L’Ultimo Viaggio di SuperGigi / Un murales in cui specchiarmi

Ho un’immagine fissa. Più fissa della telecamera che fa il ferma-immagine sul fotogramma per decidere un episodio arbitrale. Facile così. Potessi fermare il tempo di un paio di tiri a partita qualche secondo prima di vederli arrivare nello specchio, allora disegnerei anch’io con le mani – nel vuoto – quel rettangolo davanti al mio viso. Che poi nient’altro sarebbe se non uno specchio immaginario. Schermo dei nostri tempi.

Ho un’immagine fissa. Sono affacciato a un balcone, sorridente, mentre guardo un murales che mi raffigura in volo. Tutti parlate di gambe pesanti, trascinate a mo’ di aratro. Una volta ero un muro, il vostro muro. La palla colpiva e schizzava. E non meniamocela con le respinte centrali o quant’altro, né con la storia che non ne blocco una. Da piccoli, in certe scuole calcio, insegnano a sputarsi nei guanti. È la leggenda dei maestri della tradizione. L’ingrediente segreto per tenerla. Effetto colla. Smack. Un bel bacio sul cuoio del pallone, prima di stringerlo forte forte al petto e fargli sentire che è a casa, con il battito che va ai mille all’ora per averne parata un’altra. È l’adrenalina. Batte più forte il cuore del pallone, ma se i battiti coincidono scatta la magia. Ed è subito casa.

Ho un’immagine fissa. Non è che se mi guardo in quel muro resto fermo a quel che ero? Come dite voi? Al palo. Un po’ come un narciso che si guarda, si guarda e smette di guardare il resto. La sottile linea tra sentirsi dire “Gigi sei un mito” oppure “sei mitologico”, cioè vecchio. Qualcuno poi è gentile, ci definisce senatori quando istruiamo i più giovani a rubarci il posto. A volte parlate come fossimo destinati ai cantieri, dimenticando quando eravamo noi a costruire. Memoria corta. Sveglia Dorian. Che qui abbiamo rischiato di star fuori dai Mondiali. Qui abbiamo il Napoli davanti. Questo mi dico. E ci credo, non è per posa. Non è perché sono un senatore, ma perché sono fatto così.

Ho un’immagine fissa. L’espressione “parlare al muro” dice qualcosa? Ditemi quello che volete. Io vado avanti per la mia strada. Vi sono piaciuto su Grezda? A quel punto della partita c’era già chi sonnecchiava sugli spalti. Il problema di certi giovani è pensare che non lasceremo nulla loro. Lo dico parafrasando e pensando a qualcuno più saggio di me, che aveva a che fare con la Macedonia molto prima di noi.

Ho un’immagine fissa. Certe cose restano sempre uguali a se stesse. La Juve là in alto, la Nazionale che a forza di catenaccio alla fine la spunta, la pettinatura di Panucci. Ma è un bene, no? Tutto va veloce, avere qualche certezza non guasta. A proposito di certezze. Ho sentito dire che sono ancora nella lista dei trenta candidati al Pallone d’Oro. Ecco, allora avete anche voi la vostra immagine fissa.