Juve-Barcellona si chiude con un pareggio che serve solo ai blaugrana, che regala ben poche emozioni, ma che volendo guardare al bicchiere mezzo pieno, vede i bianconeri chiudere la gara con la porta inviolata, contro uno degli attacchi più temibili del mondo. Vero è che Messi ha qualche problema e siede in panchina per oltre un’ora, ma altrettanto vero è che è out, e per tutta la partita, anche Chiellini, a causa di un affaticamento muscolare patito durante la rifinitura mattutina.
Allegri schiera allora Barzagli sulla destra e Rugani e Benatia centrali, rimanendo comunque fedele al 4-2-3-1, rinunciando a Mandzukic e schierando dall’inizio Douglas Costa.
DOUGLAS COSTA PARTE A RAZZO
Il brasiliano parte da sinistra, ma si accentra spesso, non dando punti di riferimento ai blaugrana e creando superiorità numerica in mezzo. Dopo neanche due minuti prende palla a centrocampo, salta due uomini, scambia con Alex Sandro e conclude sul primo palo, trovando pronto Ter Stegen. All’inizio la differenza di impostazione delle due squadre è evidente: il Barcellona punta sul palleggio, la Juve su verticalizzazioni immediate, che diventano pericolose proprio quando i bianconeri riescono a eludere il pressing altissimo degli avversari.
BRIVIDO RAKITIC
In una gara tanto equilibrata gli episodi possono risultare determinanti e per un soffio non lo diventa la punizione di Rakitic al 22′: il cross del croato dalla tre quarti non trova nessuno pronto alla deviazione, ma rimbalza nell’area piccola e centra in pieno il palo. Ai catalani non viene concesso molto altro, anche perché la Juve è spesso padrona del gioco, anche se superare l’ordinata difesa impostata da Valverde è tutt’altro che semplice. Ci prova Cuadrado, calciando al volo dal limite, e Dybala, con un inserimento fulmineo e un sinistro a incrociare, ma entrambe le conclusioni terminano sopra la traversa.
TANTI CAMPIONI, POCHE EMOZIONI
I primi dieci minuti della ripresa sono di marca blaugrana, anche perché la Juve sbaglia qualche pallone di troppo in fase di impostazione, lasciando l’iniziativa in mano agli avversari. Valverde prova a dare un’ulteriore spinta ai suoi e inserisce Messi al posto di Deulofeu, ma intanto i bianconeri escono da guscio e arrivano al tiro con Higuain, che spara alto dal limite. Dopo il ventesimo cambia anche Allegri, che richiama Pjanic e getta nella mischia Bentancur. La Juve rischia grosso su uno svarione di Cuadrado che libera Digne in area: il croato però invece di calciare, cerca di servire Messi dalla parte opposta e permette il recupero di Rugani. Il Barça ora ha spesso il pallino del gioco e Allegri dà man forte al centrocampo con Marchisio al posto di Cuadrado. È una gara tesa, combattuta, con i portieri spettatori privilegiati. La Juve chiude la gara con Alex Sandro unico uomo di fascia, quando, a cinque minuti dal 90′, Matuidi entra per Douglas Costa. Soprattutto la chiude in avanti e Dybala regala al pubblico l’unico brivido del secondo tempo, indirizzando nell’angolino basso un sinistro che Ter Stegen riesce a mettere in angolo. È l’intervento che consegna il biglietto per gli ottavi al Barcellona con un turno di anticipo. La Juve invece dovrà andare a strapparlo il 5 dicembre ad Atene, contro l’Olympiakos, superato 3-1 dallo Sporting che ora è a un punto dai bianconeri.
