-8 e siamo questi, dice Allegri a Ronaldo

Meno otto. E la trasferta segnata con il pennarello rosso al momento della pubblicazione dei calendari è già passata in cavalleria. La Juve ha vinto la partita e lo scudetto con una punizione, uno sviluppo da angolo, una manciata di minuti di superiorità numerica e cinquanta minuti di palla all’avversario, dei quali mezz’ora di pura esercitazione difensiva non senza qualche imbarazzo. In passato ci è successo di vincerne con epiloghi simili, solo che accadeva tra l’ultima e la penultima giornata.

Il lunedì però è il giorno della sveglia, e il dibattito fa già parte di ieri – perfino lo scudetto fa parte di ieri – perché la distonìa è forte tra l’ottavo del cannibale e l’ottavo dell’impossibile (a occhio, mi sento di dire che uno juventino su cinque crede al ribaltone). Una distonìa rappresentata questa volta in tutto e per tutto dalle espressioni di Cristiano Ronaldo – uno che al giocattolo non vuole rinunciare per nulla al mondo, uno che cercava qualcosa che Allegri in questo momento non è preparato, o intenzionato, a dargli; peggio è se la Juve reale e la Juve del mondo ideale finiscono per essere la Juve calcisticamente malata descritta dai volti e dalle smorfie di chi ama questa squadra, spende per questa squadra, soffre per questa squadra, ci mette anche la faccia per questa squadra.

Tutti costoro non sono però nelle condizioni di poter catturare l’urlo che esce dal nucleo del mondo Juve: “Abbiamo bisogno di positività, nove giorni di fiducia, tutti dalla stessa parte senza disfattismi“. E badate bene: non per passare il turno, ma per vincerla. E’ una sfumatura decisiva, che spiega che nel cuore dello spogliatoio si è ben lontani dal dover salvare il salvabile. La sensazione è che la squadra senta ancora ben lontana la Partita. Almeno non ci si arriverà logori dal punto di vista mentale, che poi è ciò a cui punta Allegri quando parla di spensieratezza per quella che sarà soltanto una partita di calcio.

C’è una gara di mezzo allo Stadium – quattro giorni e poi altri tre – e ci sarà un avvicinamento che sarà il più lento possibile: Allegri quindi non batterà sul chiodo fisso, sull’ossessione, sulla battaglia che vale la vita o la morte (in campionato la dialettica è stata invero molto ossessiva in questi anni). E personalmente ritengo che in pochi tra i calciatori avrebbero il desiderio di giocarla questa sera stessa, intendo come atto di narcisismo e di coraggio, se non Cristiano Ronaldo. Il che rappresenta una scissione di concetto che non ha ancora trovato il suo giusto bilanciamento attraverso un sano compromesso tecnico: la Juve gioca come ha sempre giocato con Allegri, usa gli stessi espedienti dentro la partita, e l’ennesima vittoria in quel di Napoli è una vittoria già vista. Non c’è nulla di diverso, ma Via col Vento sulle Smart Tv – diciamolo con onestà – oggi non lo guarda più nessuno.

Ultima notazione, la formazione: siamo questi nel gergo di Allegri significa che ha robustezza ciò che era trapelato in settimana, ovvero che il tecnico non ha in testa Dybala per il 12 marzo. Il dubbio che lo attanaglia è il nome del terzo centrocampista (visto che con due in mezzo al San Paolo è stata sempre palla a loro), con Bentancur avvantaggiato su un Emre Can che non azzecca una scelta di passaggio ma vive di strapotere fisico (sto sempre parafrasando il mister, che quando si lancia offre dettagli che sono notizie). In cuor suo valuterebbe Douglas Costa per i famosi 70 minuti che anche se saremo ancora 0-0 non saremo ancora eliminati ai danni di Bernardeschi. Ci sono però di fronte ancora sette cene, quattro sedute tattiche, due riunioni tecniche e un paio di incontri ravvicinati del terzo tipo presso la Continassa. Troppa grazia per noi giornalisti alle prese con un estroso della panchina e della battutina.

Luca Momblano.