La Juve è nella Leggenda. Mai nessuno aveva vinto sei scudetti consecutivi. L’ha fatto un gruppo di ragazzi straordinari, magistralmente allenati da uno dei tecnici più preparati, equilibrati, capaci del mondo. Massimiliano Allegri e i suoi uomini raccolgono quanto seminato in dieci mesi di dominio, e a distanza di quattro giorni alzano il secondo trofeo di un’altra stagione pazzesca. Sei campionati consecutivi e tre accoppiate scudetto-Coppa Italia di fila: anche questo è un record. Anche questo è un altro tassello del capolavoro.
MANDZUKIC, COMPLEANNO CON GOL
C’è il Crotone tra la Juve e il trionfo. Potrebbe sembrare una formalità, ma i calabresi arrivano allo Stadium con la carica di chi sta lottando per salvarsi, grazie ai 17 punti ottenuti nelle ultime 7 giornate, e la spensieratezza di chi non ha nulla da perdere. Le pressioni insomma sono tutte sulle spalle dei bianconeri, che hanno però la classe e l’esperienza per scrollarsele di dosso.
Il gioco è subito in mano loro e dopo la carezza di Pjanic all’incrocio, con una punizione dai venticinque metri, Mandzukic festeggia il suo trentunesimo compleanno arrivando con perfetto tempismo sul traversone rasoterra di Cuadrado e spedendo in rete da due passi.
DECIMA JOYA
Si gioca in una sola metà campo e, nonostante gli spazi intasati, la rapidità e la precisione degli scambi permettono ai bianconeri di strappare applausi e di portare al tiro Dybala e Higuain, le cui conclusioni vengono contratte dal muro eretto dal Crotone a protezione dell’area. I ritmi calano presto, un po’ per il caldo, un po’ per il fatto che i calabresi sembrino quasi rassegnati, ma la Juve disegna comunque calcio con una superiorità imbarazzante. Dybala invece disegna una parabola perfetta al 39′, spedendo a fil di palo la punizione procurata da Cuadrado e segnando il suo decimo gol in campionato. La partita è virtualmente chiusa, anche se nel finale di tempo, la conclusione di Falcinelli messa in angolo da Benatia, consiglia di tenere alta la tensione anche nella ripresa.
I CAMPIONI DELL’ITALIA SIAMO NOI
Giusto per fa capire che il messaggio è ricevuto, dopo quaranta secondi Cuadrado riceve in area da Dybala e scarica un diagonale che Cordaz riesce a mettere in angolo, mentre dopo tre minuti e mezzo Mandzukic controlla di petto il lancio di Dani Alves e spara il destro, mancando di poco la porta. La gara in questa ripresa offre meno, anche se alcune combinazioni, come quella tra Dani Alves, Dybala e Alex Sandro, che porta al tiro l’argentino, sono comunque da applausi. Il terzo gol viene sfiorato anche da Pjanic, che manda a lato da buona posizione l’assist di Dybala, ma non è il caso di rammaricarsi… Basta aspettare il 38′ ed ecco l’incornata di Alex Sandro che spedisce alle spalle di Cordaz l’angolo di Dybala e chiude definitivamente i conti. Ora la festa può davvero iniziare, ormai ci sono solo da aspettare i tre fischi di Mazzoleni e la Coppa, da alzare al cielo e da portare in trionfo per il sesto anno di fila. Ora si può iniziare a cantare: “I campioni dell’Italia siamo noi”, ma anche “Ce ne andiamo a Cardiff”. Perché non è ancora finita. Perché la Leggenda deve continuare.
