta – oserei dire dal punto di vista filosofico e culturale – nel modo di giocare, allenarsi, fare, pensare e raccontare calcio. E questo ben prima del triennio di Guardiola: anzi il suo arrivo che avrebbe rappresentato la chiusura del cerchio di un progetto ambizioso che non si è coronato con la conquista della Champions League solo a causa della miglior versione numerica all time di Real Madrid prima e Barcellona poi, con il tecnico di Santpedor a metterci del suo relativamente a quell’overthinking che rappresenta l’ultima (l’unica?) barriera da abbattere sulla strada della perfezione.

Ma sto divagando. Il punto, infatti, non è questo. Il punto è che, pur non essendo d’accordo con il teorema di cui sopra – differentemente, a quanto pare, dalla maggioranza dell’intellighenzia bianconera – spero che la Juventus non compri più un giocatore come João Cancelo. Perché la Juventus non è adatta ai João Cancelo ben più di quanto i João Cancelo non siano adatti alla Juventus, in quel curioso rapporto di proporzionalità, diretta e inversa allo stesso tempo, legata alla visione, anzi all’interpretazione, di quelli che sono i ruoli chiave del calcio del XXI secolo. E, quindi, per ogni articolo in cui si sottolinea che «il terzino, per attitudine, ha una capacità migliore, o quantomeno più allenata, a sviluppare l’azione verticalmente. Da una semplice necessità di appoggiarsi sulle fasce per creare triangoli e di conseguenza saltare le linee di pressione avversarie, il terzino diventa destinatario dei palloni più importanti, quelli da “lavorare”», c’è stato, c’è e ci sarà una vulgata maggioritaria che continuerà a sostenere che «la Champions l’abbiamo vinta con i Porrini, i Pessotto e i Torricelli»: 23 – 24 in proiezione 2019/2020 – anni fa. Un’era geologica nella vita “normale”, figuriamoci nel calcio.

Una visione che dalle parole passa ai fatti, che da una narrazione superficiale e stereotipata si sostanzia in scelte concrete – come quella di ritenere (i) Cancelo i primi sacrificabili sull’altare della plusvalenza, agendo di conseguenza appena se ne presenta l’opportunità – e che porta a quel “tutto cambia perché niente cambi” che ricorre sinistramente nel racconto della Juventus che si smonta e si rimonta in quella caccia disperata al trofeo che fu vinto con i Pessotto, i Porrini e i Torricelli 23, quasi 24, anni fa. Talvolta ignorando le indicazioni provenienti da un buon decennio di calcio europeo che dice che quello che ti danno i João Cancelo in termini di costruzione e sviluppo di una manovra organica e strutturata val bene qualche errore nella propria metà campo. Tanto più se, magari, hai la fortuna di poter disporre della più terrificante arma offensiva delle terre emerse e ulteriori 134 minuti a disposizione per evitare di farti prendere a pallate da una banda di ragazzini. Organizzata e veloce, certo, ma pur sempre banda di ragazzini, nell’accezione positiva e negativa che questa definizione comporta.

Ma sto divagando di nuovo. C’è la seria possibilità che João Cancelo vada al Manchester City del già citato Guardiola, nell’ennesima operazione “non di campo” che finirà per avere effetti – quali lo dirà solo il tempo – sul campo stesso. Se tutto si dovesse concretizzare, una volta chiuso quest’ennesimo esperimento che non si è voluto proseguire – ma, del resto, era già accaduto con Dani Alves e sta accadendo, in misura diversa, con Dybala e prossimamente Douglas Costa – mi auguro che la Juventus riesca finalmente ad accettare se stessa, smettendo di cercare di essere quello che non è e che non intende diventare. Né oggi, né domani, né mai. E che, quindi, destini le sue non illimitate risorse in calciatori che le siano congeniali e che non vengano respinti dall’ambiente (interno ed esterno) come un vulnus destabilizzante alla prima diagonale difensiva non portata nei modi e nei tempi corretti. Unico e non trascurabile problema: nel 2019 ormai 2020 c’è il rischio che con i Porrini, i Pessotto e i Torricelli la plusvalenza non si possa fare. Perché il calcio cambia, esattamente come l’interpretazione del ruolo di terzino. Che ci piaccia oppure no e a prescindere dal fatto che il secondo portoghese più importante della nostra storia recente resti o vada via.

p.s. Per chi ha tempo e voglia: qui ci sono i numeri di João Cancelo dell’ultima stagione. In pochi click si può fare il raffronto con i pari ruolo in Italia e in Europa e valutare oggettivamente se gli errori difensivi che tanto terrorizzano siano effettivamente tali e siano effettivamente così tanti come vi hanno raccontato, banalizzando e stereotipando qualcosa che non dovrebbe essere banalizzato e stereotipato.

Claudio Pellecchia

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