di Michele Tossani
Le prestazioni di Alves in bianconero, fino ad ora, hanno deluso qualche aspettativa. Ma le recenti prestazioni fanno ben sperare. Statistiche e analisi.
La stagione di Dani Alves, rientrato da qualche settimana dopo una lunga assenza di tre mesi dovuta al brutto infortunio subito nella sconfitta di Genova, non è stata fin qui all’altezza delle aspettative.
Pezzo da 90 del mercato estivo, arrivato con uno score di 102 assist distribuiti nei suoi 8 anni a Barcellona, il brasiliano ha incontrato non poche difficoltà nell’ambientamento in un calcio più tattico come quello italiano. Dire che la serie A rappresenti, dal punto di vista tattico, un test difficile da superare per ogni calciatore straniero è, forse, un’ovvietà, ma è anche una verità incontrovertibile.
Al suo arrivo in Italia, Dani Alves si è trovato di fronte un sistema tattico nuovo per lui come il 3-5-2 di Allegri, e richieste sul piano difensivo abbastanza inusuali per un giocatore abituato alle lunghe fasi di possesso palla del futbol blaugrana. Ma, paradossalmente, le statistiche ci dicono che il brasiliano ha in realtà avuto più difficoltà nell’essere un fattore in fase di possesso palla che non in fase difensiva. Infatti, con palla agli avversari Dani Alves ha registrato un buon 57% di contrasti vinti e una media di 1.8 palloni intercettati a partita. E anche le palle perse (0.9 a partita) non sono molte. I problemi, come detto, sono nell’altra fase di gioco. Quando la Juventus ha la palla infatti Dani Alves ha registrato appena 0.6 (55%) di dribbling riusciti a partita con 0 assist e appena il 41% di riuscita sui 29 cross provati.
Ma il dato che forse permette maggiormente di inquadrare le difficoltà offensive di Dani Alves è quello relativo alla precisione nei passaggi. Se il dato generale parla di un buon 84% di riuscita, questa percentuale cala all’81% quando si parla di passaggi riusciti nella metà campo avversaria.
Dani Alves è parso non a proprio agio nella difesa a tre della Juventus. L’ex Barcellona ha infatti mostrato una certa tendenza ad accentrarsi, occupando l’half-space destro piuttosto che la fascia laterale. Questo ha reso per così dire squilibrata la squadra quando Alves era in campo, con una difficoltà nell’ottenere ampiezza sul lato di campo in cui il brasiliano veniva impiegato. Il passaggio al 4-2-3-1/4-2-4 proposto da Allegri potrebbe agevolare Alves a patto che il giocatore si dimostri in grado di occupare correttamente la sua zona di campo come esterno destro.
Nonostante l’impiego contemporaneo di Madzukic, Dybala, Higuain e Cuadrado i terzini nel gioco di Allegri devono essere pronti a garantire corse di sovrapposizione, cosa che Lichsteiner (inizialmente ai margini del progetto Juve di quest’anno) ha mostrato di saper ancora dare con continuità. La prestazione offerta dal laterale brasiliano contro il Porto fa ben sperare per questa seconda parte di stagione.
di Enrico
L’infortunio che ha colpito Alves, il più grave nel corso della sua carriera.
Tra gli infortuni traumatici più frequenti che riguardano i calciatori, suddivisi in vari gradi di gravità, ci sono, le fratture ossee della gamba, che in anatomia è quella parte dell’arto inferiore compresa tra il ginocchio e il piede.
Ultimamente la Juventus ha potuto registrare un record assai sfortunato a tal proposito iscrivendo a questa “lista infortuni” in ordine cronologico: Mattiello, Mandragora, Pjaca e per ultimo proprio Dani Alves che ha riportato una frattura composta del perone della gamba sinistra.
Diciamo subito che delle fratture alla gamba questa è una delle meno complicate da gestire sia per quel che riguarda il recupero funzionale sia per quel che riguarda il protocollo riabilitativo. Verosimilmente, guardando il video dello scontro con Ocampos del 27 novembre, la zona del perone interessata, è l’estremità distale.
Quest’ultima è la sezione ossea più vicina al malleolo peroneale e quindi alla Caviglia che è uno dei più complessi comparti articolari del corpo umano.
