Come ti celebro la Le6genda su SKY: pochi meriti, più furbizia

Iera sera, dopo i fasti del festeggiamento per il sesto scudetto consecutivo Juve seguito minuto per minuto, ho avuto modo di seguire la principale pay tv italiana nel dibattito di seconda serata dedicato all’approfondimento sul calcio (Sky Calcio Club).

In carriera mi sono occupato di contesti scientifici, ma ho sempre avuto un interesse per la psicologia, pur non dedicandomici perché ritengo che quando non si ha piena cognizione di causa delle cose, è meglio leggere ed osservare anziché fare cattive figure. Non che scrivendo di calcio ne abbia fatte di meno, anzi è probabile che la mia dignità sia andata a farsi benedire già da qualche annetto, ma per lo meno si tratta di un tema più soft che, fra l’altro, da buon italiano non potevo non trattare, visti gli insegnamenti di Winston Churchill in materia (“Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”).

Oggi, però, mi ritrovo con questo tremendo rimpianto: non aver mai approfondito i meandri della psicologia non mi permetterà mai di capire cosa passa nella testa di quegli stimati giornalisti ed opinionisti sportivi nel partorire certe logiche che non riesco a cogliere, ma che evidentemente hanno grande successo considerando che vengono sfoderate sul palcoscenico televisivo.

Che la Juve abbia centrato un risultato mai conquistato prima è clamoroso, che a tutto ciò si aggiungano tre Coppe Italia consecutive è leggenda. Normale aspettarsi celebrazioni, riconoscimenti più o meno chiari, ed invece, passata la sbornia immediatamente successiva al post-gara di Juve-Crotone, ci si ritrova la sera in TV ad ascoltare quattro addetti ai lavori che fra una risatina ed un’altra riescono a parlare della carriera non eccelsa di Higuain, di calciatori scartati che oggi farebbero molto comodo a mister Allegri (Candreva), di Mandzukic che potrebbe essere ridicolizzato se le altre squadre ragionassero diversamente, di mancanza di rivali degne, di vittorie prive di felicità.

Innanzitutto l’incipit della trasmissione, a cura di Fabio Caressa:

“Sesto scudetto per la Juventus, ma questa sera vogliamo parlare di felicità”.

Ve lo giuro, non c’è nulla di inventato. Il video è facilmente reperibile sul web, per semplicità vi riporto il virgolettato sparso di quella logica che mi ha fatto scattare il rammarico di cui prima; queste le parole di Caressa, Bergomi, Mauro e Leonardo: “Higuain doveva arrivare ai livelli dov’è oggi cinque o sei anni fa”. “Uno dei simboli di questa Juve è Landucci“. “A questa Juve serve un esterno davanti, ed il nostro algoritmo ci dice che potrebbe essere Candreva”. “Se le altre squadre avessero Cafu o Maicon, Mandzukic non potrebbe giocare lì: va bene fin quando i dirigenti delle altre ragioneranno così“. “Non possiamo dimenticarci che Milan ed Inter negli ultimi anni non ci sono state: se Berlusconi e Moratti non avessero pensato di vendere, la Juve non avrebbe approfittato di questo momento“.

Per celebrare la Juve hanno deciso di criticare Higuain per quanto fatto prima di arrivare in bianconero, hanno scelto il vice-allenatore come simbolo di questo tricolore, e, oltre a quanto già commentato prima, ci hanno detto un’altra cosa che mi ha messo in totale confusione: “stasera non parliamo della Juve, parliamo della felicità!“, chiaro riferimento al bel gioco del Napoli, alla forma europea della Roma, a quanto di bello fatto da queste due realtà in questo campionato, ed anche nelle scorse stagioni. Una sfortuna essersi ritrovati davanti questa Juventus in questo preciso momento storico. Ed allora la mancanza di Inter e Milan cosa c’entra? Che poi, se vogliamo dirla tutta, Inter e Milan sono ben presenti in A, mica sono state costrette a ripartire dalla B, stravolgere il proprio organico, stracciare contratti di sponsorizzazione ultra-milionari, annessi e connessi, come ha dovuto fare la Juve nell’estate del 2006 a causa di Calciopoli. Dunque, riepiloghiamo: la Juve vince perché le milanesi sono più occupate a lottare per i preliminari di Europa League, vince perché Roma e Napoli non sono state fino ad oggi all’altezza di preoccuparla in tal senso. E gli elogi a Sarri? I record di Dzeko e compagni? Mi sento confuso.

Fortunatamente anche questa stagione si è conclusa: la Juve ha vinto, Napoli e Roma rappresentano la grande bellezza del calcio italiano, Inter e Milan sono comunque soddisfatte perché le vittorie altrui sono evidentemente monche. Nel frattempo Allegri ed i suoi ragazzi se ne vanno qualche giorno a Cardiff per tentare di rompere un incantesimo malefico. L’incantesimo malefico per eccellenza.

