VIII. Il numero degli scudetti. Tatuati sulla pelle. Ciro Ferrara è un monumento del calcio italiano. Vent’anni di carriera, due sole squadre: Napoli e Juventus. Poi l’inizio di una nuova fase della propria vita: dirigente bianconero, allenatore, commentatore televisivo. Poche, pochissime polemiche: una volta, in una intervista post partita, propose di non commentare almeno per una settimana di non parlare di episodi da moviola “così, una volta tanto, parliamo di calcio, che non è fatto solo di polemiche, ma di gesti tecnici, schermaglie tattiche, temperamento e generosità“.
L’amore per il calcio batte sempre forte nel suo cuore. Ciro dovrebbe essere preso come esempio per i giovani ragazzi che sperano di diventare calciatori: il talento serve – e senza quello non si può nemmeno partire -, ma è l’impegno quotidiano a nutrire la passione: il sacrificio sopportato con la leggerezza, la stessa che lo ha spinto per tutta una carriera.
Uno degli ultimi veri e puri difensori italiani: cresciuto nell’epoca della marcatura a uomo, diventerà un protagonista anche nell’epoca della zona pura, smentendo tutti i critici (tra i quali un certo Sacchi), perché la bravura, la classe, l’intelligenza sono superiori a qualsiasi sistema scelto. A calcio si sa giocare o non si sa giocare : Ferrara è da sempre stato uno di quelli che apparteneva alla prima categoria.
La sua signorilità si dimostra nel periodo della permanenza sulla panchina della Juventus. Quello che ha dovuto passare dopo Natale (le polemiche, l’esonero annunciato e rimandato ogni giorni) poteva far cedere i suoi nervi: anche in questo caso, nessuna polemica, lavoro sul campo, forse il sorriso un po’ più spento.
Ciro Ferrara ha avuto solo due squadre. Napoli e Juventus. Amandole tutte e due. Un professionista serio, un uomo vero. Tanti auguri.
Davide Tereruzzi