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FIGC-Juve: stallo alla messicana

Tutte le mafie e l’andragheta ci fanno schifo. Punto. La giustizia sportiva ci inquieta. Due punti.

Mischiare una passione viscerale e connaturate fin dall’infanzia con uno dei mali più ignominiosi del nostro tempo è orrendo, disarmante, devastante. Punto e a capo.

I fatti sono noti. C’è un Procuratore FIGC, Pecoraro, ex-Prefetto di Roma per molti anni, che, agli albori di un’indagine sportiva innescata dagli atti della Procura di Torino, va a riferire in Commissione Antimafia di incontri consapevoli tra Agnelli ed altri dirigenti Juve con “boss mafiosi“, secondo quanto emerso da “intercettazioni”. Quella stessa serata Pecoraro smentisce i giornali (e sé stesso) dicendo che aveva chiesto di secretare l’audizione e che l’indagine doveva ancora iniziare.

Il deferimento sportivo parlerà di irregolarità nella gestione dei biglietti, e di rapporti privilegiati con ultrà (e fin qui, la Juve ammette, anzi di fatto ha già confessato nelle memorie difensive). Rapporti stabili e duraturi (ahia! Ci ricorda un “illecito strutturato” di calciopoliana memoria) particolarmente gravi ed allarmanti anche sotto il profilo sociale (ahia! qui si sconfina dallo sportivo al sociale e la parola “grave” è messa lì ad allargare le pene ) perché creano un sistema di ordine pubblico alternativo a quello garantito dagli organi statali (uhm, garantito, come in Italia-Albania o Napoli-Fiorentina, finale di Coppa Italia?) e alimenta indebitamente il business della malavita organizzata (termine ibrido che mischia “malavita” e “criminalità organizzata”)

A distanza di 20 giorni Pecoraro riferisce che l’intercettazione che inchiodava Agnelli sugli incontri con i “mafiosi” in realtà non esiste, ma si tratta di “interpretazioni del PM (l’accusa della giustizia ordinaria)”, di appunti su altre intercettazioni con altri dirigenti. La stessa serata il Procuratore di Torino Spataro smentisce tali “interpretazioni” e, dopo poco, Pecoraro smentisce di nuovo sé stesso (c’è ancora una volta l’audio) dicendo di non aver parlato di interpretazioni.

Ora, che un procuratore FIGC, alla sua primissima mossa, accusi il Presidente della principale società calcistica di “incontri con mafiosi” in Commissione Antimafia, sulla base di documentazione che poi risulta non esistere e 20 giorni dopo dichiari, alla stessa Commissione “non vi permetto di  dire che ho associato Agnelli alla ‘ndrangheta” è di una gravità sesquipedale. In qualsiasi altro Paese sarebbe bastato a portare alla dimissioni lo stesso Pecoraro (chiesta anche da alcuni quotidiani). Ma siamo in questo Paese e abbiamo questa federazione e giustizia sportiva, quindi accantoniamo i #PecoraroDimettiti, anacronistici e irreali. Glissiamo anche sulla stessa Commissione Antimafia, con la Bindi che prima accredita Pecoraro, poi lo bacchetta, con membri tifosi di qua e di là e con fiumi di dichiarazioni e interviste che, di fatto, fanno pensare (peccato) ad un’inclinazione più mediatica che consultiva di quest’organo.

Che la Juve non c’entri NULLA con la mafia non lo dice Agnelli o la logica, ma la Procura di Torino che dopo 3 anni di indagini e intercettazioni durissime ed invasive, pur con l’intento di “fottere” la Juve, i suoi dirigenti e il suo Presidente, alla fine li scagiona, non li mette tra gli indagati, figuriamoci tra i condannati di concorso esterno. Punto.

Ragioniamo a freddo. Abbandoniamo complotti, manovratori, saltiamo il fango e l’abominevole danno di immagine. Pecoraro fa il suo lavoro, ravvisa un illecito nella gestione dei biglietti e nei rapporti con gli ultrà che inevitabilmente alimenta il bagarinaggio e -in cambio di un ordine pubblico non garantito da leggi e poteri di Digos e Questura- produce profitto per i capi ultrà, incensurati e autorizzati, ma di fatto malavitosi o comunque “non stinchi di santo” come ammette lo stesso Agnelli. Male, malissimo. Juve colpevole, pur con mille attenuanti. Punto. Multa, inibizione e auspicabilmente una bella pulizia della nostra curva (e magari poi di tutte le altre). Il fatto è che oltre NON si può e NON si deve andare.

A noi non interessa che Pecoraro si dimetta (rimedio utopica ad un’indecenza commessa), anche senza di lui la Procura FIGC andrebbe avanti col processo. A noi interessa che si tronchi quel passaggio che lega le colpe Juve in materia di (forzosi) rapporti (economici) privilegiati con ultrà, al livello successivo, quello che vede alcuni di questi capi ultrà, pur incensurati, appartenere non alla “malavita” ma alla criminalità organizzata. A noi interessa che il processo sportivo arrivi alle stesse conclusioni a cui la Procura di Torino giunge alla fine delle indagini: la Juve non era né complice, né consapevole.

Ma, lo sappiamo benissimo, la Procura sportiva non funziona così. Non è “solo” un organo di giustizia ma anche luogo di sintesi politica e di auto-referenzialità. Se un reato lo commette l’Atletico Brianza le si commina una multa e via, se il reato lo commette una big (magari LA big) allora si procede rapidi ma con teatralità, inesorabili ma col massimo della virulenza. E’ una sorta di medaglia sul petto.

Ora, le sorti “sportive” di Agnelli dipendono dalla Procura FIGC, e le sorti della procura sportiva, in termini di peso politico e credibilità, potrebbero dipendere dalla Juve. E’ uno stallo alla messicana, situazione in cui due soggetti (tre per Tarantino e soci) si tengono sotto tiro a vicenda in modo che nessuno possa attaccare l’altro senza essere a sua volta attaccato o colpito.

La Juve, col vuoto delle milanesi e il peso più macchiettistico che reale di Lotito e De Laurentiis (accusati di essere i mandanti di Pecoraro, ma a quel punto chiudiamo tutto e andiamo a casa, o in Premier…) avrebbe l’influenza da spendere per decidere delle sorti della Procura (basta vedere come, per la prima volta, il DG della FIGC Uva sia arrivato al board UEFA, grazie ai buoni uffici di Agnelli in ECA) e avrebbe, si spera, il peso delle “carte” della Procura di Torino per spazzare via l’accusa più grave del deferimento sportivo. Pecoraro dalla sua ha però ancora l’arma di una giustizia sportiva dai contorni offuscati, dal range enorme di sanzioni disparate per lo stesso illecito a seconda della gravità (termine molto soggettivo e poco disciplinato) e ha l’arma del meccanismo medievale del processo sportivo: celere, contingentato, basato anche su sospetti o presunzioni e con onere della prova alla difesa, senza testimoni o procedure certe.

Stallo alla messicana. Che ha due soluzioni: un accordo di buon senso imposto da chi ha l’arma più pesante o da chi ha più armi oppure con una carneficina. A Maggio si saprà.

Sandro Scarpa.