In qualunque caso, però, ci sarà sempre un nuovo algoritmo da realizzare per cercare, anche solo ipoteticamente, di modificare questo fastidiosissimo andazzo: manca tanto alla prima giornata della Serie A 2017/2018, c’è tutto il tempo per prepararsi, adesso godiamoci l’estate.
Fabio Giambò.

La Storia, la Leggenda e la Verità della Juve

La Juve che ieri ha vinto lo Scudetto è la squadra più dominante di sempre nella storia ultracentenaria del calcio Italiano. Nettamente, senza discussioni. Sei scudetti di fila, tre doppiette di fila non è un semplice primato, una dimostrazione di forza, un trionfo contro nessuno, un dominio in un vuoto. E’ di più, molto di più. E’ rinnovarsi, lavorare dal primo all’ultimo giorno meglio di tutti, correre più forte e di più, sudare di più, investire meglio, giocare meglio, gestire, essere compatti, andare oltre il sacrificio, comunicare, far sognare, farsi desiderare. E poi volere, ardentemente volere. Quell’inesausta pulsione verso la vittoria, rabbiosa eppure ragionata.

Questa squadra non ha scritto la storia. L’ha squarciata, rivoltata e fatta propria. Nessuno mai, nemmeno lontanamente come lei. Forse quella Juve del quinquennio 30-35, forse il Grande Torino. Altre ere, altre storie, altre leggende. E’ una leggenda che ha tanti nomi, tanti padri, tante voci, tanti volti, una sola insaziabile madre, la Juventus.

E’ una leggenda che nasce la settimana scorsa, coi motori spenti a Roma. Nasce dalla voglia di chiudere il discorso iniziato 9 mesi fa, o 6 anni fa. Nasce da Firenze, dalla svolta tattica: siamo i più forti, allora dominiamo il gioco in modo tracotante e smettiamola di campicchiare, almeno lo facciamo dopo aver massacrato le altre.

E’ una leggenda che nasce l’estate scorsa quando, battuti in Europa nell’incapacità di tenere quel Pogba10 su cui si era investito per il futuro, la tracotanza la si è adoperata sul mercato interno, quell’Higuain il più forte che si unisce ai più forti, che non segna né a Roma con la Lazio, né ieri. L’emblema di un top player decisivo quando serve, ma che si pone al servizio della squadra per vincere e alzare le coppe: necessario ma non solitario. Quando si è preso Pjanic, il cervello dell’altra rivale. Quando si è convinto Dani Alves, il divino pazzoide che aveva messo le ali alla squadra più vincente di sempre, ma in Champions.

E’ una leggenda che nasce tre anni fa, quando tra insulti e sdegno si presentava Allegri, l’uomo che avrebbe portato la Juve dall’essere una perfetta macchina da Lega ad una macchina perfetta per la stagione, fatta di momenti, di pause, di tecnica e di controllo, fatta di tre competizioni soprattutto, la Coppa Italia rivinta dopo una vita e mai più mollata con lui e la Champions, per la seconda volta ad un solo, enorme, passo.

E’ una leggenda che nasce cinque anni fa, quando Pirlo innescò Licht, quando Vidal si presentò a modo suo e quando capimmo davvero di avere una nuova casa e un nuovo sogno diventato certezza minuto dopo minuto, trionfo dopo trionfo. Che nasce sei anni fa, quando Andrea Agnelli, con Marotta e gli altri scoprirono l’onta del flop per riscoprire con maggiore consapevolezza cosa volesse dire davvero Juve e cosa fare davvero per ricordarlo agli altri. Che nasce da un Barzagli pescato con nulla che si messo a lavorare sodo per diventare ciò che poteva essere ma non lo era mai stato prima, da un Bonucci che lo ha capito passo passo, metro dopo metro e sguardo fiero e torvo cosa davvero poteva essere.

E’ una leggenda che nasce dieci anni fa, con Buffon, Del Piero e gli altri che ritrovano un primo timidissimo sorriso dopo mesi di umiliazioni, fango e merda sui giornali e sui campi di provincia.

E’ una leggenda che nasce più di dieci anni fa, nelle idee illuminate di chi voleva darci quella casa, nelle idee feroci e dominanti di chi sul mercato dettava legge e in casa imponeva regole ferree, magari con metodi rivedibili. E’ una leggenda che nasce venti anni fa, nelle parole di quell’Avvocato che sognava di vincerne più di 5 di fila e poi “sarà una lotta tra noi e le milanesi, noi per la terza stella, loro la seconda“. Aveva sbagliato forse di una stella.

E’ una leggenda che come oceano inonda cuori e sorrisi, lambisce centinaia di stadi e avversari battuti e ritorna come dolce risacca sempre al centro di quel campo, su quel palco e nei coriandoli, fuochi d’artificio e abbracci di volti sempiterni e nuovi che alzano la coppa dorata al cielo.

E’ una leggenda che, ora, ha il più grande dei giorni che sta arrivando. L’ultimo. Il più bello.

Sandro Scarpa