di Davide Terruzzi
Perché qualsiasi opinione deve partire e basarsi sui fatti. Anche quando si parla della Juventus in emergenza uscita meritatamente sconfitta col Barcellona.
Non sono mai stato un tifoso della cultura dell’alibi, quella che ti porta a trovare sempre una giustificazione esterna alle proprie sconfitte, senza mai assumersi le responsabilità e cercare le ragioni di quello che non è andato. Sono però sempre a favore di una ricostruzione di qualsiasi evento che parta dai fatti, senza escluderli dalla narrazione, e che faccia del contesto una cornice essenziale per provare a spiegare quello che è successo.
Questo deve essere anche applicato per la Juventus che ha perso meritatamente col Barcellona nella prima partita della fase a gironi. Allegri è arrivato a questa sfida senza Höwedes, Chiellini, Marchisio, Khedira, Mandžukić, Cuadrado e Pjaca tra i giocatori inseriti nella lista Champions. Sono assenze pesanti – ecco, pensate allo stesso Barcellona senza tutti questi giocatori – che hanno privato la Juventus di giocatori titolari o delle primissime riserve, uomini che si conoscono da diversi anni e che conoscono il sistema Juve, abituati a queste partite. Allegri ha avuto coraggio nelle scelte della formazione iniziale, consapevole che ci sarebbe stato poco o nulla da perdere e che la sconfitta sarebbe stato il risultato più probabile, perché a Barcellona non è mai facile vincere, a maggior ragione con queste assenze. Quindi c’è stata l’occasione per dare fiducia a De Sciglio, lanciare Bentancur, offrire minuti a Douglas Costa, provando un modulo che potrebbe tornare utile. A centrocampo c’erano tre acquisti nuovi, che non hanno le connessioni per poter giocare bene assieme, ma il primo tempo della Juventus è stato buono, superiore alle aspettative. Grazie alla tattica, perché la squadra ha tenuto bene il campo, con un Pjanić sontuoso, concedendo poco, con qualche sbavatura grave, e non riuscendo a essere concreti davanti (e questa è una colpa). Si è fatto male De Sciglio e la Juventus ha giocato con Sturaro terzino destro. Poi il Barcellona, che solamente cinque mesi fa i capiscers e divi dei media dipingevano come la squadra finita per eccellenza, ha un fenomeno come Iniesta e una divinità calcistica vivente che risponde al nome di Messi. E la decide lui. Poi ci sono tutte le responsabilità bianconere nel secondo tempo con la squadra che perde compattezza e lucidità, s’allunga, affretta giocate perdendo palloni semplici, creando le condizioni ideali per il Barcellona. E si trovano sotto 3-0, la partita è finita, senza essere stati presi a pallonate, senza la possibilità di poter effettuare cambi decisivi dalla panchina, a eccezione di Bernardeschi, perché la situazione è semplicemente d’emergenza.
