Non è più, o non ancora, il momento della sentenza tattica: tris o poker di attaccanti, 4-3-3 o 4-2-3-1, Juventus evolution oppure l’usato sicuro, Allegri (per come costruisce le stagioni lui) non è neppure a metà del primo rettilineo. E quindi il momento è altrove, nel lavoro plastico dello staff tecnico, abituato a conoscere i nuovi arrivi con gradualità, come se conoscerli significasse scoprirne, prima del lancio sistematico, ogni cavallo di battaglia e ogni lato oscuro. Allegri, insomma, dà la sensazione di voler entrare dentro i singoli per non incartare la squadra, per non esporla a nuove paure e piuttosto continuare a combattere quelle persistenti (che non sono legate ai reparti, se non forse una difesa esitante quando orfana di Chiellini, non di Bonucci, perché gli assenti non ci sono e di loro non è produttivo parlare).
Con queste premesse, e con il tipo di mercato a cui ci si è affidati e anche un po’ costretti, la natura più plastica e malleabile appartiene all’attacco offensivo. Appartiene oggi come apparteneva nel momento stesso in cui l’arrivo di Bernardeschi (una quarantina di milioni) seguiva quello di Douglas Costa (con promessa economica che sfiora i cinquanta). Nessuna dismissione, restano tutti davanti, Cuadrado incluso che è sempre nel galleggia tra la barca dei centrocampisti assaltatori e quella degli attaccanti aggiunti e/o di ripiegamento. Di lui, per inciso, c’è ancora poco da scoprire senza che sia mai abbastanza. Ai posteri l’ardua sentenza sul cosiddetto quarto basso. Sono arrivate a stretto giro due mezzepunte, ali, chissàcosa e non un vice-Higuain sempre che Schick o Keita ne potessero ricoprire il ruolo sotto i profili tecnico, tattico e psicologico. Sempre che il vice-Higuain sia realisticamente il buco nero a cui guardare.
L’impressione, già dalla lunga volata finale della stagione scorsa, tirata col fiatone, è che Allegri, staff e società guardino altrove quando ragionano sugli attaccanti. Certo, adesso il mercato è chiuso e bisogna ingegnarsi con il materiale a disposizione, ma la questione del vice-Higuain non è mai stata primaria. Il perché è sotto gli occhi di tutti, anche se c’è chi fa fatica ad ammetterlo: il suo nome è Mario Mandzukic, pronto a ogni sacrificio, mai così appiglio e riferimento in carriera, probabilmente maturo ma anche mai così consapevole di ciò che significa un contesto-squadra. Il croato è stato l’ultimo centravanti del Bayern Monaco ad alzare la Champions League, eppure lotta contro un falso storico che fa saltare dalla sedia i suoi estimatori: non segna, eppure segna, segna il giusto, non ha il colpo del campione ma incorpora il dna del campione. Allegri glielo riconosce coi fatti e il tifoso juventino che non s’imbruttisce oggi comunque s’imbruttiva in un tempo non troppo lontano.
All’atto pratico, il fuoco del gioco dei vice va collocato altrove. E forse la Juventus (società) è stata lungimirante: Cuadrado a sinistra non può giocare, l’Alex Sandro di Monaco di Baviera oggi sappiamo che fu considerato pura emergenza; quindi dentro due mancini, uno con il punto interrogativo da quella parte (Bernardeschi), uno che può lottare per fare il titolare, incidere alla pari di chi ha sfiorato la gloria eterna con la casacca a strisce verticali (Douglas Costa). Il fuoco è quindi il vice-Mandzukic e Allegri è lì che sta puntando il dito perché in Dybala falso nueve crede solo a partita con copione svolto o stravolto. Lì in alto a sinistra, dove inizia a insistere (anche e soprattutto in allenamento) su Douglas. Fino a poter creare due coppie disomogenee, dall’altra parte Cuadrado-Bernardeschi, per caratteristiche di base, e quindi quattro soluzioni da 4231 per diversi spartiti di gara. In più sulla sinistra è più facile incastrare tratti primari opposti davanti a un terzino completo come Alex Sandro, assortimento e adattabilità con nessuno dei nostri a destra consente alle spalle dell’esterno alto (ed ecco perché Cuadrado parte ancora molto in alto nelle gerarchie).
