La Gazzetta festeggia il decimo anniversario dell’articolo con cui anticipò Calciopoli (forse tra un paio di mesi ci ricorderà del decennale delle anticipazioni delle sentenze, azzeccate in pieno prima dell’avvio dei processi sportivi).
Vogliamo fare gli auguri anche noi, con un piccolo bilancio relativo a 5 frasi che allora ci siamo sentiti dire mille volte.
1) “Fino a oggi c’era una cupola che governava il calcio; vedrete, ora finalmente potranno vincere tutte”.
Ce lo raccontavano con fare amorevole, e noi a immaginare il Paese che si risollevava, gioia diffusa nei più disparati angoli dello Stivale, scudetti e festeggiamenti senza fine a Roma, Napoli, Firenze, magari, perché no, anche a Genova e Verona.
Poi, dieci anni dopo, vai a controllare.
Dieci anni con la Cupola: scudetti a Lazio, Roma, Milan, Juve (e suicidio Inter il 5 maggio).
Dieci anni senza Cupola: trionfi solo e sempre di Inter, Milan e Juve.
A occhio, qual è l’unica che ci ha guadagnato?
2) “Finalmente potranno emergere personaggi ostacolati dalla Cupola come Zeman”.
Il quale è tornato alla Roma a furor di popolo (vedete, credere a certi racconti dei media…) ed è stato cacciato a metà stagione con un furor di popolo ben più vigoroso.
Ora sta collezionando record su record a Lugano, passando da uno 0-6 a uno 0-7 senza colpo ferire, tra una dichiarazione contro Spalletti e l’altra.
Nel frattempo, l’altra grande vittima della Cupola Baldini ha ottenuto grandi successi a Roma e al Tottenham (dove, appena partito lui, la squadra ha ripreso a volare); Mancini sta finalmente mostrando la sua straordinaria abilità, l’Inter – finita la festa – è tornata l’Inter.
3) “Sarà un bene per il calcio italiano, credeteci”.
Forse qualcuno lo ricorderà: proprio nel 2006 la nazionale di calcio vince un trofeo abbastanza importante, solamente l’anno prima un campionato equilibratissimo trova il suo epilogo in un emozionante scontro diretto a San Siro tra Milan e Juve, appena 3 anni prima la finale di Champions è tra due squadre italiane (chissà quali).
Tutto bello, per carità, ma oggi, dalla nazionale alle squadre di club, dalle prodezze di Lega e Federazione fino agli scandali di questi ultimi anni, dagli stadi deserti alle polemiche perenni, il calcio è finalmente diventato una grande festa.
4) “Finalmente vivremo un clima di minori sospetti”.
Al netto dello scudetto vinto grazie al gol di Muntari, quello con l’allenatore che avrebbe dovuto essere squalificato a vita e invece è stato graziato, i due ottenuti grazie al sistema, Rocchi, le linee non proprio parallele e alle avversarie che si scansavano, e quello in divenire in cui siamo in testa grazie agli orari in cui giochiamo, al fatturato, a Rizzoli e Tosel, possiamo dire che sì, finalmente viviamo un clima più sereno, in cui si rende omaggio a chi vince senza retropensieri.
5) “Ora vi siete ripuliti, vedrai che sarete molto più simpatici”.
😀
Il maestro…Massimo Zampini
Ruggiero Palombo, non così
Impegnati, come siamo, a celebrare gli anniversari delle varie vittorie della nostra squadra (l’altro ieri erano 30 anni da Roma – Lecce e martedì diventerà maggiorenne lo scandaloso fallo non fischiato a Ronaldo su Iuliano, in attesa della festa nazionale del 5 maggio), rischiavamo di farci sfuggire una ricorrenza davvero importante. Fortuna che stamattina, sulla Gazzetta, è lo stesso protagonista, pavoneggiandosi, a ricordarcelo.