Alla caviglia, quindi, si innesta il perone che è una delle ossa lunghe del corpo umano e gioca un ruolo fondamentale nel meccanismo di locomozione.
Infatti, è sede di muscoli essenziali per camminare, correre, saltare e quindi anche “calciare”. Nello specifico il perone permette i movimenti di plantariflessione (camminare sulle punte dei piedi) e dorsiflessione (camminare sui talloni) del piede. La frattura composta non prevede intervento chirurgico perché le ossa mantengono l’allineamento e basta l’immobilizzazione per consentirne la ricalcificazione.
Questa frattura al perone è l’infortunio più grave subito da Dani Alves che, nella sua lunga carriera, si era fermato per 7 settimane circa, solo in occasione di uno stiramento ad un bicipite femorale.
I tempi di recupero per il ritorno all’attività agonistica da una frattura composta sono di circa 2 mesi; tabella di marcia rispettata dal brasiliano ex Barcellona che dopo 2 fugaci apparizioni contro Inter e Crotone è pronto a contendersi il posto da titolare nel nuovo impianto di gioco della Juve 2017 targata Allegri.
di Elena Chiara Mitrani
L’eccentricità di Dani Alves è nota, dentro e fuori dal campo. Attraverso la sua carriera, un singolare vezzo resta una costante: gli piace cambiare numero di maglia frequentemente.
Quando l’estate scorsa si sono intensificate le voci che volevano Dani Alves alla Juventus, un amico culé mi ha rassicurata su Whatsapp dicendo «Tranquilla. Non è bollito, è ancora il migliore. Siamo noi stupidi a lasciarlo andare a zero». Poi mi sono informata su questo giocatore e mi si è aperto un mondo su quella che era già un’icona social calcistica, una creatura a metà tra clown, dispensatore di motti motivazionali e fashion blogger; Alves, nell’immagine di sé che dà al mondo, si auto-attribuisce il ruolo del mattacchione che sta dalla parte dei buoni, mentre la sua posizione in campo l’ha sempre confinato a un ruolo di secondo piano, come spesso capita a chi, almeno sulla carta, gioca più vicino alla propria porta che a quella avversaria. Alzando l’asticella, perché è comunque il Barcellona la squadra in cui Alves ha giocato per la maggior parte della carriera, si può dire che lui sia sempre stato una stella, ma è difficile che la stampa e i tifosi ti considerino la star assoluta della squadra quando giochi con Messi.
I giocatori che, in maniera più o meno calcolata, tentano di proporsi anche fuori dal campo come veri e propri personaggi dello spettacolo, per esempio associando la propria immagine al mondo della musica o della moda, spesso si attaccano al proprio numero di maglia facendolo diventare un segno di riconoscimento, un’aggiunta imprescindibile al proprio nome e cognome. Il legame di un calciatore col feticcio del numero non esiste però solo nell’ottica del marketing, ma anche in quella, più semplicistica e folkloristica, della scaramanzia. Alves in questo rappresenta un’eccezione; per lui il numero di maglia va cambiato spesso, perché poi «diventa obsoleto». In sei stagioni trascorse a Siviglia, il brasiliano cambia tre volte numero di maglia, portando sulle spalle prima l’8, poi il 6, e infine il 4 (degli anni di Alves al Siviglia ha parlato Serena Cellamare in questo nostro articolo). Durante gli anni al Barcellona, i cambi di numero sono stati ancora più frequenti e significativi.
Dani Alves diventa blaugrana nel 2008/09: è un acquisto di rilievo, il difensore più caro mai acquistato dal Barça, con quel cartellino da 32 milioni di euro che superano i 40 una volta aggiunti i bonus. Dopo una stagione a secco e un terzo posto in Liga a 18 punti dal Real, il Barcellona è pronto a riaprire un ciclo. È la prima stagione del Barça straordinario che abbiamo conosciuto negli ultimi anni: dopo l’addio di Ronaldinho, la dieci finisce sulle spalle di Messi.