JUVENTUS-CROTONE 3-0
RETI: Mandzukic 12′ pt, Dybala 39′ pt, Alex Sandro 38′ st
JUVENTUS
Buffon; Dani Alves, Bonucci, Benatia, Alex Sandro; Pjanic (39′ st Rincon), Marchisio (29′ st Lemina); Cuadrado (25′ st Barzagli), Dybala, Mandzukic; Higuain
A disposizione: Neto, Audero, Lichtsteiner, Chiellini, Asamoah, Mattiello, Sturaro, Khedira, Kean
Allenatore: Allegri
CROTONE
Cordaz; Rosi (34′ pt Sampirisi), Ceccherini, Ferrari, Martella; Rohden (33′ st Acosty), Crisetig, Barberis, Nalini; Falcinelli, Tonev (12′ st Simy)
A disposizione: Festa, Viscovo, Dussenne, Mesbah, Capezzi, Claiton, Sulijc, Kotnik, Trotta
Allenatore: Nicola
ARBITRO: Mazzoleni
ASSISITENTI: Barbirati, Tegoni
QUARTO UFFICIALE: Di Vuolo
ARBITRI D’AREA: Irrati, Maresca
AMMONITI: 31′ st Martella, 45′ st Dani Alves
Juve-Crotone 3-0: 6 bella Vecchia Signora, ti scusiamo per il ritardo
Rallentare il ritmo era inevitabile considerando i tanti impegni ravvicinati che hanno portato la Juventus alla conquista sia della Coppa Italia che del pass per Cardiff dove i bianconeri si giocheranno la finale di Champions League contro il Real Madrid, ma alla fine gli uomini di Allegri hanno trovato col Crotone lo scatto necessario per arrivare al traguardo della Serie A 2016/2017 davanti a tutti. Con buona pace di Roma e Napoli che nel frattempo continuano a correre a caccia della piazza d’onore, ma solo di quella a questo punto.
Per l’occasione il mister sceglie di schierare la miglior formazione possibile, tutta dentro l’artiglieria pesante, unica eccezione Benatia per Chiellini, chiaro segnale che oggi non erano ammessi errori.
E’ assoluto controllo sin dalle prima battute, si pensa più a tenere bassi i ritmi per non far galvanizzare il Crotone, ma al primo affondo si mettono subito le cose in chiaro: Cuadrado ha spazio a destra, l’assistenza per Mandzukic è perfetta, il croato sfrutta la sua potenza fisica e piazza l’1-0. Da qui in avanti è quasi normale amministrazione, eccezion fatta per la meravigliosa punizione di Dybala che trova il raddoppio poco prima del riposo. Nella ripresa il tris viene sfiorato più volte: Cuadrado, Mandzukic ancora, poi Dybala e Pjanic, ed infine ci pensa Alex Sandro a mettere la ciliegina sulla torta con uno stacco imperioso su corner della Joya. Qui scatta finalmente la festa, la Juve è ancora la più forte d’Italia.
Sesto di fila, trentacinquesimo nella storia, una storia in continuo aggiornamento, gli altri belli, bellissimi, alti, biondi, muscolosi, occhi verdi ed intelligenti. Però non vincenti: “ci può stare”, noi ora facciamo un salto a Cardiff…
6 pensieri sul sesto scudetto
1) Niente di scontato
“Dai, lo scudetto è scontato”. Ma vincere non è mai scontato. Figuriamoci la sesta volta di fila. Se bastasse essere i più forti sulla carta, per vincere, nello sport ci sarebbero continuamente dei cicli infiniti di vittorie. Non è così, perché contano appunto anche gli stimoli da ritrovare anno dopo anno, la capacità di cambiare continuando a rafforzarsi: tutte cose straordinariamente complicate.
Sembrava impossibile vincere quel primo scudetto, 6 anni fa.
Riconfermarsi la stagione seguente era difficile.
Farlo per la terza volta, con la Roma partita con dieci vittorie di fila, pareva ancora più complicato. Non avevamo mai vinto 3 scudetti di fila, negli ultimi 80. E’ finita con un’amichevole all’Olimpico decisa dal primo e ultimo gol di Osvaldo in bianconero, al novantaquattresimo di una partita giocata con Storari, Padoin e compagnia.
L’estate successiva, a ritiro iniziato, la partenza improvvisa di Conte: quel giorno di metà luglio noi per primi non credevamo al quarto consecutivo, e i rivali si divertivano a fare giochi di parole definendosi sempre più Allegri. In fondo ci avevamo strappato pure Iturbe, come trattenere l’entusiasmo?