Questi sono i fatti. E le opinioni devono per forza di cose basarsi su questi. Ho sentito dire che è responsabilità di Marotta e del mercato; l’anno scorso, con queste assenze, la Juventus avrebbe giocato con Rincon in mezzo al campo e Lemina-Sturaro sulle fasce, con in panchina i ragazzini della Primavera. La serata ha detto che Dybala non è Messi? Beh, è la scoperta dell’acqua calda. Dobbiamo augurarci di diventare dipendenti sempre da Paulo, ma siamo sempre stati consapevoli del fatto che ora non è al livello, e molto probabilmente non lo sarà mai, di uno dei migliori calciatori mai esistiti. Dybala ha tutti i mezzi per diventare decisivo in tutte le partite, ma ne deve passare ancora di acqua sotto i ponti. Altri hanno criticato la prestazione di Douglas Costa, ma semplicemente siamo di fronte a un giocatore che deve ancora capire bene cosa deve fare all’interno di un nuovo sistema e con compiti diversi. Così come è impossibile giudicare il 4-3-3, qualcuno voleva già metterlo in soffitta, adottato per l’occasione; non si vince e non si perde per via dei moduli, ma soprattutto non si può chiedere di buttare via una soluzione tattica senza averla testata, provata più volte e coi giocatori titolari. L’altra critica, che è pure la mia, riguarda la mancata reazione o pessima nei primi venti minuti iniziali del secondo tempo: questo è un limite, ma anche in questo caso non si possono trarre considerazioni assolute viste le tante assenze. La Juventus è una squadra che deve tenere bene il campo, giocare meglio tatticamente, avere in panchina cambi che possono risultare decisivi. Siamo a metà settembre ed è il quarto anno d’Allegri, conosciamo come la squadra viva un periodo d’assestamento tattico e tecnico, di prove, di alti e bassi per poi trovare la propria forma definitiva più avanti. Ci sono diversi nodi che andranno sciolti, e qualcuno di nuovo ne emergerà, per adattarsi al meglio alle caratteristiche dei giocatori, ma non si poteva pensare che questa partita col Barcellona avrebbe presentato per magia una soluzione ideale. Non sono sorpreso dalle reazioni di alcuni tifosi, finalmente la palla raccontata per anni di un tifo bianconero migliore rispetto ad altri si è rivelata tale (anzi, il tifoso juventino è abituato a vincere che per qualsiasi sconfitta ne fa un dramma epocale), ma semplicemente bisogna inserire la sconfitta col Barcellona dentro questo contesto ed è scorretto arrivare adesso a conclusioni assolute, che siano esaltanti o apocalittiche, per una stagione che è appena iniziata.
Il battesimo del fuoco di Rodrigo Bentancur
Spiace. Spiace per un passivo forse troppo pesante, per un primo tempo giocato come doveva essere giocato (e non era così scontato), per due gol su tre frutto di altrettante ingenuità (il primo è qualcosa che attiene al repertorio di uno che non passerà mai più), per l’ennesimo intervallo in cui, invece di riordinare le idee le si confonde ancora di più. E spiace, soprattutto, per Rodrigo Bentancur che, un domani, si troverà a rileggere il suo battesimo del fuoco sotto la luce, non sempre giusta, del risultato finale.
Sbagliando. Perché la sua partita, numeri e statistiche a parte (31 palloni toccati, 84% di pass accuracy, un’ottima occasione sullo 0-0 non sfruttata per insolita – per uno abituato alla Bombonera e quel che segue – mancanza di coraggio nella ricerca della conclusione al volo) è stata molto buona. Come quella di tutta la squadra fin quando la spina è rimasta attaccata: personalità, testa alta, scelte concettualmente giuste non sempre premiate dalla giusta tempistica o da una precisione nel tocco che lui ha (Allegri, ad esempio, ha fatto bene ad arrabbiarsi quando ha sbagliato un cambio di campo che avrebbe potuto mettere Douglas Costa solo davanti al portiere), nessuna paura di rischiare anche la giocata complicata, la giusta dose di cattiveria (per quanto il giallo su Rakitic è più figlio dell’irruenza che della garra sudamericana in senso stretto), gli inevitabili difetti di chi deve farsi e le ossa ed è meglio che se le faccia in queste partite piuttosto che con l’Empoli o il Crotone di turno, con tutto il dovuto rispetto.
Adesso, a lui come a noi, servono calma, pazienza, lucidità. Nell’aspettare il suo/nostro turno, nel fare le cose che vanno fatte con tranquillità, senza ansie o voglia di strafare. Perché anche chi è soprannominato “El Lolo” non può essere già nato cigno. Nonostante la regalità di base. Quella è un dono di natura, il resto verrà con il tempo. Per lui e per noi. Basta saper aspettare perché “il ragazzo si farà”: tanto più che le spalle sono belle larghe e anche se il numero non è il 7. Dettagli.
Claudio Pellecchia.