JUVENTUS-BARCELLONA 0-0
JUVENTUS
Buffon; Barzagli, Rugani, Benatia, Alex Sandro; Khedira, Pjanic (21′ st Bentancur); Cuadrado (26′ st Marchisio), Dybala, Douglas Costa (40′ st Matuidi); Higuain
A disposizione: Szczesny, De Sciglio, Asamoah, Mandzukic
Allenatore: Allegri
BARCELLONA
Ter Stegen; Semedo, Piqué, Umtiti, Digne; Rakitic, Busquets, Iniesta (37′ st Jordi Alba); Deulofeu (11′ st Messi), L. Suarez, Paulinho
A disposizione: Cillessen, Vermaelen, Vidal, Denis Suarez, Alcacer
Allenatore: Valverde
ARBITRO: Mažić (SRB)
ASSISTENTI: Ristić (SRB), Djurdjević (SRB)
QUARTO UFFICIALE: Petrović (SRB)
ARBITRI D’AREA: Djokić (SRB), Grujić (SRB)
AMMONITI: 21′ pt Pjanic, 30′ pt Paulinho, 27′ st Alex Sandro, 42′ st Digne, 46′ st Piqué
Juve-Barcellona 0-0: perché ci hanno narcotizzati
Le statistiche avanzate ci dicono che lo 0-0 era il risultato più giusto. Sono quelle statistiche che nemmeno considerano Digne che ha paura di segnare davanti a Buffon; quelle statistiche per le quali la parata di Ter Stegen su Dybala è uguale ad altre migliaia di parate su migliaia di tiri scoccati da quella stessa mattonella.
Però, uscendo dalla logica degli episodi, anche stavolta le statistiche avanzate finiscono per beccarci. Chi ha ottenuto ciò che voleva? Leggo le formazioni iniziali, rivivo lo sviluppo della partita, rivedo Messi che entra nel nostro momento peggiore, leggo le formazioni finali. Noi chiudiamo con Barzagli Benatia Rugani Alex Sandro Marchisio Bentancur Khedira Matuidi Dybala Higuain, una roba che a vederla scritta stamattina non avremmo saputo nemmeno come immaginarci le pedine in campo. Il trionfo del tailor-made all’italiana di Allegri, pezze su pezze per disegnare una soluzione su misura (o temporanea, per i maligni) e irripetibile.
Ok, non ho più dubbi: il piano di partenza era provare a far male al Barça. Qualcosa è andato storto, chissà se l’esecuzione o il piano stesso; abbiamo perso gradualmente il controllo delle operazioni e per recuperarlo ci siamo rifugiati nella specialità della casa, la difesa posizionale con blocco basso, rinunciando a battere dove pensavamo di poter battere.
E cioè sugli esterni. L’idea era pescare Cuadrado o uno fra Costa e Sandro altissimi e con spazio davanti, dopo un cambio campo di Higuain o Dybala. Peccato che a Higuain abbiano preso le misure quasi subito gli ottimi Piqué e Umtiti (migliore in campo all’andata e al ritorno), con anticipi sistematici che hanno tagliato fuori dalla manovra il centravanti argentino. Il connazionale con la 10 sulle spalle ha fatto il possibile, cercando quasi sempre la giocata più difficile e quasi sempre sbagliandola. Resta un dato di fatto che in giornate come questa ci accendiamo solo quando si accende lui, e se Pjanic non gira, Dybala fa il doppio della fatica.
Gli esterni, si diceva. Allegri ha di nuovo preparato la partita su Semedo, che lo ha ripagato con un’altra prestazione mostruosa in entrambe le fasi (di fatto saltato solo una volta da Douglas Costa in 90 minuti, colpa nostra o merito suo?). Cuadrado ha scelto di annullarsi da solo contro Digne, sprecando le poche occasioni avute per puntarlo.
Il resto è possesso, tanto possesso per questo Barça, che rispetto all’ultimo di Luis Enrique ha recuperato un grande concetto della scuola spagnola, cioè l’uso conservativo del possesso palla, per riposarsi, difendersi, narcotizzare i ritmi e far stancare l’avversario. E può contare su interpreti di livello più alto in difesa e sul miglior Busquets degli ultimi 18 mesi. Squadra difficile da pungere, ancor di più per questa Juve sottoritmo che perde quasi tutti i duelli individuali (anche fisici!) e non ha mai la forza di contendere la sfera.
Cosa ci resta quindi di questa serata, a parte il punticino e la certezza di dover aspettare l’ultimo turno per qualificarci?
A me restano soprattutto due immagini: la frustrazione sul volto di Dybala a metà ripresa sull’ennesima palla buttata via dalla difesa (che fatica costruire con la palla a terra!) e la conseguente sensazione di impotenza sul possesso del Barcellona, che non aveva nessuna difficoltà a sviluppare la manovra sul nostro lato destro e non aveva poi nessuna intenzione di affondare dentro l’area di rigore. E poi Sami Khedira, 190 cm e 90 kg di carrarmato, che si ritrova in vantaggio su una palla che rimbalza alta, di fronte a lui Semedo (180 cm per 69 kg) ultimo uomo dei blaugrana, Douglas Costa pronto lì a un metro. Basta toccarla, forse anche solo disturbare Semedo nello stacco, Douglas la può raccogliere ed è in porta: Sami non solo non salta, ma non ci mette nemmeno il fisico.
