Periodo di difficoltà per Paulo Dybala, spronato oggi da Pavel Nedved che ha parlato di giocatore dalle potenzialità enormi da sfruttare facendo “molti sacrifici e allenamenti al massimo sul campo“.
Esaltarsi in caso di successi ed abbattersi rapidamente in caso contrario, per di più incapace di pronta reazione. Considerarsi arrivati senza aver ancora dimostrato il massimo. Queste caratteristiche sono diametralmente opposte a ciò che vuol dire “essere da Juve”.
Sarà un caso che, per Dybala, il termine del suo periodo particolarmente brillante sia coinciso coni due rigori decisivi sbagliati contro Atalanta e Lazio, da cui è fortemente dipeso il mancato aggancio al vertice della classifica.
“Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore” (cit.). Eppure, la sensazione apparente è quella di una parziale fragilità caratteriale, distonica rispetto all’ambiente Juve, dove undici piemontesi tosti sono il paradigma di condotta su cui poggia tutto il resto, inclusa la qualità di uno come l’argentino.
Dybala ha responsabilità: indossa la 10, che tradizionalmente distingue campioni leggendari, dopo aver dismesso la 21, che ha un valore quasi equivalente, ma forse più legato alla tecnica che alla leadership. Al netto delle logiche di marketing, affidare la 10 a calciatori “fragili” un po’ equivarebbe a svilirla.
Dybala è uno dei leader tecnici della squadra ma, finché non sarà in grado di risollevarsi rapidamente dai periodi negativi, non potrà essere un leader de facto, trainare gli altri nei momenti difficili, come un capitano, nonostante abbia maglia, salario e condizioni tecniche ed ambientali per poterlo e doverlo essere. Non a caso, la panchina di Dybala nel big match contro la capolista denota come alla Juve non ci sia tempo per le pause e per la discontinuità.
A spronare la Joya ci ha pensato Nedved. L’esempio fatto giocatore.
Non solo come vicepresidente, ma soprattutto come Pavel. Per diventare un campionissimo ci vogliono sacrifici nella vita e lavorare al massimo sul campo. Il consiglio di un padre, uno dei più autorevoli, che dopo l’allenamento correva fino a casa sua a Venaria, pur avendo già vinto il Pallone d’Oro e, dopo aver seguito la squadra in B ed averla riportata in A, piuttosto che accasarsi altrove, ha interrotto la propria straordinaria carriera.
Dybala, ad oggi, appare deconcentrato o forse sotto troppa pressione negativa, non più leggero, cattivo e determinato come a inizio stagione. Nemmeno la panchina sembra aver prodotto effetti positivi. Nemmeno alcuni giri di parole poco convinti, in merito al suo futuro Juve, che pure sono molto contemporanei, per gli attuali calciatori di vertice, sono parsi in linea con chi veste la 10 della Juventus, che, anche negli ultimi anni, non è mai stata una gabbia per giocatori non convinti al 100%.
Certamente Paulo ha, dalla sua, il peso delle aspettative degli anni precedenti, di quel 3-0 rifilato al Barcellona di Messi, di quell’inizio stagione strabiliante, di quei paragoni ed elogi prematuri ed esagerati. Ma, così come ha accettato la 10, il ragazzo sa di aver accettato anche questo tipo di responsabilità. Onore e onere, grandi poteri e grandi responsabilità. Con pochi margini di errori, lui e la Juventus.
Tenga a mente, Dybala, le parole di Pavel: “La Juventus è qualcosa di diverso, è uno stile di vita che parte dal modo con cui ci si allena, sempre al massimo, sempre con la concentrazione altissima“.
Per maturare e diventare un campione, alla Juve come altrove, occorre investire sulla propria formazione personale; imporsi a sopportare rinunce, basta guardare gli ultimi 10 palloni d’oro: vanesi e social sì, ma soprattutto atleti e professionisti impareggiabili, base fondamentale per un talento immenso. Paulo ha sempre fatto così, da bambino, da ragazzino presto senza padre, in Argentina: cercare la via meno agevole per conseguire un obiettivo; mirare a diventare, prima ancora che un campione, un professionista serio e affidabile.
Non è affatto scontato che Dybala riesca a tirar fuori di nuovo questa capacità di andare oltre lo status di promessa folgorante e diventare un campionissimo alla Juve, scegliendo una via impervia, quella indicata da Nedved. Ci sono altre strade, più comode, forse anche più redditizie, orizzonti lontani e diversi, ma se Paulo crede che la Juve sia la sua dimensione, segua Pavel: ritrovi equlibrio, rabbia e quella voglia di migliorarsi tipica dei campioni. Con la C maiuscola. Come Nedved.
Vittorio Aversano