What juventini want

La formidabile vittoria di Bologna racchiude più parole chiave. Ogni juventino ne ha trovata una sua, soddisfatto in tutto e per tutto, premiato anche dalla valorizzazione contestuale del risultato su una prestazione che vale in pieno i 3 gol di differenza visti in campo dopo l’ennesima mutazione spirituale della Juventus sotto la gestione Allegri. Ogni juventino ha visto la Juventus che voleva vedere, da settimane. Più ancora che quella concreta e intelligente di Napoli, più che quella cinica di Atene, più che quella incattivita di Udine. Ciò che si è osservato al Dall’Ara è un contenitore rinnovato, e se una gara non fa sempre testo e letteratura nel medio periodo (lo juventino che ama Allegri o che dubita di Allegri, cambia niente, ne ha piena consapevolezza) è altrettanto vero che il prodotto del campo di una trasferta che adesso fa sorridere è emanazione diretta di ciò che la squadra aveva fatto vedere, e non solo intravedere, contro un’Inter impotente e orgogliosa di aver salvato la pelle.
Contro i nerazzurri Allegri era ripartito dalla radice, chiamando in causa i più applicati, consapevole che, se il terreno si fosse rivelato fertile, avrebbe avuto in mano innesti per elevare la proposta del suo 4-3-3 giudizioso in qualcosa di ancora più adulto ed efficace. Uno era (ed è) ovviamente Alex Sandro su Asamoah (sempre gloria a lui), un altro Douglas Costa su Cuadrado senza chiedere a un brasiliano di fare il colombiano (e infatti più “albero di Natale” che 4-5-1, a ognuno il suo, questo è il vero misurino dell’allenatore che crede nel calcio liquido e pensato). Per tutto il resto, c’è Paulo Dybala: ogni juventino sa cosa può voler dire ritrovarlo e incastonarlo in questo spartito che va faccia a faccia con l’avversario, se tale rimarrà per atteggiamento, linea di sbarramento più avanzata e produzione di gioco affidabile anche attraverso la tecnica in velocità (perché sul valore atletico, acrobatico e ostico della squadra, ogni juventino aveva già le idee piuttosto chiare). Non è così strano a dirsi, forse lo è di più a pensarsi: la Juve di dicembre potrebbe non essere una Juve di transizione, eppure (paradosso?) ha coraggio, ha un assetto stabile, ha i giocatori al loro posto e un certificato di garanzia che si chiama centrocampo a tre.
Su quest’ultimo punto: nel calcio non esistono antibiotici, ma esistono logiche curative. Il loro risultato spesso e volentieri è un effetto domino, proporzionato chiaramente al potenziale che una determinata squadra può raggiungere. Quello della Juventus non lo conosce nessuno, o forse soltanto Allegri, ed è ovviamente posizionato molto più in alto anche dell’asticella di Bologna. Ogni juventino vuole sbancare San Siro, il San Paolo così come Wembley facendo lo stretto necessario. Ogni juventino vuole altresì arrivarci sentendosi forte (e non solo adeguato), costante (e non appeso ai fili delle marionette), capace (non solo sulla carta) e propositivo, ossia l’aggettivo nascosto di mister Allegri che, attenzione, potrebbe aver dismesso la bandana con un mese e mezzo d’anticipo.