Ebbene, tenetevi forte! Oggi sono 10 anni dalla pubblicazione di un articolo, a firma di Ruggiero Palombo sulle colonne della Gazzetta dello Sport, dal titolo “Ricucci del pallone, attenti all’estate” che è considerato un po’ il “via” di Calciopoli, almeno dal punto di vista mediatico. Poche righe, metà delle quali dedicate ad altri scandali anche extrasportivi (Ricucci, appunto) ma tutti legati con un filo conduttore: le intercettazioni telefoniche. Il tutto, con una chiosa sibillina e sconcertante: “che cosa potrebbe accadere se invece, magari a campionato concluso, nella quiete che precede la grande kermesse dei Mondiali, spuntassero fuori dei bei fascicoloni che ci raccontano di questa e quella telefonata, di come il calcio viveva la sua quotidianità, non il secolo scorso ma appena un anno fa?”
L’ignaro lettore di quell’aprile ci poteva capire ben poco sul senso di quelle righe: un avvertimento? Un presentimento? Del resto, in quel periodo si usava così: si mandava in televisione qualche allenatore “amico”, magari bene informato, magari dopo qualche partita persa per (presunti) torti arbitrali, a lanciare messaggi del tipo “vedrete, tanto, tra poco quello che succederà” (salvo poi smentire, qualche anno dopo, davanti al Tribunale di essere stato a conoscenza di fatti gravi). O si scrivevano questo tipo di articoli, tra il “dico e non dico”, sulla scia del “so cose che voi umani…” in cui ad essere mortificata realmente era la professione del giornalista: se sai, dici; se non puoi dire, te lo tieni per te. Soprattutto se, come in quel caso, si tratta di fatti ancora non pubblici (lo sarebbero diventati solo a metà maggio) che si è venuti a conoscenza solo attraverso amicizie giuste.
Oddio, qualche indizio Palombo, sulla provenienza delle sue fonti, lo aveva anche dato, in quell’articolo, quando, nel finale, suggeriva di abbandonare i cellulari e ritornare ai “vecchi e cari pizzini”. E del resto l’intero articolo poteva essere considerato un vero e proprio pizzino, inteso come messaggio cifrato, destinato ad essere compreso solo da pochi.
Oggi, come detto, Palombo torna sulla vicenda, in occasione del decimo anniversario.
Non avevamo una sfera di cristallo o capacità profetiche, dice, ma solo un’assidua frequentazione dei palazzi dello sport e, tramite il collega Galdi, delle Procure della Repubblica. Peccato, forse sarebbe stato preferibile e meno inquietante se avessero davvero avuto capacità divinatorie, per la verità, piuttosto che questa ammissione, definitiva, di un collegamento diretto e preferenziale tra quel giornale e le Procure (sportiva e ordinaria). Un collegamento che sarà sublimato dalla pubblicazione delle sentenze il giorno prima. Un collegamento e una linea editoriale (lo stesso direttore Monti, nel 2010, si lasciò sfuggire che il compito della stampa era di “orientare l’opinione pubblica”) chiarissimi, dimostrati dai titoli a nove colonne, quasi mai supportati da concreti riscontri, che, “piaccia o non piaccia” sono gli unici su cui si devono fondare le sentenze.
Calciopoli non è “una storia chiara”, come vorrebbe Palombo. Perlomeno, non può esserlo fino a quando ci saranno quelle che lui stesso chiama “piccole lacune”. Parlare di giustizia con “piccole lacune” è un ossimoro, Palombo dovrebbe saperlo. Non possono e non devono esserci “piccole lacune” in una storia che ha condizionato, stravolto, distrutto la vita di esseri umani, perché calciopoli, al netto della vicenda sportiva, è stato questa roba qui.
Non si può dire, a meno di non voler fare un’offesa alla intelligenza di chi scrive e di chi legge, che “vi è stata giustizia giusta, penale e sportiva” in quella storia e poi parlare di “errori laterali”, facendo intendere che, forse, quello scudetto non andava assegnato a quella società “che aveva qualcosa (poco, certo meno di tutti) da farsi perdonare” e ammettendo che le intercettazioni che la riguardavano non dovevano essere stralciate.