Resta negli occhi però anche la prestazione di Medhi Benatia, strepitoso su Suarez per tutti i 90′. Era stato fra i migliori anche all’andata, nonostante il brutto svarione costato il 2-0. Forse è l’unica notizia buona della serata: non ci siamo dimenticati come si protegge il fortino, abbiamo ancora degli interpreti eccellenti della fase difensiva. Tornerà tutto utile più avanti, si spera. Ma per competere contro questo Barça e le altre big in primavera bisognerà salire di molti livelli.
Davide Rovati.
Ho visto Iniesta e ho ripensato la Juve
Non ho visto la Juventus. Ho seguito la Roma. E ho intravisto Iniesta. Nel primo tempo ho sentito nominare tante volte Douglas Costa, credo una ogni tocco di palla, incluse le serie nelle iniziative individuali.
Cinque volte ho gettato lo sguardo: buona Juve nel primo tempo, così mi dicevano, diversa dalla prima frazione di Genova ma forse con quel piglio che il tifoso vorrebbe ancora sentire rassicurante. Il “bene così, ci siamo, vuole dire che faremo nostra la partita“. O per scacciare la paura dei vuoti, degli acuti, e poi ancora dei vuoti.
Cinque volte ho gettato lo sguardo, e c’era Iniesta. Due slalom, un’illuminazione, due volte steso. Intanto la concitazione di chi me la raccontava mentre afferravo il senso del 4-3-3 della Roma (interessante, coraggioso, immaginavo Douglas che sfondava con la facilità di un Perotti, ma non è né quello che fa il Napoli né quello che vorrei per la Juventus).
Poi tre volte ho guardato verso lo Stadium nella ripresa:
– in una Iniesta vinceva anche un tackle intelligente (già, perché esistono anche i tackle intelligenti), steso;
– in un’altra lo Stadium scrosciava gli appluasi, Iniesta che ricambiava timido, o concentrato, o soddisfatto il giusto;
– nella terza ho visto parare un tiro di Dybala di quelli che in Serie A è sempre gol, e l’ho visto parare da un portiere che ritenevo appena al di sopra del normale, ma che non è arreso all’idea di esserlo.
Forse ho visto anche Dybala fare un cambio gioco chilometrico, per far partire l’azione. Ma forse è la normalità, e mi confondo.
In definitiva, ho applaudito anch’io il Pallone d’Oro mancato dell’ultimo decennio, giocatore che non decide più le partite, che già nella gara di andata fluttuava perché succede ogni volta che si gira. Là costrinse agli straordinari il pulcino Bentancur, che accogliemmo tra noi per la tenerezza. Qui ha fatto una fine simile, anzi mi dicono peggiore, Miralem Pjanic.
In tutto questo, alla fine, la difesa non la posso giudicare. Higuain neppure. Cuadrado non so. Il 352-che-diventa-442 lo lascio lì. Prendo lo 0-0, lo incarto e lo metto via come altri, contro l’Atletico Madrid o il Siviglia. Non siamo ancora ciò che il presidente Agnelli auspicava diverse estati fa, a proposito di gironi da archiviare con autorevolezza. Che poi: cosa conta? Ogni anno è diverso dall’altro se non fosse che si assomigliano così tanto.
Sconcerto. O è semplicemente l’atavica paura che prima o poi qualcuno centri il tuo tallone nel momento meno opportuno della stagione?
Arrivo fino a Sturaro. Come posso arrivare a pensare a Sturaro, costruttivamente, nella notte di Iniesta?
Capitasse anche ad Allegri, sarei più tranquillo.
Ripensare la Juve è la cosa più bella che possa, ogni volta, capitare all’allenatore da cui noi tutti ci travestiamo almeno una volta alla settimana.
Luca Momblano.