D’altronde, se la squadra è una squadra e tutto è una catena, la connessione tra i due esterni offensivi, e quindi l’intesa a due, è l’ultimo dei problemi (perché al massimo sono i meccanismi in non possesso, tra pressing e coperture, a dover essere sinergiche). Così, se il lavoro è davvero questo, si capisce perché il 4-3-3 ne deve mangiare di pastasciutta prima di diventare il nuovo sistema dominante della Juventus 7.0. Dominanti, nel concetto di integrazione espresso da Allegri con il susseguirsi delle scelte, restano piuttosto i giocatori, la loro indole, la loro crescita e la loro sicurezza. Il tecnico ha dimostrato nei mesi di preferire il proprio lato ingegnoso a quello sperimentale: Sturaro terzino è una forzatura provata che viene da lontano, dalla scelta di fine agosto sulla lista Champions. In fin dei conti Mandzukic non dimenticherà mai di essere un uomo d’area e cazzotti (che esalta, in linea col primo anno insieme, Dybala: pensate voi…), così come Douglas non dimenticherà mai che la sua prima professione è prendere il fondo con due metri almeno sull’avversario diretto; Bernardeschi è tagliato per entrare dentro il campo, Cuadrado per strappare e fare la lepre indietro e quindi è accettabile una Juve che cambierà sovente le meccaniche sul campo. A proposito di attaccanti, a Higuain per primo (da buon terminale fuori categoria) il compito di capire che non esiste più, davvero, da più di un anno, un solo modo di giocare. Se poi vuol tornare a fare qualche gol tutto da solo, ben venga.
Luca Momblano.
Dybala, l’extraterrestre
Dybala ci sta rendendo partecipi di un’ascesa piena, totale, inesorabile, soprattutto consapevole.
Il 10 Juve è più presente a sé stesso e alla dimensione di fenomeno rispetto alle prime due, comunque folgoranti, stagioni. La sensazione è quella del miracolo mostrato, il tocco sensibile con la sfera che ricambia l’affettuosità e quel corollario Dybalesco: piroette, ritmo di punta, suola ed esterno tra avversari di sasso e ancora la capacità disarmante di irridere i marcatori senza umiliarli, saltarli via come fossero dispiaciuti di rovinare l’incanto con pedate rozze.
Per celebrare la grande bellezza che Dybala ci mostra abbiamo scelto alcune delle azioni più estatiche del ragazzo dell’Instituto classificandole con tre parametri che in questo momento interessano di più:
Messianicità – DelPierismo – Joya
Il primo parametro è il tema caldo: quanto Dybala potrà davvero fare il Messi non solo in Serie A ma anche in Champions, come il suo compagno di nazionale, maestro e idolo?
Il secondo parametro è quello della linea diretta della #10 da Del Piero alla Joya, come stile e grazia letale e come “juventinità” e capacità di risvegliare dal torpore il tifo bianconero, sopito dal dominio italico e dalle finali perse, e riportarlo a 20 anni fa
Il terzo parametro individua l’unicità di Dybala: sono semplicemente io, il ragazzino pulito che fa la Mask e fa impazzire altri ragazzini (e ragazzine) italiani, argentini e asiatici. Anche se sono il più riuscito e meno deludente tra gli “eredi di Messi“, anche se indosso la 10 di Del Piero (dopo due reietti tornati a al Boca e al ManUnited) io sono solo Dybala.
1. La Traiettoria Perfetta – Lazio-Juve
Negli anni in cui la Juve non ha quasi rivali in Italia, Dybala segna gol che aprono, chiudono o affossano le gare. Quindi le esultanze sono quasi sempre felici e spensierate o, in alcuni casi, liberatorie come dopo il rigore segnato a Donnarumma al 97°. In questo senso i gol di Dybala sono molto Messi-Style: gioiosi.
Con la Lazio però all’esordio stagionale con la 10, Dybala trascina la squadra nel secondo tempo ad una rimonta illusoria, svanita per mano di Murgia a tempo scaduto.
Ecco la prima perla:
Messianicità: 5, Dybala calcia le punizioni meglio di Leo, almeno in questo gli è superiore.
