Risultato finale, 0-0

C’è un po’ di amarezza. Avrei preferito pareggiare giocando meglio, con magari un palo e una traversa, due miracoli del portiere, oppure magari restare in 10 per un episodio e tenere duro in 10 contro 11. Questo è un pareggio senza onore e senza spettacolo. Indegna fine di una serie bellissima a tratti. Il risultato va benissimo, ma il gioco no, mi spiace caro Allegri. Primo tempo inutile, senza piedi buoni in campo. Troppi tutti assieme gli Sturar, Lichsteiner, Pereyra, Evra. Troppi piedi che non sanno accarezzare il pallone. E se hai tanti di questi allora il ritmo deve essere forsennato, come Conte insegnò a tutta Italia vincendo uno scudetto con De Ceglie, Matri, Giaccherini, Pepe, Lichsteiner e Vucinic (unico piede buono assieme a Pirlo di quella squadra). In questa Juve invece non c’ è stato ritmo né c’ è stata qualità. Speriamo di vedere l’ uno e l’ altra contro il Bayern. Già a Frosinone, con il Napoli e con il Genoa di ritmo ne ho visto poco. Qualche assolo e nulla più era bastato. Non basterà per il futuro. Né in Champions né in campionato. E forse nemmeno in Coppa Italia contro il Milan in finale. Il risultato lo accetto tranquillamente, i segnali di gioco no, questo il messaggio. Migliori in campo Barzagli, Cuadrado (per quel che ha giocato) e Morata. Nonostante questo la Juventus è andata vicina al vantaggio tre volte il Bologna mai.

Avevo fatto un sogno premonitore che mi aveva fatto vedere la Juve che pareggiava a Bologna e per questo sono stato cacciato dalla chat “Roma Bianconera”, un gruppo di amici della capitale troppo tifosi, ma ho anche sognato che la Juve sarà di nuovo in testa dopo Juve -Inter e Fiorentina- Napoli, forse addirittura lunedì sera. Vedremo se il mio sogno sarà stato premonitore anche sul Napoli.

Antonello Angelini.

Chi vuol essere lieto sia

Chi vuol essere lieto sia

Non sono solito rivedere le partite al sol fine di individuare la chiave tattica di un risultato, men che meno quando queste potrebbero sortire l’effetto patito da Biancaneve dopo il morso alla mela avvelenata e, tanto più, che farei fatica a trovare, anche in tempo di unioni civili, un Principe azzurro disposto a risvegliarmi. Lasciato, quindi, il freddo nastrino del telex (che vi ho ricordato, eh?) alle sapienti mani dei tecnici, mi affido alla poesia delle sensazioni provate in divenire per dare un senso ad un risultato che non deve scoraggiare. Anzi.

Ovvio, e la promessa è patto, come si dice in gergo legale, anche stavolta la Juve l’avrei voluta vedere, spumeggiante e dominante, far sua la partita con un netto 2 a 0 ma, questo, certamente avrebbe fatto guadagnare al pezzo un bell’# con un grazie iniziale condito con un conclusivo richiamo all’organo genitale maschile.

Quindi ricapitoliamo, scendiamo sul prato dei felsinei dopo una rimonta che ha pochi eguali nella storia del calcio non solo italiano e quindici partite di fila tutte vinte (15 su 15, si badi, non 15 su 25 consecutive eheh). Per quanto quel filotto precedente ti ha donato la consapevolezza di poterlo continuare, un risultato stretto – che lo si voglia o meno – prima o poi era nell’aria, non c’è niente da fare.

Se, con un’equazione, tecnicamente Cassano sta a Nedved come 100 sta a 80, dove la “furia Ceca” polverizza 110 a 20 il barese è nella testa. E’ una divagazione, ma mica tanto. I nostri ragazzi quella testa a tavoletta ce l’hanno da tre mesi e mezzo ed il bisogno di tirare il fiato prima di buttarsi a capofitto per il rush finale della stagione, verosibilmente è risultato più impellente dei due punti da conquistare ad ogni costo e, perciò, apparsi come persi per strada.

Tutto questo, per dirla con un gergo da tre sette, tra un Napoli che ha bussato un carico ed un Bayern che picchia sul tavolo le nocche chiamando una “Napoli”. Non è poco, davvero.