Generazione Barcellona
Mentre guardavo in streaming il secondo tempo di Juventus – Barcellona, una frase in particolare dell’ottimo telecronista (una volta tanto britannico e non arabo, cinese o russo) mi ha colpito: “Barcelona is bossing the game“. Un commento riferito al singolo frangente di gara, certo, ma che mi ha fatto riflettere inserendola in un contesto più ampio: andando un po’ indietro, quante volte, guardando una partita della Juve contro una grande rivale italiana o europea, avrei potuto esclamare “Juventus is bossing the game”? Con bossing non intendo dominio dal punto di viste del possesso palla, delle occasioni create o dei tiri concessi, piuttosto parlo di sensazioni, la sensazione di essere in totale controllo della gara, di poter fare qualsiasi cosa in qualsiasi momento, la sensazione che ogni tassello del puzzle sia perfettamente al suo posto e niente e nessuno possa smontarlo.
La percezione del calcio della mia generazione e forse anche di quella successiva, includendo i ragazzi nati tra fine anni ’80/inizio anni ’90 e i primi del 2000, è stata inconsapevolmente quanto inesorabilmente modellata dal Barcellona. Da Pep Guardiola in poi, i blaugrana hanno rappresentato per noi tutto quello che avremmo voluto essere ma che sotto sotto sapevamo di poter solo sognare, una perfezione estetica unita a una mèsse di trofei senza precedenti, una squadra per la quale potevi simpatizzare o meno ma che non potevi non ammirare estasiato.
Tale percezione in noi juventini è stata addirittura amplificata, dato che la prima età dell’oro del Barça è coincisa con i difficili anni della nostra risalita: mentre ci arrangiavamo con Poulsen, Amauri e Felipe Melo, spalancavamo la bocca di fronte all’onnipotenza di Messi (il migliore della storia? per chi non ha visto Maradona e Pelé non può essere altrimenti), all’eterea perfezione di Iniesta, al genio di Xavi. Quanto abbiamo sofferto, quanto abbiamo rosicato quando quelli che avevamo eletto a nostri eroi sono stati eliminati da chi ci ha condannati all’inferno della B?
Quando poi la Juventus è tornata ad essere protagonista in Italia e poi anche in Europa, quasi non ci pareva vero di poter competere sugli stessi campi degli alieni che pochi anni prima adoravamo nelle semifinali e finali di Champions. Abbiamo anche cullato neanche troppo velatamente il desiderio di poterli battere, ed entrare anche noi nella storia, in quella notte di Berlino che aspettavamo da una vita. Poi ci siamo scontrati con la realtà, con Iniesta che è uno dei calciatori più influenti della nostra epoca, con Neymar che a 23 anni è un campione mentre Dybala ora a 24 deve ancora maturare, con Leo che, quando decide di vincere una partita, quasi sempre lo fa.
Lo scorso aprile il mondo sembrava essersi ribaltato: 3-0 agli extraterrestri, la Joya che sembra la Pulce, l’armata blaugrana per una notte alla nostra completa mercé. Quella sera ci siamo sentiti noi il Barcellona. La doppia sfida recente, la gara di ritorno, ancor più di quella dell’andata, ci ha ricordato che NESSUNO è il Barcellona, se non il Barça stesso. Passano allenatori, giocatori (tranne quei due mostri lì), presidenti, cicli, ma pur con diverse variazioni sul tema i culé sono sempre uguali a sé stessi in un fondamentale particolare: la filosofia.
Come l’amico Claudio spesso ricorda e demonizza, cambiare la cultura di un club, e più in generale di un movimento calcistico vista l’influenza della Juventus sul calcio italiano, è dannatamente difficile. Un esempio? Andatevi a leggere sui vari social le parole dei calciatori della Juventus nell’immediato post-Barcellona*. Intendiamoci, nessuno sta dicendo che la Juve deve giocare come il Barcellona, semplicemente che un gioco che coniughi tecnica, coralità, solidità e ovviamente trofei è assolutamente possibile. Certo, risulta molto più semplice se in rosa hai i giocatori giusti, ma rinunciare a priori a perseguire una strada che vada verso una filosofia più simile a quella blaugrana che non a quella italica, considerando il materiale umano a disposizione della Juve, sarebbe delittuoso. Troppo, troppo spesso, abbiamo deciso a priori di rinunciare a giocare, di vivere di fiammate ed episodi, di modellarci sull’avversario e non imporre il contrario.