DelPierismo: 8, questa con la Lazio è molto ADP-style, da lontanissimo, con parabola letale.
Joya: 7, un’esultanza non da Dybala, molto più rabbiosa, col dettaglio tipico della dedica al papà.
2. La Traversa Perfetta – Juve-Cagliari
La grande bellezza dei tocchi di Dybala stride così tanto con qualche sgraziata impressione di settembre dei compagni di squadra che ci stropicciamo gli occhi anche dopo una traversa, invece di sacramentare.
Soprattutto, almeno in questa azione è tutta la Juve ad elevarsi al livello della Joya imbastendo un’azione fluida ed efficace in cui si alterna strappi a tocchi di prima o seconda. Quasi come se i compagni vogliano concedere al numero 10 una cornice collettiva degna dei suoi exploit.
Messianicità: 7, colpo (quasi) letale alla fine di lunga azione manovrata, tiki taka bianconero.
DelPierismo: 7, ok, è il sinistro, è più rapido di quelli di Alex, ma sempre TIRO-A-GIRO è.
Joya: 9, puro Dybala al 100%: tiro fulmineo, corpo usato come un arco, parabola perfetta.
3. Il Dribbling Perfetto – Genoa-Juve
Dybala ci ha illusi con la Lazio, messi al sicuro col Cagliari e ripescato dall’abisso iniziale del Marassi, un pantano di gioco confusionario dovei compagni e rivali affondavano e lui camminava sulle acque. Questa roba qui, insomma:
Messianicità: 9, stop, dribbling tra due, tacco e sterzata. Messianico. Ma 50 metri più dietro.
DelPierismo: 6, Alex dribblava in modo più secco, di accelerazione, cose così ne faceva poche.
Joya: 8, Dybala comincia a concedere “pezzi” così più spesso, consapevole del suo stato di grazia.
4. La Mezz’ora Perfetta – Juve-Chievo
In casa col Chievo si è saliti di livello in termini di teologia, Paulo ha distillato la classe sciorinata nei tre-quattro 90 minuti precedenti in una mezz’ora di concentrato assoluto e potentissimo di fenomeno, applausi a scena aperta, esaltazione diffusa, paragoni deflagranti e una luce abbacinante nel grigiore di una gara fino a quel momento poco divertente.
Messianicità: 8, serpentina, audacia, tacco, voglia di spettacolo efficace, sembra la Liga.
DelPierismo: 7, la luce che appare a Torino è la stessa, ma più rapida e frizzantina di Alex.
Joya: 8, tanto del nuovo Dybala, diamante nella zona centrale tra le ali e dietro Pipa, lethal zone.
5. La Tripletta Perfetta – Sassuolo-Juve
Quanto visto al Mapei col Sassuolo è qualcosa che va OLTRE tutto questo. E’ la meraviglia di qualcosa di inaspettato, almeno nelle dimensioni. Mentre il mondo Juve, tifosi, dirigenti, allenatori, giocatori vecchi, nuovi, quelli andati via, hanno tutti qualche acciacco, scorie, magagne varie, Cardiff, i moduli, il mercato, Bonucci contro Immobile, Higuain la panza e la pelata, Sandro svagato, Pjanic sontuoso ma razionalmente accettabile, e così via… mentre noi tutti esseri umani abbiamo passato 3-4 mesi a poltrire in spiaggia o a lambiccarci sulle possibilità della nuova stagione, Paulo è diventato IL 10!
Messianicità: 8, il 1° gol, istinto geniale, stessa posizione del Bernabeu, il 2°, in mezzo a 5.
DelPierismo: 8, la punizione, col portiere impaurito che non sa cosa fare, l’abbraccio alla panca.
Joya: 10, consapevolezza di essere (ora) onnipotente, provare sempre l’assurdo e riuscirci.
La meraviglia di qualcosa che può diventare storia, i secondi e terzi passi di un fenomeno che come tutti i talenti sembrava dover attraversare un percorso più graduale ed invece sta esplodendo, in modo incontenibile, davanti a noi, qui, proprio adesso. Come nella notte a Torino contro il Barcellona.
Eccoci Joya, siamo pronti a venerarti!
Sandro Scarpa.