Il quinto anno alla decima giornata eravamo spacciati, il campionato era tornato bello e avvincente: poi ne abbiamo vinte cento di fila e abbiamo ed è tornato il solito torneo di basso livello, chiuso ad aprile con un gol di Nainggolan al Napoli (sì, perché il destino si è pure divertito parecchio, in questi anni).
Il sesto arrivano dei campioni assoluti. Ne partono altri, che ci paiono insostituibili. Siamo nettamente favoriti, obbligati a vincere: “dai, lo scudetto è scontato”. Qualunque altro risultato sarà considerato un fallimento, e già per questo non è facile.
E’ una trappola: vincere per l’ennesima volta consecutiva è sempre più difficile, perché le altre hanno ancora più fame, mentre noi prima o poi dovremmo essere sazi.
E invece no: anche sei anni dopo, le altre non avevano più fame. Noi non eravamo sazi.
Proprio per questo si tratta di un’impresa sensazionale. Che non aveva proprio nulla di scontato.
2) Le due lezioni di Bonucci
Leonardo Bonucci è uno dei simboli di questa squadra. Esattamente come lei, è considerato fortissimo ma antipatico.
Non lo conosco personalmente. Non ho idea se sia simpatico o antipatico, umile o arrogante. So che in qualche mese fa ci ha insegnato tante cose.
Come reagire mentre pare che il mondo ti stia crollando addosso, senza nascondere sentimenti e paure, senza togliere nulla alla propria professionalità.
Come superare le ridicole barriere del tifo, anche all’interno della famiglia, accettando, esaltando, stimolando il diverso tifo dei due figli: il più piccolo juventino sfegatato, il più grande invece supporter del Toro, appassionato di Belotti e della maglia granata, apparentemente spiaciuto alla festa bianconera (ma è sempre in tempo per redimersi, eh!).
E chi se ne frega di chi non capisce.
Se davvero c’è qualcuno che non capisce.
3) La repulsione per gli alibi
Chi è juventino lo sa da sempre: cercare alibi serve a tenere buoni i tifosi ma indebolisce le ambizioni di una squadra. Questo vale sempre, che si parli dell’orario in cui si gioca, del fatturato di chi vince, dell’Udinese che si scansa (ma poi ci leva due punti), l’Atalanta che si scansa (via due punti anche là), il Sassuolo succursale (e l’anno scorso proprio lì raggiungemmo l’apice della crisi), Berardi che fa il furbo pur di non affrontarci (ma poi salta mezzo campionato per infortunio). E ovviamente loro, gli arbitri.
Agli antijuventini è inutile spiegarlo, ma a qualche juventino potenzialmente lagnoso è utile ricordare che puoi vincere alla grande uno scudetto con soli 3 rigori a favore in un torneo dominato, ben 11 in meno della tua prima rivale. Che non serve recriminare sui penalty negati, sull’annullamento di un gol in una partita importante dopo una bella chiacchierata tra arbitro, assistenti e giocatori avversari (e alla fine perdi pure). Che se l’anno prossimo non vinceremo non sarà per quel rigore non dato, ma perché qualcuno sarà stato più bravo di noi.
Lo spiegano Allegri, Buffon, Barzagli, Chiellini, con le loro interviste dopo ogni passo falso: quando si perde è inutile lamentarsi, anzi si deve trarre qualcosa dalla sconfitta, per fare in modo che se ne verifichino sempre meno. Meglio studiare un cambio modulo per cambiare le cose, piuttosto che invocare un rigore per fallo di mano che forse ti avrebbe portato a pareggiare una partita peraltro giocata male.
Se dopo un anno del genere i rivali sono convinti, ma convinti davvero, che tu abbia vinto il tuo sesto scudetto di fila per il rigore contro il Milan (dopo quello negato nel primo tempo) o perché Acquah con un intervento pericoloso ha toccato pure la palla, per te è una super notizia.