Alves sceglie il 20, numero solitamente appealing per gli attaccanti di riserva, per coloro vorrebbero la dieci ma non possono. Per Dani, si tratta semplicemente di aggiungere uno zero a quello che forse è il suo numero naturale, il 2, che in quel momento è di Martin Cáceres. È solo il primo capitolo di un percorso straordinario per Alves, che resta al Barça per otto anni e fin da subito stabilisce un legame privilegiato con Messi: i suoi duetti con l’argentino in fase offensiva risultano spesso letali per gli avversari. Non è un caso che Alves figuri nel Pro World XI della FIFA per ognuno degli anni in cui Messi è stato premiato con il Pallone d’Oro, con l’eccezione del 2010, stagione segnata dall’exploit dell’Inter. Il brasiliano diventa subito uno dei punti di forza del Barcellona, facendosi apprezzare per la sua versatilità e la sua tecnica: abile nei tackle, arma in più in fase offensiva, tatticamente irreprensibile e sempre energico e iperattivo in campo. Il Guardian arriva a definirlo «a footballing Sonic the Hedgehog». Nel 2009, i catalani centrano il treble, anche se Alves non gioca la finale di Champions League contro lo United a causa di una squalifica. Si tratta dei primi trofei conquistati dal brasiliano con il Barcellona; alla fine della sua esperienza in blaugrana saranno 25, su un totale di 32 titoli conquistati in carriera.
A partire dalla sua seconda stagione in Catalogna e in seguito alla partenza di Cáceres, Dani sceglie di portare il 2; numero del laterale destro secondo la tradizione, lo stesso del suo idolo Cafù, per lui il migliore di sempre in quella posizione. Alves è però noto per la sua interpretazione “alternativa” del ruolo: proprio la sua partecipazione intensa alla manovra d’attacco lo porta a toccare record storici, come il superamento della quota 100 assist in Liga, di cui 26 solo per Messi, e a segnare gol importanti, per esempio un bellissimo gol nel Clásico del gennaio 2012, valido per i quarti di finale di Copa del Rey.
Alves veste il 2 fino al 2012/13, per quattro stagioni. Indossa questo numero quando tocca quota 100 presenze con la maglia blaugrana, nel 2010, e vince la sua seconda Champions, nel 2011. La finale si disputa a Wembley, ancora una volta contro i Red Devils. Questa volta Alves gioca, così come Abidail, laterale sinistro e grande amico del brasiliano, anche lui squalificato per la finale del 2009. I due sono gli unici non-canterani a potersi fregiare di entrambi i titoli europei vinti dai blaugrana, nel 2009 e 2011. Proprio Abidail alza la Champions nel 2011, in seguito a un bel gesto del capitano Puyol, che gli lascia l’onore dopo il superamento del primo intervento al fegato subito dal giocatore francese nel corso della sua lotta contro il cancro. Purtroppo però, il calvario di Abidail non è finito, ed è necessario un trapianto. Alves, mosso dall’amicizia verso il compagno di squadra, vorrebbe offrirgli una parte del proprio fegato, ma dovrà poi rinunciare al gesto per non rischiare di compromettersi la carriera. L’amicizia con Abidail è però all’origine del successivo cambio di numero di Alves che, quando il francese passa al Monaco, sceglie di indossare il suo numero, il 22. Lo indosserà per due stagioni.
Il 2013/14 è un’annata particolare per il Barcellona: arriva solo un trofeo, la Supercoppa di Spagna, e Tito Vilanova lascia l’incarico di allenatore a metà luglio per dedicarsi alla cure; lo affligge infatti un tumore che finisce per avere la meglio su di lui l’anno successivo. Nonostante l’arrivo di Neymar a completare una squadra già fortissima, il Barça non riesce ad andare al di là dei quarti di Champions, eliminato dall’Atlético. Agli ottavi, però, Alves realizza un exploit segnando due gol, entrambi allo scadere, nella doppia sfida contro il Manchester City. Il primo, nella partita di andata, è frutto di un ottimo inserimento su assist di Neymar; proprio quando sembra che Alves si sia allungato troppo la palla sul controllo, il brasiliano riesce recuperare il pallone e a far passare un preciso rasoterra sotto le gambe di Hart. Il secondo, al Camp Nou, è frutto della partecipazione costante di Alves alle azioni offensive della squadra. Così, mentre la difesa del City sembra nel panico, Iniesta lo trova in aera e gli allunga il pallone quasi dalla linea di fondo, appena un passo dentro l’area piccola. Il tiro di Alves non è irresistibile ma si trasforma in gol nonostante la presenza di tre difensori mancuniani (più il portiere) sulla linea di porta.