Ciò che sto terminando di scrivere non è una verità assoluta, bensì (ripeto) solo il frutto della percezione del calcio creatasi in seguito all’egemonia del Guardiolismo (che non a caso sta conquistando una piazza integralista quanto la nostra come quella britannica). L’ideale del Fino alla Fine, il fascino tutto italiano delle difese impenetrabili, la bellezza di una squadra solida e compatta, tutti questi concetti non sono da condannare, e ci sembrano assolutamente fantastici e condivisibili finché coincidono con le vittorie.
Ora però che le motivazioni non sembrano più ai massimi livelli, che la nostra linea maginot inizia a scricchiolare, che la lotta e la garra non sembrano più le qualità predominanti della nostra rosa, perché non provare a imboccare una nuova strada? Perché non provare il brivido del distacco da dogmi centenari regalando una nuova scossa a una squadra che ne ha bisogno come non mai? Nell’ultimo decennio siamo stati testimoni del crollo di due tabù storici, “la Spagna non vince mai niente anche se gioca bene” e “la Germania è una squadra fisica“; e se ora fosse il nostro turno?
L’abbiamo capito, non saremo mai il Barça, nessuno lo sarà mai, ma adesso che ne abbiamo i mezzi e che abbiamo ben poco da perdere, vogliamo provare a dimostrare che anche noi, in fondo, possiamo essere “Més que un club”? Non sono un utopista, non credo in un cambio di rotta repentino e a stretto giro di posta, desidero e spero soltanto che presto qualcuno (che purtroppo non penso possa essere Allegri) prenda in mano la nostra squadra e la liberi di preconcetti e convinzioni all’apparenza immutabili (cito ancora Claudio), portandola su un cammino mai battuto in 120 anni di storia. Lo spero io, come tutta la generazione Barcellona.
* il compagno di redazione Jacopo mi fa notare come l’UNICO calciatore a mettere parzialmente in discussione il “gioco” attuale sia quello con maggior talento, Paulo Dybala. Non roviniamolo.
Alex Campanelli.
Juve-Barcellona 0-0: improvvisazione pura, urge svolta
Serviva vincere per non rimandare il discorso qualificazione al match contro l’Olympiacos che arriverà fra Napoli ed Inter, serviva una prestazione convincente per scacciare i fantasmi degli ultimi giorni, è arrivato invece uno 0-0 contro un Barcellona che a Torino sembrava esserci arrivato non proprio in gita, ma quasi. Dimostrazione di ciò anche la panchina iniziale di Messi, i blaugrana hanno così dimostrato già in partenza la propria superiorità mentale in questa fase della stagione, loro domenica si giochernano già una bella fetta di Liga nel match col Valencia.
Allegri ha provato a rivoluzionare totalmente la squadra con la 19.a formazione in 19 partite ufficiali, ma stavolta non solo negli uomini, bensì anche nello schieramento: 3-4-3 per tentare di dare libero sfogo a Douglas Costa a sinistra, come richiesto da più parti, ma sembra più un’improvvisazione assoluta con tanta distanza fra i reparti e qualche vuoto chiuso qualche volta da Rugani, tante altre volte da uno strepitoso Benatia. Il brasiliano è inizialmente il più attivo, ma una serie impressionante di errori tecnici non permette quasi mai ai bianconeri di arrivare dalle parti di Ter Stegen, ma c’è anche l’altra faccia della medaglia che vede Buffon uscire dal campo a porta inviolata, come troppo poco spesso gli è capitato in questa stagione. Nel secondo tempo quasi imbarazzante il dominio territoriale dei catalani (per quanto apparentemente sterile), almeno sino alla girandola dei cambi che ha visto la Vecchia Signora crescere per lo meno fisicamente con gli ingressi di Marchisio e Matuidi, oltre a quello dell’ancora troppo timido Bentancur.
A proposito di errori tecnici, sono tante le note dolenti, fra conferme ed eccezioni di serata: Alex Sandro continua a sembrare veramente in sofferenza, Khedira in termini di dinamicità sembra il nonno al parco con i nipotini, davanti Higuain non ne tiene una, mentre Cuadrado ne combina di tutte e di più quasi consegnando anche i tre punti a Digne che però lo grazia.
La speranza è che Allegri stia per far svoltare questa squadra, dall’esterno però ad oggi non è di certo questa la sensazione: smentite di fatto sarebbero altamente gradite.
Fabio Giambò