ZERO – all’italico pallone della faziosità TV/Stampa che inghiotte in un buco nero un netto episodio di rigore contro l’Inter dopo 10 giorni di presunti rigori richiesti dai nerazzurri, al becero tifo contro a tutti i costi che spinge il vecchio cuore granata dei tifosi all’Olimpico esultare ad ogni rete della Roma contro la propria squadra. Le squadre si scansano, i rigori clamorosi si negano, la ruota gira, ma stavolta “succede”, capita.
UNO – il gol preso al 90° di una gara archiviata sul 4-0. Dopo 580 minuti, 9 ore e venti di invulnerabilità. Lontani da quei 973 minuti leggendari dell’anno scorso ma comunque viatico rassicurante dopo un inizio di stagione bucherellato. Superficialità grave, sempre su corner, con Asa (quello che sui nostri corner resta dietro…) stretto in mezzo a due torri. Imperdonabile faciloneria in altri contesti, veniale distrazione su un 4-0 con testa già ad Oporto.
DUE – Gli unici due palloni che si sono scambiati Paulo Dybala e Gonzalo Higuain. I due tangheri non si passano mai la palla, lo fanno solo quando è necessario ed utile a cesellare capolavori offensivi e intervenire chirurgicamente nel cuore nemico. Assist dentro, taglio e gol; tacco no-look e palla in buca. Due bastano e avanzano
TRE – al collerico Bonucci che risponde per le rime al mister. Incomprensioni, tensioni, l’ennesimo plateale sgarbo ad Allegri, dopo Dybala e Lichtsteiner. E prima ancora lo scazzo clamoroso dello stesso Allegri a Doha o, nei confronti del quarto uomo, a Firenze. Va bene la tensione positiva, va benissimo la difesa dei colori al 300° gettone con la maglia Juve. Ma a noi queste cose non piacciono, né contro gli arbitri né inter-nos. La rabbia agonistica, quella spartana di Leonida Bonucci e delle sue 300 è quella con cui rincorre gli avversari o scaglia i palloni in rete, non parolacce con la panchina. Queste scivolate vanno azzerate, con multe e silenzio.
QUATTRO – gol al Palermo. Finalmente oltre il limite tassativo dei due imposto in precedenza dal 4231. Manovra come al solito tra luci e ombre, intensità e frenate, al netto del turn-over con 2 al ritorno dalla Coppa Africa (Benatia, Lemina), 2 ancora convalescenti (Dani Alves, Marchisio), 3 reduci da convalescenza e/o panca (Pjaca, Asa, Sturaro). Stavolta però davanti la qualità ha tracimato e, fusa nella doppietta di Dybala, ha fatto da splendida aggiunta al solito palo colpito, alla solita aggressività (Marchisio) e cinismo (Pipa).
CINQUE – di stimolo a Marko Pjaca. Fuoriclasse si nasce e si cresce, si arriva al Paradiso dei top sia attraverso guzzi mirabolanti distillati in brevi comparsate, sia in un lunghe faticose prove da 90 minuti contro squadre minori (Crotone, Palermo), lastricate di sbagli di posizione, frustranti assalti respinti da muri di gomma e qualche lampo che si spegne prima di arrivare al bagliore pieno del gol. Nulla di inaspettato, Marko resta un gioiello che non smettere di rilucere ma con rinnovata concretezza, chi si aspettava invece doppiette mirabolanti e serpentine abbacinanti per 90+90 minuti ha un concetto troppo Messianico e Playstationiano del gioco del calcio.
SEI – per contraltare al falegname Sturaro che, tra stop poco ortodossi e passaggi lacunosi va a contrastare alto e prendersi falli, va a fare legna e ridare ossigeno ai compagni. A Sturaro non manca mai quel centesimo per fare l’Euro completo. E’ sempre lì dove deve essere a fare quel tanto che deve fare e quel poco che può. C’è chi nasce Pjaca e chi nasce Sturaro. E al momento Sturaro non solo è nato ma è anche già cresciuto, pasciuto e maturo.
SETTE – a Marchisio, che è la media aritmetica (e anche filosofica) tra l’insufficienza dinamica, di ritmo, di padronanza della sua zona di campo e quella rabbia spiccia e compressa con cui butta dentro il gol del vantaggio, secoli dopo l’ultimo gol su azione. Non è banale, non è una coincidenza. E’ vero che il gol arriva sugli sviluppi di un piazzata, ma il nuovo ruolo potrebbe consentire a Marchisio l’ennesimo ringiovanimento tattico. Dividere la zona davanti alla difesa può rendere Claudio ancora più efficace nei recuperi in non possesso e in impostazione oltre a fargli ritrovare dentro la capacità di inserimento con timing perfetto, letale ai tempi del primo scudetto. Bentornato
OTTO – a Paulo Dybala perché a fine gara, dopo una doppietta, un assist e un palo dice “abbiamo giocato male, con troppa distrazione”, perché i gol sono come il ketchup e quando hai un piede come il suo esplodono all’improvviso. Alle due sublimi punizioni, dopo le due sbagliate col Cagliari, che prendono il palo basso a sinistra e la ragnatela alta a destra. Dybala si carica, si flette, e scaglia. Che sia un paradigma anche della sua evoluzione in questo travagliato secondo anno al top, caricarsi, flettersi, firmare il rinnovo e scagliare sé stesso e la Juve nel firmamento.
NOVE – a Gonzalo Gerardo Higuain. L’anno scorso qualcuno legittimamente disse che non c’erano più parole per lui, con 36 gol all’attivo e una squadra-città-movimento-ideale caricato sulle spalle. Adesso però le parole ritornano: cinico, devastante, diligente, inarrestabile, funzionale, terminale, esiziale. Non sbaglia/perde un singolo pallone in tutto il campo e non fallisce/spreca una singola occasione in area. Pipa ora è come quella Juve iper-dominante in Italia che deve consacrarsi a livello Europeo. Non valgono a niente i paragoni con Suarez e Lewandovsky se in Champions Higuain segna ancora molto meno di Cavani, Aguero, Aubameyang e Diego Costa. Ora è il momento.
DIECI – a questa incredibile sequela di vittorie casalinghe: VVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVV, 29, VENTINOVE, una stagione e mezza in casa di trionfi. Immaginifico, inimmaginabile. Sotterrati qualsiasi record italiani, sepolti record europei moderni, resta solo un numero di quasi 60 anni fa, 39 vittorie casalinghe di fila, stabilite dal Barcellona tra il 1959 e il 1960 (con Helenio Herrera e i suoi metodi…rivitalizzanti). Lo Juventus Stadium è lo stadio più vincente e inviolato della storia (grazie alla sua tenera età) e quello che succede tra quelle mure è una magia calcistica senza pari. Il calcio è uno sport che si gioca 11 contro 11 e alla fine, allo Stadium, vince la Juve.
Sandro Scarpa.