Senz’altro più fortunata la seconda stagione di Alves con il 22 sulle spalle; l’annata 2014/15 si conclude infatti con la conquista del secondo treble, ma a fine maggio, nel periodo a ridosso delle due finali di Copa del Rey e Champions League, Alves si concede alla stampa rilasciando dichiarazioni polemiche nei confronti del Barcellona («Mi stanno mancando di rispetto»), lasciando intendere che qualcosa si è rotto e che probabilmente non rinnoverà. Il contenuto dell’intervista è senz’altro spiacevole, e il timing è pessimo, alla vigilia di due sfide importanti. Ma il giocatore non è disposto a lasciar correre sul comportamento del club blaugrana, reo a suo parere di aver cercato di trattenerlo solo in seguito alla ricevuta conferma della sanzione sul blocco del mercato per l’estate 2015. Poi arrivano le vittorie e il legame tra Alves e il Barça si rinsalda: il giocatore firma un contratto di due anni (il secondo opzionale) e decide di cambiare nuovamente numero. Prende il 6, lasciato libero da Xavi.
Dopo una primavera di polemiche con il club, ad Alves viene dunque assegnata la casacca di una leggenda del Barcellona. Oltre ad essere un omaggio a Xavi, la scelta del brasiliano è giustificata da altri due dettagli: il 6 (maggio) è la sua data di nascita, e lo stesso numero l’aveva già accompagnato durante una delle stagioni al Siviglia.
Durante il 2016, Alves fa di tutto per inimicarsi la stampa, definendo i giornalisti «p… basura» («fottuta spazzatura») in un post pubblicato su Instagram dopo la gara contro l’Espanyol. Il brasiliano ce l’ha col sensazionalismo dei giornali, il Barcellona non apprezza e prende le distanze attraverso un comunicato ufficiale. Anche se è lecito pensare che, a livello diplomatico, sul finale il rapporto si sia sfilacciato, gli otto anni di Alves al Barcellona sono stati grandiosi sia per il club che per il giocatore: 25 titoli, e l’orgoglio di aver fatto parte di una delle squadre più forti di tutti i tempi. Parlando del possibile record di trofei individuali (Alves è al momento terzo in questa speciale classifica, con 32 titoli. Giggs ne ha 36, Vitor Baia 35), l’esterno brasiliano ha commentato: «Forse è facile vincere quando sei al Barcellona. Restare al Barcellona per otto anni però, è difficile».
Al termine dell’esperienza in Catalogna, Alves è arrivato a parametro zero alla Juventus; nonostante la casacca numero 2 della Juventus sia priva di un interprete di rilievo da parecchio tempo, a Torino Alves ha scelto il 23, in onore di LeBron James, fresco di trionfo nella NBA dopo il ritorno ai Cleveland Cavaliers. Proprio il ritorno di LeBron ai Cavs dopo i successi di Miami avrebbe ispirato Alves, in un momento della carriera in cui si sta reinventando ed è alla ricerca di nuove sfide dopo la lunga e brillante esperienza al Barcellona. La scelta di strizzare l’occhio all’NBA non è insolita tra i calciatori, specie tra quelli che, visto il seguito di cui godono a livello individuale, sono ormai star planetarie, come i cestisti USA.
La Juventus chiede ad Alves di continuare a fare ciò che faceva al Barcellona, e anche qualcosa di più: oltre ad essere la prima scelta di Allegri sulla fascia destra, ed una sorta di regista aggiunto nella costruzione del gioco della Juve post-Pogba, Alves è uno dei pochi giocatori bianconeri ad aver conquistato la Champions, e ad aver giocato a lungo in una delle squadre costantemente favorite per la vittoria in questa competizione. Da lui ci si aspetta quindi un aiuto importante per costruire quella solidità europea che resta l’ultima ambizione per la squadra bianconera, il passo in avanti per poter davvero puntare al massimo trofeo continentale.