Un esercizio di equilibrismo perfetto, senza dubbio, ma che in nessun modo può portare a parlare di sentenza giusta e caso chiuso. Non può esserci “giustizia giusta” dal punto di vista sportivo dopo la relazione Palazzi del 2011, dopo le decine di migliaia di intercettazioni “scoperte” quando era troppo tardi; non può parlarsi di “sovrapposizione” tra la giustizia penale e quella sportiva quando la squadra maggiormente penalizzata dal processo sportivo ha avuto conseguenze quasi nulle in quello penale; non può esserci “giustizia giusta”, né sovrapposizione dei giudicati, se ci sono sentenze pronunciate “in nome del popolo italiano” in cui si afferma che non vi è prova dell’alterazione delle gare e che i sorteggi di quel campionato non erano truccati e, contemporaneamente, c’è una società punita in campo sportivo proprio per quei (presunti) comportamenti.
Insomma, quello di oggi sembra essere una sorta di auspicio del giornalista. Auspicio a chiudere tutto, anche il contenzioso al Tar o quello tra la Juve e la Federazione che “non ha né capo né coda” (altra sfera di cristallo?). Una volontà che lo spinge (è la parte più incredibile dell’articolo, senza dubbio) a sperare nell’oblio. Di tutto e di tutti. E, per cominciare, prova lui a dimenticare i nomi dei protagonisti di Calciopoli. No, Palombo, non sono d’accordo. Provi a farli. Provi ad elencarli i nomi di tutti quelli che sono entrati nel tritacarne, grazie alle intercettazioni di cui si vantava di conoscere il contenuto dieci anni fa, e ne sono usciti stritolati negli affetti, nelle attività lavorative, nella salute e assolti dalle accuse. Forse costoro meritano qualcosa in più dell’oblio da lei tanto auspicato.
Che poi, a pensarci bene, qualcuno che voleva truccare i sorteggi, in quel periodo c’era, eccome. Provate a sentire questa intercettazione del 7 marzo 2005. C’è uno, ed è Bergamo che prova in tutti i modi a difendere il suo operato, giustificando le scelte, assicurando la sua buona fede, provando a far capire all’interlocutore che non poteva farci nulla se dal sorteggio era venuto fuori un arbitro piuttosto che l’altro, e magari quello sorteggiato era il meno indicato. E c’è un altro che (come anche un alto dirigente di società in altra occasione, ma “certo, meno di tutti”) chiedeva di forzare la mano, di fare in modo che il sorteggio venisse “pilotato”. Chi è l’altro? Magari è uno che ha suggerito il titolo dell’edizione della Gazzetta del 7 novembre 2009. Un esperto in materia, diciamo…
di Francesco “Frales” Alessandrella
Quando l’Inter “rubbava”
Oggi la Gazzetta dello Sport “festeggia” il decennale dell’anticipazione di Ruggiero Palombo sull’arrivo (13 giorni dopo) delle prime intercettazioni di Calciopoli. Non ritornerò sull’argomento, né sulle sentenze: trovate tutto quanto nell’archivio del mio sito personale, vi rimando lì.
La mia riflessione, oggi, voleva essere diretta soprattutto ai “secondi”, ai primi degli sconfitti, a quei tifosi che negli ultimi anni hanno visto la propria squadra battagliare con la Juventus e perdere. Perché “la Juventus rubba”. Lo stesso, monotono, antisportivo ritornello che si sentiva appunto prima di 10 anni fa e che si continua a sentire ancora oggi, nonostante processi, condanne e “pulizie” varie fatte di quel calcio “corrotto”.