Purtroppo, tuttavia, tocca segnalare che qualche rivale (in particolare Spalletti, ma anche De Rossi) ha rinunciato alla consueta dose di alibi, riempiendo la Juve di complimenti e proiettandosi piuttosto a cercare di limare il gap che li separa dai campioni. Speriamo sia solo un fatto estemporaneo; altrimenti, si tratterebbe del primo elemento di preoccupazione in vista della prossima stagione.
4) Le corse di Mandzukic
Magari rientra nel punto 1, che è riferito alla fame. O al punto 2, relativo allo spessore umano dei nostri. Forse anche al punto 3, quella voglia di vincere sempre prevalente sulla ricerca degli alibi. O magari è un punto a parte, che c’entra con la Juventus da sempre: Buffon si fa spesso da parte per Neto (che vince da titolare due coppe Italia e gioca pure in campionato); Barzagli accetta col sorriso un ruolo part time, talvolta da esterno difensivo; Benatia è felice di giocare in una delle pochissime squadre europee in cui non partirebbe titolare; Marchisio sa aspettare pazientemente il suo turno; Higuain torna, imposta, regala assist e conclude; Dybala viene sostituito e la domenica successiva gioca sempre meglio; Mandzukic pare faccia l’esterno da una vita, attacca, difende, sottrae palloni nella nostra area al 92’, mentre fino a 4 mesi fa pensavamo fosse pressoché incompatibile con Higuain.
Merito dei giocatori, certo. Ma in tutto questo – sì, anche nelle corse di Mandzukic – c’è tanto della Juventus, della sua storia, della sua attuale società: il gruppo più importante dei singoli, l’assenza di primedonne, lo spirito di sacrificio. Tutti compatti verso l’obiettivo comune. L’unica cosa che conta.
5) L’impenetrabilità dell’ambiente
Provateci voi, a dare il meglio in una lunga e complicata competizione, nella quale una volta minacciano di chiuderti lo stadio in cui hai appena cominciato a giocare perché rischia di crollare, l’anno seguente ti squalificano l’allenatore per diversi mesi e devi trovare soluzioni alternative, nella stessa estate propongono anni di squalifica per alcuni tuoi giocatori che non c’entrano nulla, sei costantemente sottoposto a polemiche infinite al minimo accenno di errore arbitrale in tuo favore (ma negli ultimi anni siamo allo step successivo: le polemiche sulle proteste eccessive di Bonucci; il video di Inter channel che finalmente spunta e porta alla luce una punizione a due fatta ribattere; le squadre che si scansano quando vinci facilmente; tu che ti scansi quando perdi a Roma! Ecc ecc), fino alla sesta stagione in cui prima ipotizzano un tragicomico falso in bilancio per mancato accantonamento, poi virgolettano frasi apparentemente maliziose di Buffon sulle rivali che si scansano (sob!) e poi si discute per settimane di una presunta intercettazione del tuo presidente su questioni di tifo e criminalità organizzata. Presunta, perché se l’era inventata il procuratore. Provateci voi, a restare totalmente indifferenti ai rumori di fondo, alle delegittimazioni continue, ai processi sportivi o mediatici allo stadio, all’allenatore, perfino al presidente.
Alla Juventus succede. Noi, che non la viviamo da dentro, ogni volta ci preoccupiamo, ci spaventiamo, ci chiediamo come facciano a fregarsene e continuare a tenere nella testa solo verso l’obiettivo.
Loro ci riescono sempre.
E gli altri, quelli che intravedono un chiaro piano per destabilizzarli se solo li fanno giocare alle 12.30, non riescono a farsene una ragione.
6) Quel meraviglioso rito primaverile
Se a volte vi sentite sazi di scudetti, contenti della vittoria ma quasi annoiati, soddisfatti ma viziati, guardatevi intorno.
Pensate quanto è bella, orgogliosa, felice, elegante l’ormai consueta festa con premiazione allo stadio con giocatori, staff e familiari. Controllate l’account twitter del Barcellona, puntuale a complimentarsi con gli storici rivali del Real Madrid per la vittoria nella Liga, e confrontatelo con le altre 19 squadre di serie A in Italia (18, perché la Samp alle 20.30 si è distinta dalle altre), incapaci anche di fare un pur formale tweet di complimenti, per paura delle reazioni dei propri tifosi o semplicemente perché lontanissime da una reale crescita sportiva e culturale in questo calcio italiano da terzo mondo; leggete tutti i commenti piccati, ormai una piacevole abitudine primaverile, degli antijuventini scatenati sul numero degli scudetti, come se le loro squadre potessero anche solo avvicinare il numero di 33, 35, ma pure fossero dieci di meno.