In questo contesto (le vittorie di fila, l’impegno psico fisico ecc. ecc.), sarebbe un errore dimenticare la rinuncia a uomini importanti della rosa, nonostante la stessa sia completa e zeppa di doppioni al punto giusto. Questa, purtroppo, è divenuta una consuetudine e la Juve non ha il vizio di piangersi addosso ma, alla fine, è indubitabile che le scelte obbligate sono di certo un fastidioso intralcio, quantomeno alla gestione delle energie, sia fisiche che nervose.

Più che discorsi banali, sembrano argomenti a giustificazione di una sconfitta. Ora va bene tutto, anche il motto sul colletto e che siamo la Juve, ma non esageriamo, sennò cadiamo nel ridicolo e si potrebbero ricordare alcuni scivoloni degli indimenticati Lippi boys nelle giornate che anticipavano la Coppa, quando ogni stagione terminava con una finale internazionale.

Tanto più che, proprio per questo motivo, altro che scansarsi, chi ci affronta spesso sfodera il meglio del repertorio, anche solo per il gusto di festeggiare il proprio personale tricolore. E, siamo onesti, il Bologna visto ieri e nelle settimane precedenti, per giunta affrontato in trasferta, era quanto di peggio potesse capitare, con una fase difensiva molto ben organizzata, densa al centro e, grazie ad una freschezza atletica invidiabile, pronta a bloccare le fasce con continui raddoppi. Prova ne sia che l’ingresso di Cuadrado e Dybala, pur donando sprazzi della richiesta imprevedibilità, non ha sovvertito, nella sostanza, l’andamento della gara. Non apriamo il fronte del cambio di Zaza con quest’ultimo, i caratteri stanno terminando, anche se, francamente, non credo sarebbe cambiato molto.

I mastini di centrocampo felsinei han fatto il resto. Con la sciabola impugnata, hanno contenuto i nostri nella battaglia (occhio a quel Diawara, classe ’97!). Marchisio, in questo, con generosità ha dato più del suo, come sempre. Sturaro quello che poteva, mentre il Polpo, nell’indecisa scelta dell’arma, ha spesso sfoderato il fioretto finendo spesso, per tal motivo, per soccombere. Sta di fatto che, stretti nella necessità dell’agonismo, i nostri han smarrito la virtù delle geometrie, soprattutto quelle ficcanti, condizionando oltre misura sia la prestazione di un Pereyra con poche idee e senza il giusto supporto, sia quella degli avanti.

Dove siamo stati impeccabili è stato, ancora una volta, nella fase difensiva. E’ vero, gli avversari non sono caduti nel letale errore di supponenza dei partenopei (che sia stata quella la differenza di risultato?), rinunciando quasi del tutto ad affacciarsi dalle parti di Buffon. In realtà, spesso non ci son riusciti per merito dell’ultima nostra linea, non dimentichiamolo. Ma vorrà pur dire qualcosa, diamine, se è vero che l’ultimo gol subìto è datato 10 gennaio e se, da allora, nove partite complete e coppa nazionale inclusa, i tiri verso il nostro portiere si contano sulle dita di una mano.

No, non cado nei trappoloni mediatici. Me ne frego dei record, la cui unica utilità è tutt’al più, quella di spingere la testa degli interpreti a superarli, così come di un primato provvisorio che, peraltro, a Torino non vale neppure fuochi di artificio interlocutori (e al quale, peraltro, non è nemmeno detto si debba rinunciare). Del resto la forza della Juve, da sempre, è quella di far pochi drammi quando non si raggiunge il risultato sperato, così come di non esaltarsi più di tanto dei risultati (a maggior ragione se effimeri) raggiunti.

Mi tengo, invece, la mentalità dei ragazzi, perché anche ieri, checché se ne dica, non hanno minimamente sottovalutato l’avversario, rispettandolo come meritava e non dandogli l’occasione di far propria l’intera posta perché, forse alcuni l’han dimenticato, nello sport si può anche perdere. E ieri un atteggiamento più spregiudicato avrebbe spinto i tanti indizi verso quella direzione e non potevamo permettercelo. Ecco perché il nulla di fatto non può e non deve lasciare rimpianti. Mi tengo stretta, poi, la solidità della mia squadra quando mancano ancora tre mesi alla fine del torneo, un’enormità. Consapevole che gli scudetti si vincono con tantissime vittorie, poche sconfitte e qualche pareggio. Questo in Emilia, ad esempio, vale tre volte di più di quello interno col Frosinone del 23 settembre. Perché se non servirà per conquistarlo, probabilmente, sarà utile a non perderlo. Che poi è la stessa cosa.

Roberto Savino