Un nuovo numero e una nuova sfida per Dani Alves, a cui è richiesto, a 33 anni, di far valere il suo peso specifico non solo in termini di energia e classe sul campo, ma anche di esperienza e carisma nello spogliatoio. Dopo una prima parte di stagione ritenuta da molti deludente, i tifosi bianconeri si aspettano una reazione ed un apporto importante da lui, al suo rientro in campo dopo l’infortunio. La sua zampata ad Oporto e il bel gesto di correre ad abbracciare Licht per festeggiare fanno ben sperare.
di Agnese Rumolo
Dani Alves è il giocatore di Serie A che gode di maggior seguito online. Momenti di ordinaria follia nella sua «vita social».
I numeri di Dani Alves sui social network sono impressionati: quasi 12 milioni di follower su Instagram, 8 milioni e passa su Facebook e più di 7 milioni su Twitter. Si può dire però che il social favorito del terzino brasiliano sia il primo; infatti Dani l’ha utilizzato anche per annunciare il suo arrivo a Torino. All’inizio dell’estate 2016, dopo aver accostato il nome di un altro giocatore blaugrana – Mascherano – alla Juventus, tra i media circola la voce dell’arrivo di Dani Alves al club bianconero a parametro zero. Il giocatore non fa nulla per smentire queste voci, anzi: con la complicità della sua fidanzata – la modella Joana Sanz – posta questa fotografia (anticipando così di fatto quello che Pogba e la Adidas avrebbero fatto qualche mese dopo, cioè usare Instagram per seminare indizi riguardanti un trasferimento imminente):
Nei giorni successivi, Alves non posta nulla che possa collegarlo al club bianconero – limitandosi a pubblicare foto di lui e la sua fidanzata mentre si allenano in palestra o filmandosi mentre canta da solo – finché, una sera, dà la buonanotte così:
Dalla frase «Non importa la dimensione del sogno se il sognatore è più grande» e dall’hashtag «Pronto per nuove sfide», il giocatore lascia intendere che oramai Barcellona è oramai parte del passato; infatti, il giorno successivo, Dani Alves è un giocatore della Juventus:
E anche la sua compagna si adatta alla nuova svolta della carriera di Dani:
L’hashtag preferito del giocatore è #goodcrazyinthehouse, con il quale sembra voler sottolineare la sua natura mattacchiona e un po’ folle, ma alla fine buona; non lo abbandona mai, neanche quando cucina per la famiglia:
Dal suo profilo Instagram si può capire molto di Dani Alves, un personaggio polivalente fuori dal campo. È infatti un fashion blogger, un cantante, un innamorato, un tifoso, un padre, ed un emulatore di un altro giocatore appassionato di Instagram, Patrice Evra.
Tuttavia per Dani Alves i social non sono solo un mezzo per esprimere la sua personalità frizzante ed esuberante; spesso infatti li ha utilizzati per motivi ben più seri, come nel caso del celebre episodio della banana:
Il gesto del calciatore, in risposta a una provocazione razzista, ha infatti scatenato una campagna anti-razzismo su internet (su Twitter ed Instagram in primis) nella quale i partecipanti postavano una foto con una banana in mano o nell’atto di mangiarla, come fatto da Alves in campo, usando l’hashtag #WeAreAllMonkeys, siamo tutti scimmie. Gli aderenti alla campagna sono numerosi, appartenenti al mondo del calcio e non, e tutto parte dal gesto di Alves.
Sembra proprio che il calciatore sia uno dei dominatori incontrastati di Instagram, social a cui non ha rinunciato neanche dopo il suo arrivo a Torino; posta infatti spesso foto insieme ai suoi compagni, oltre ai soliti sprazzi della sua “buona follia”. Qui, invece, festeggia i 119 anni della Juventus:
E qui saluta l’oramai ex-compagno di squadra Patrice Evra, di cui aveva adottato la celebre frase «I love this game»:
Tra le imprese più recenti di Alves, è da notare il suo karaoke effettuato in palestra a Vinovo, con la testa coperta dal cestino della spazzatura: che il brasiliano volesse festeggiare, nella sua solita maniera originale, la vittoria contro il Porto?
Da tifosi ormai abituati a una forte presenza dei giocatori suoi social, non ci resta che sperare che Alves possa presto postare foto di i tronfi e i trofei ottenuti con la maglia della Juventus.