Davvero rinuncereste a tutto questo? Se non siete ancora convinti, ripensate solo per un attimo a quella estate che sappiamo noi. Alle scemenze che ci raccontavano e si raccontavano (“ora finalmente potranno vincere tutte”, “vediamo se vincerete anche senza Moggi”, “da adesso se vincerete le vostre vittorie saranno apprezzabili e saremo i primi a farvi gli applausi”, ecc) per credere davvero a quel loro sogno di una notte di mezza estate, in cui se la ridevano credendo di averci eliminato sul serio.
Ora riguardate la festa: lo stadio, le facce dei tifosi, le bandiere, la felicità dei giocatori.
Davvero non impazzite alla sola idea di provare a vincere il settimo di fila?
Noi siamo Leggenda – Juventus 2016/17 story
E’ l’estate degli sconquassi di mercato, per la Champions League ma anche, parallelamente e forse prima di ogni altra cosa, per lo Scudetto della Leggenda. Definizione che fa parte della retorica, ma che riduce a quanto di più pratico: Torino è fatta così, una catena di montaggio riqualificata in qualcosa di animalesco, vorace, cannibale.
E’ l’estate di Gonzalo Higuain, in tutti i sensi. Con tutti gli entusiasmi, i paradossi, i gol del caso: la prima allo Stadium tocca alla Fiorentina, tocca a lei, rivale di sangue, inchinarsi per prima al Pipita. Per l’argentino c’è da subito la cura Allegri. E viceversa. Le copertine sono tutte sue, i muri tremano, a Napoli si disperano e non sanno cosa accadrà negli incroci diretti: Higuain mangiatutto, pure le briciole della Coppa Italia. L’ex idolo del San Paolo sfonda quota 30 reti stagionali, succede anche sotto la Mole. Ce n’è per tutti, Marotta gongola ma non dimentica.
Per esempio, non ci si dimentica come continuare a stravincere grazie ai colpi a zero euro. Quelli che compensano le grandi spese e sanno fare a turno la differenza. Parte Khedira, in gol alla prima e alla seconda ovvero quando c’è da sbancare per la prima volta l’Olimpico contro la Lazio. Il finale è quasi tutto di Dani Alves da Barcellona (che spazzola il banchetto della Champions come quello della finale di Coppa Italia nel remake in casa di Claudio Lotito), e del brasiliano avrebbe potuto essere simbolicamente il gol scudetto nella delicata trasferta primaverile in quel di Bergamo. Invece, strameritatamente, la simbolica stelletta se la prende Mario Mandzukic. Trasformato, trasfigurato, cattivo col piattone. Lui dentro, con il pallone. Questa l’immagine dei suoi (pochi? sicuri?) gol.
C’è però che, a cicli comandati, la Juve un po’ si addormenta. Il letto della Serie A è troppo comodo. Il cuscino traditore è nascosto dentro le trasferte più delicate: l’armata bianconera, c’è chi dice la più forte di sempre, cade due volte a Milano, a Genova, a Firenze. Doha, come se non bastasse, agita gli animi. Ognuna di queste occasioni diventa un’occasione per l’astuto Allegri, che smonta e rimonta la sua Juventus 3.0 perfezionandola.
In soffitta ci vanno la difesa a tre, il rombo di centrocampo e in parte anche il 4-2-3-1 che fanno pensare a una squadra ormai solo spregiudicata. Sette vittorie consecutive tra gennaio e febbraio salutano la compagnia, condannando Napoli e Roma a vedersela tra loro per evitare i preliminari di Champions.