Siete sicuri – voi napoletani e prima ancora voi romanisti – che il problema sia la Juventus? Mi spiego. Negli ultimi 10 anni, 3 Scudetti si sono conclusi con un risicato margine tra la prima e la seconda: uno è ovviamente il primo di Antonio Conte alla Juve, quello del gol di Muntari, e ricordiamo perfettamente tutti (“la Juve rubba”) le polemiche che ne seguirono. E gli altri due? Probabilmente, urge rinfrescatina alla memoria.
Queste sono alcune delle prime pagine di Corriere dello Sport e Gazzetta dello Sport a proposito delle furiose polemiche arbitrali del campionato 2007/08 vinto dall’Inter sulla Roma con 3 punti di vantaggio.
A fine campionato, un amaraggiato De Rossi dirà: “Ci sono state sette-otto partite falsate. È un peccato dovere parlare di questi episodi ma questo campionato non si può ridurre a due partite perché quest’anno è successo il finimondo. (…) I giocatori dell’Inter se lo sono sudato lo scudetto ma un campionato così particolare non si vedeva da tanto tempo. Mi chiedo cosa sarebbe potuto accadere se fosse successo alla Juve ciò che è successo all’Inter” (18/05/2008)
E Il Romanista? Il concetto è abbastanza chiaro?
Passiamo alle prime pagine del Corriere dello Sport (sorry, alla Gazza erano impegnati a celebrare il Triplete) della stagione 2009/10, nella quale l’Inter vinse lo Scudetto per 2 punti sulla Roma. Polemiche? Ovviamente sì.
A fine campionato, a sugellare una stagione di proteste e complotti, Francesco Totti dirà: “Nel rush finale per lo scudetto ci è mancato il secondo tempo con la Sampdoria e qualche fischio arbitrale. D’altra parte quello manca sempre, magari gli altri sono più forti, ma hanno sempre qualche favore dalla loro parte. Ci hanno rubato due scudetti, anche se, in effetti, quest’anno l’abbiamo perso anche da soli. Dalla Juventus di Moggi, all’Inter di adesso non è cambiato molto, solamente il colore delle strisce”. (20/07/2010)
Magari avrete ancora in mente la trionfale cavalcata nerazzurra in Champions League. Trionfale lo fu, non c’è dubbio, ma anche – diciamocelo – viziata da qualche aiutino arbitrale tanto che Barcellona, Chelsea e Bayern Monaco si infuriarono con l’arbitro tra proteste e sospetti per le designazioni. Un paio di esempi.
Fermi, però, che già vi vedo a condividere tutte le foto una ad una sui social: no, l’intento di questo post non è scrivere “L’Inter rubba”. Cioè, sì, la soddisfazione me la sono tolta ugualmente, ma non era quello il punto. Era una evidente provocazione. La riflessione è ben altra. E’ che – a ben vedere – da sempre il primo classificato, per definizione, in Italia “rubba”. Juve, Inter, buono, cattivo, a strisce, a tinta unica, a torto o a ragione. Sempre. Se eri lì ad un passo dal vincere e non l’hai fatto, è per colpa degli arbitri. Se sei finito a 15 punti di distacco, è sempre stata colpa degli arbitri fino ad un certo punto e poi hai mollato tu. Dire degli altri “hanno rubbato” è esattamente ciò che si diceva 10 anni fa e che si è continuato a dire anche dopo, come nulla fosse successo.
E’ questo uno dei principali fallimenti di Calciopoli: non è servito a niente spazzare via la dirigenza bianconera e mandare in B una squadra e una tifoseria al seguito, se non per far godere (neanche tanto a lungo) le tifoserie avversarie. Due campionati dopo, le “vittime” si erano già trasformate da simpatiche perdenti a “ladri di Scudetti” (due). E ora, quelli “ripuliti”, sono tornati di nuovo sporchi e cattivi come e più di prima. Non è che, più semplicemente, chi perde ha qualche problemino ad ammetterne i reali motivi?
Antonio Corsa.