Chievo-Juve come paradigma del calcio italiano

Chievo-Juve, apparentemente solo una partita piuttosto noiosa vinta dalla squadra più forte, può essere utilizzata come paradigma per spiegare tanti aspetti del calcio italiano.

 

Le partite non proprio divertenti, intanto, e capita sempre più spesso: ora, sappiamo bene che non sempre un 4-3 è sintomatico di un incontro giocato alla grande, anzi, molto spesso è originato da errori che se fossero compiuti dalla tua squadra chiederesti l’allontanamento di allenatore e parte dei giocatori già a fine partita, però da noi le partite sono a volte un po’ troppo noiose. “E’ il gioco della Juve”, mi si dirà secondo una vulgata piuttosto stantia – considerando che recentemente ho visto partite in cui la Juve ha preso a pallate le rivali (Inter, Roma, derby) dal primo all’ultimo minuto (la Roma no, all’ultimo minuto no) con buona intensità e tante occasioni. Non solo: ho visto anche Atalanta-Napoli la settimana precedente: match tra due squadre che giocano bene, o almeno diciamo tutti così. Va bene il ritmo, il pressing, l’attenzione e tutto il resto, ma tantissimi errori, poche occasioni, emozioni praticamente zero. Nel caso della Juve di questo periodo, il problema si accentua perché la squadra è pesante sulle gambe (Allegri aveva avvertito dei carichi svolti al rientro), mai brillante e gestisce senza intensità, cavalcate di Douglas Costa e poco altro a parte.

 

Questo aspetto riguarda il campo, tuttavia, e può anche essere considerato passeggero, temporaneo: passerà, ritroveremo intensità; Juve, Napoli e le altre torneranno a fare grandi partite.

 

Quello che non cambierà e di certo non è passeggero o temporaneo è il resto.

 

Che a volte c’entra pure con il campo, perché se dopo l’espulsione di Bastien (sulla quale perfino nessuna persona che abbia visto mezza partita di calcio in vita sua può avere qualcosa da ridire) Maran se la ride sarcastico e Cacciatore (…) corre dall’arbitro a lamentarsi è chiedere spiegazioni, vuol dire che ormai (ormai?) le cretinate sulla Juventus hanno raggiunto perfino i protagonisti, che entrano in campo con uno spirito pronto alla polemica, alla protesta, alla perdita di concentrazione alla ricerca dell’alibi da spiattellare ai propri tifosi per un probabile risultato negativo in arrivo.

 

Il peggio, tuttavia, doveva ancora venire. Cacciatore, dopo essere rimasto a terra semimorto (come nell’occasione dell’ammonizione di Asamoah, dove si toccava dolorante la nuca dopo essere stato toccato alla schiena), con i soccorsi già entrati in campo autorizzati dall’arbitro, si rialza di scatto ed è già pronto a difendere di testa nell’altra area su un corner rivale, l’arbitro gli fa segno di aspettare fuori dal campo, come siamo abituati a vedere da una vita, e lui dà di matto, fa il gesto delle manette (perché, lo ripetiamo, avrebbe dovuto aspettare il calcio d’angolo per rientrare in campo, non per il quarto rigore concesso ai rivali in un quarto d’ora), lo reitera furbescamente dietro la schiena, fino a farsi buttare fuori pure lui, fare la solita scenata (ben assistito da alcuni compagni) e regalarci così la partita.
E’ questa, la vera foto: l’isteria collettiva con cui è vissuta la Juventus, utile a regalarci un percorso sempre più spianato verso le vittorie. Le mille polemiche strumentali che non fanno altro che caricare l’ambiente, le lagne preventive, in corso di partite o successive che tolgono attenzione a chi le fa mentre noi pensiamo a restare concentrati in vista del prossimo risultato; i pensieri costanti ad arbitri, calendario, orari, scansamenti, complotti di mercato e così via che non sono utili a creare il clima velenoso, certo, magari a dare un alibi ai propri tifosi che potranno twittare furiosi anche dopo partite come quella di ieri in cui c’è il nulla assoluto, ormai drogati dalle scemenze dette e ripetute da giornalisti e perfino dai loro idoli.

 

A quel punto, pure a fine partita, c’è l’allenatore del Chievo che mica condanna i propri giocatori, soprattutto il secondo autore di un gesto gravissimo e totalmente immotivato, macché; va e spiega che sì, il ragazzo può avere sbagliato, ma i medici non erano arrivati a soccorrerlo e quindi lui non era tenuto a uscire. Un abbaglio regolamentare, una giustificazione demenziale, un ulteriore motivo per protestare, pure a partita finita, quando forse le idee potrebbero essersi schiarite.

 

E poi via con i soliti noti, quelli che si stanno costruendo una seconda carriera con un ruolo preconfezionato, lavorando ahinoi, però, tuttora come giornalisti della Rai, di Mediaset, di quotidiani nazionali

Il che fa un po’ rabbia, perché il contesto potrebbe essere più sereno e divertito, e vivremmo tutti meglio, divertendoci con gli sfottò (anche sugli arbitri, certo) tra tifosi avversari che sanno parlare di calcio dandogli la giusta importanza, ma aiuta anche a fare ulteriore chiarezza su chi ci abbia raccontato in questi ultimi decenni, contribuendo a creare quel clima che ora cavalcano con questa sfacciataggine, retwittati da un esercito di tifosi drogati dai fallimenti delle proprie squadre e dai veleni su quella che vince più spesso.

 

E così il giorno dopo si scusa Cacciatore, che ammette di avere fatto una follia, ma non loro, che devono tenere il punto per il loro mini esercito, la loro seconda carriera, mentre poi raccontano il loro calcio velenoso sulle tv nazionali, sotto una veste di presunta imparzialità.

 

Fomentando il prossimo Cacciatore, costruendo il prossimo alibi, spargendo il prossimo veleno.

Spianandoci la strada, speriamo, verso il prossimo successo.

Il Maestro Massimo Zampini