“Il campionato è finito”, dicono. Ma non è finito finché non è finito. Non nel derby di ritorno, agguantato da Higuain, non a Roma dove la Juve presa nella tenaglia delle tre competizioni si fa rimontare. La Leggenda però è ormai dietro l’angolo, e passa attraverso la guardia storica, compresi i Lichtsteiner e gli Asamoah, a partire da Barzagli e Marchisio che guai a chiamarli seconde linee anche quando lo sono. Buffon è fuori categoria, lui vuole già il settimo prima di chiudere. Cuadrado ci mette la pezza a Marassi contro la Sampdoria. Insomma, ognuno fa il suo. La giostra la chiuderà Alex Sandro, non un uomo qualunque.
La passerella finale è un piccolo spavento. Due punti in tre gare condannano il Crotone a fare da spettatore. La festa è lo Juventus Stadium, insieme al suo record di 33 vittorie consecutive in campionato, qualcosa di divino. La festa sono sempre i tifosi. Gli stessi che dopo la Leggenda pensano già al Mito. Che non sarà solo l’appuntamento di Cardiff. Dal 20 agosto ci sarà un nuovo campionato da giocare. Sarà estate. Il momento in cui si costruisce, appunto, qualcosa di ancora più animalesco, vorace, cannibale. In una parola: incredibile.
37a Serie A: Juventus-Crotone 3-0
di Andrea Lapegna
Il match che regala alla Juventus il sesto scudetto consecutivo è quanto di più ragionevole ci si possa aspettare tra la prima in classifica e una candidata alla retrocessione. La Juve mette al sicuro il risultato nel primo tempo e gestisce nella ripresa.
Mi risulta un po’ difficile scrivere razionalmente della partita – e soltanto della partita – quando questa ci permette di scrivere una pagina a caratteri cubitali nella storia del calcio italiano. Ma dal momento che scriveremo su queste pagine in maniera più estesa, mi limiterò all’analisi di quello che si è visto in campo, descrivendo quali accorgimenti hanno permesso ad Allegri di fare l’en plein tra i confini nazionali nei suoi tre anni di Juventus.
Come ampiamente preannunciato in conferenza stampa, sonoi titolarissimi a cercare di assicurare il titolo. L’unica concessione al turnover è il riposo di Chiellini in favore di Benatia. Buffon riprende il suo posto tra i pali; Dani Alves quello di quarto di destra accanto a Bonucci, Benatia stesso e Alex Sandro; Marchisio è accanto a Pjanić per permettere a Khedira di recuperare in vista della Finale e davanti tocca ai fab four impensierire la difesa dei pitagorici.
Nicola dal canto suo conferma l’indissolubile 4-4-2 con cui ha condotto il Crotone quest’anno, dovendo sostituire il solo Stoian fermo ai box. La formazione recita: Cordaz; Rosi, Cecchierini, Ferrari, Martella; Rohdén, Crisetig, Barberis, Nalini; Falcinelli, Tonev. Quest’ultimo ha vinto l’unico ballottaggio della vigilia, spuntandola su Trotta.
Come all’andata, il Crotone si dispone in campo con un rigido 4-4-2 in cui l’attenzione a mantenere le linee strette e compatte è la caratteristica pregnante. Il baricentro non è particolarmente basso (49.8 m alla fine), e la linea dei quattro difensori è molto attenta a scalare in avanti seguendo il tempo del pressing dettato degli avanti. Poiché in fase di non possesso il Crotone schiera effettivamente due punte, queste si preoccupano a turno di sporcare la circolazione bassa della Juventus. Falcinelli si orienta a turno su uno dei due centrali, mentre Tonev segue Pjanić quando si abbassa davanti alla difesa. Dopo pochi minuti però, acclarata l’inferiorità numerica e tecnica rispetto ai centrali della Juve, Falcinelli mette in mostra scelte conservative e sceglie di allinearsi al compagno di reparto, spalmandosi su Marchisio. Gli esterni, nelle sortite alte, attaccano il possesso dei terzini bianconeri costringendoli a giocare all’indietro o a cercare un rischioso take-on. Quando questo accade l’interno di centrocampo è pronto al raddoppio sull’out di competenza.
