Claudio Lotito ha ragione. Così come aveva ragione sugli effetti nefasti della Serie A a 20 squadre sulla competitività generale del campionato. Certo, si può discutere sul suo non essere praticamente mai politically correct nell’esposizione delle sue idee ma, in fondo, fa parte del personaggio, vero o costruito che sia. Stupisce, quindi, che ci si stupisca (e ci si indigni) di fronte all’indiscrezione riportata dal Messaggero secondo la quale, nell’aereo che lo riportava da Milano a Roma, il presidente della Lazio avrebbe bollato come una “sceneggiata” la visita simbolica alla sinagoga della capitale a seguito della vicenda degli adesivi raffiguranti Anna Frank con la maglia della Roma distribuiti da uno tra i più famosi gruppi ultrà della Lazio. Il punto, comunque, non è Lotito o quello che avrebbe detto o non detto nel suo viaggio in aereo (e val la pena ricordare che, ufficialmente, ha condannato tutto il condannabile).
Il punto è che in Italia c’è di più e di peggio rispetto all’evento increscioso che si verifica con stanca regolarità in qualsiasi ambito della vita civile, politica e culturale (se ancora si vuol continuare a considerare il calcio un fenomeno culturale): e si tratta delle reazioni e dei commenti all’evento stesso, che quasi mai seguono la logica aristotelica del decoro e del buon senso. Si passa, senza soluzione di continuità, dal benaltrismo spicciolo (“perché non si è detto/fatto/pensato la stessa cosa quando è successo l’evento X al personaggio Y”) al populismo di politica e politicanti, sempre ossequiosi nella nobile arte del chiudere le porte della stalla a buoi abbondantemente scappati, attraverso dichiarazioni e iniziative al limite (e, spesso, oltre) del ridicolo. A questo giro, nella ridda delle condanne istituzionali di cui nessuno ha ancora capito l’effettiva utilità pratica, si è segnalato il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi che non ha trovato di meglio da fare che twittare una roba del genere: ora, immaginate la scena di una squadra a strisce verticali bianche e nere con una grande stella gialla in bella vista. Bene ma non benissimo, ma l’importante è cavalcare l’onda.
Quando, poi, ci va di mezzo anche il calcio l’effetto comico è assicurato. Non tanto e non solo per i pirandelliani personaggi che lo popolano quanto, piuttosto, per la pretesa, da parte dell’opinione pubblica, che il cambiamento parta da ciò che, più di altro, è lo specchio perfetto del momento storico di questo disgraziato paese. L’effetto è simile a quello degli applausi durante il minuto di silenzio in occasione di qualche lutto importante: far leggere ai capitani delle squadre qualche brano da uno dei libri più significativi della letteratura del ‘900 o indignarsi quando Mihajlovic dice quel che che dice (come se le sue simpatie politiche non fossero arcinote da tempo) vuol dire fossilizzarsi in quel gattopardismo di fondo che tanto male ha fatto e tanto male continuerà a fare all’Italia e agli italiani. Almeno i pochi ancora senzienti e in grado di evidenziare la differenza che passa dalle iniziative di facciata dei tanti (troppi) sepolcri imbiancati che ci governano, da un serio cambiamento culturale costruito su una solida rieducazione storica, civile, rispettosa delle minoranze e delle diversità. E che non si può e/o non si vuole attuare. Quindi inutile immaginare che il calcio possa guidare quando, da sempre, si è limitato a seguire. Nel bene e nel male, con una netta prevalenza della seconda ipotesi.
Del resto se, ancora oggi, non sembra essere sufficiente una “Giornata della Memoria” per far comprendere del tutto il tipo di orrore che quel libro e quell’adesivo simboleggiano, non vedo come leggere un singolo brano, farsi vedere in una sinagoga, promettere di portare ad Auschwitz tot. tifosi all’anno, possa contribuire a cambiare le cose e ad educare chi proprio ad essere educato non ci tiene. Anzi, trovo ancor più offensivo per la memoria di chi quell’orrore lo ha vissuto e per quell’orrore è morto, persistere in queste pantomime da “una botta e via” e poi, dal giorno dopo, tutto come prima se non peggio. Perché, se c’è una cosa che questa storia (e la storia dell’umanità) ci insegna, è che c’è sempre un peggio. Anche se non sembra possibile.
Così come non sembra possibile che Claudio Lotito possa avere ragione. Eppure…
p.s. Tempo fa ho avuto modo di leggere Dallo Scudetto ad Auschwitz di Matteo Marani. Tratta della storia di Arpad Weisz allenatore del grande Bologna e, soprattutto, ebreo ungherese finito inghiottito nel vortice della Shoah in un modo talmente orribile e disumano che credo di non aver ancora smesso di piangere. E mi basta questo, e non certo le campagne di sensibilizzazione all’italiana delle ultime ore, per non avvicinarmi, neanche per sbaglio, a certi modi di pensare.
Claudio Pellecchia.