In questo modo il Crotone indirizza i flussi di gioco sull’esterno e costringe a giocare sulle fasce. Tuttavia il piano gara è compromesso da diversi errori di posizionamento da parte dell’interno opposto al lato palla, che lascia spesso spazio di ricezione a uno dei due mediani bianconeri, quello teoricamente opposto alla zona del pallone. Marchisio o Pjanić possono così ricevere nel cuore del campo con la fronte alla porta.
La Juve sembra stare al gioco, consapevole della propria superiorità tecnica. Fraseggia bene, trova costantemente un uomo tra le linee in grado di disordinare la struttura avversaria e non esita a cambiare gioco per dare respiro alla manovra e costringere il Crotone ad allargare le maglie scalando lateralmente.
Le catene laterali della Juventus funzionano, soprattutto in ragione di un notevole tasso tecnico. Come sempre, si collassa mole di gioco a destra, dove tra Dani Alves Cuadrado e Dybala escono sempre delle pièces teatrali notevoli: Martella in particolare è sempre preso in mezzo. Anche dall’altro lato Rosi soffre parecchio lo strapotere fisico di Mandžukić, ma è soprattutto sulle seconde palle che il Crotone soffre da quel lato.
Nicola non esita allora a fornire un aiuto extra all’ampiezza della sua linea difensiva. Nelle – tutto fuorché sporadiche – fasi prolungate di possesso Juve, il Crotone prova a disporsi a 5 dietro, abbassando accanto al terzino l’esterno di centrocampo sul lato palla. Questo permette indubbiamente una difesa migliore dell’intera larghezza del campo, ma costringe all’inferiorità numerica al centro con conseguente abbassamento della squadra per difendere meglio le zone calde del campo.
Il merito della Juve nel primo tempo è stato aver saputo giocare ad allargare lo spazio tra difesa e centrocampo nonostante le linee strette del Crotone. Il gioco sull’esterno liberava come detto un interno al centro del campo che poi mutuava i concetti dal calcio a cinque “palla fuori – palla dentro” per allungare gli avversari. Funziona così: il giocatore (Marchisio o Pjanić) riceve, si orienta all’indietro e appoggia ad un difensore (Bonucci) togliendo la palla dalla zona avanzata; il difensore di prima trova il taglio interno di un avanti (Dybala nei suoi movimenti fuori-dentro), riconsegnando la sfera alle zone più calde del terreno di gioco. Risultato: percussione centrale e due linee avversarie tagliate fuori. Queste situazioni hanno messo molto in difficoltà gli interni di centrocampo, costretti a vedere lo spazio alle proprie spalle dilatarsi e uno o più avversari infilarcisi con apparente nonchalance.
A questo punto la Juventus mette il pilota automatico e sceglie la linea della prudenza, gestendo i ritmi della partita a piacimento. Il Crotone dal canto suo non riesce a contendere la palla alla formazione di casa, e le uniche apprensioni – peraltro leggere e poche – che riesce a porta a Buffon sono tali per leggerezze difensive della Juve e non per la compiutezza della manovra.
Il gioco della Juventus continua con il fraseggio stretto, ma i ragazzi prendono meno rischi e la percentuale di passaggi orizzontali aumenta. Il possesso palla viene visto anche – Cruijff ce lo perdonerà – come un fine e non solamente come un mezzo.
La partita alla fine è soprattutto una risposta a se stessi, alla pancia di quei tifosi che temevano più il match di ieri che non le partite con il Barcellona o col Monaco. Serve a concedersi finalmente un momento di festa, molto più preannunciata di quanto la classifica corta e l’umoralità del tifo non lasciassero intendere. Il vero capolavoro non è – ovviamente – aver battuto il Crotone, ma averlo fatto pur gestendo con centellinata parsimonia le energie in vista del finale di stagione. Perché la Juve era in corsa su tre fronti, ne ha chiusi con successo due, e adesso guarda con 1) ottimismo, 2) infermeria praticamente vuota, 3) energie abbondanti e 4) grandi motivazioni alla partita più importante della stagione. E perché la Juve ha dimostrato che, quando conta, vince.