Max Allegri è un comunicatore molto pacato. Parla pesando le parole e ricorre spesso a frasi di circostanza per aggirare i trabocchetti delle conferenze stampa. Soprattutto, parla pochissimo degli avversari. Le rare volte in cui Allegri va sopra le righe quindi fanno rumore (e titoli per i giornali).
Proprio per questo è apparso netto il cambiamento di strategia mediatica di Allegri nelle ultime settimane. Con l’umorismo sardonico che lo contraddistingue, l’allenatore della Juventus ha smesso di eludere le continue domande sul Napoli e ha cominciato a punzecchiare i rivali, pur evitando di nominare Sarri in prima persona.
La prima piccola stoccata risale al 22 gennaio, conferenza post-Genoa. Allegri, sollecitato da un giornalista, risponde alle continue lamentele di Sarri sul calendario che vede il Napoli giocare sempre dopo la Juve: “Se sei dentro la Coppa Italia giochi prima, se sei dentro la Champions giochi prima. [pausa scenica] Se sei fuori giochi dopo”.
In cauda venenum: il ragionamento è irreprensibile, ma è chiuso da una constatazione subdola, quasi gratuita, anche perché sconfina dalle faccende di “casa nostra” pur non nominando l’ovvio destinatario.
10 febbraio, conferenza post-Fiorentina. Qui la risposta di Allegri non ha nulla di polemico, ma è molto irrituale per i suoi standard. Alla domanda di un cronista sull’imminente incontro fra Napoli e Lazio Max ribatte sicuro: “[…] guardo la partita, sperando che la Lazio faccia risultato”.
In più di una occasione in passato aveva risposto a domande analoghe dicendo cose come “non la guarderò nemmeno”. Se è vero che non c’è alcuna malizia in questa dichiarazione, il messaggio implicito è chiarissimo: da Torino vi guardiamo, avete i nostri occhi puntati addosso, stiamo aspettando un vostro passo falso.
L’ultimo episodio della serie, dopo il derby, è una bordata vera e propria: “Noi siamo dentro tutte e tre le competizioni e bisogna cercare di portarle in fondo tutte e tre, a loro è rimasto soltanto il campionato e quindi sicuramente saranno un pochino ossessionati da questa cosa”.
Non ricordo in 4 anni di Allegri una dichiarazione tanto belligerante nei confronti di un avversario diretto. Ci sono moltissimi elementi di conflitto: l’orgoglio di chi si sente più forte e più portato a sfide di questo tipo; lo sfottò che ricorda ancora una volta l’uscita prematura del Napoli dalle altre competizioni; addirittura, facendo ricorso a un termine del lessico patologico, una sorta di diagnosi psicologica.
Riferendosi alla presunta “ossessione” per lo Scudetto, Allegri prova a rendere pesantissima la quotidianità del Napoli, un gruppo disabituato alla vittoria, che ora è costretto a lavorare per tre mesi in funzione di un unico obiettivo, con la consapevolezza di avere un margine di errore ridotto all’osso (la Juve è a un punto e lo scontro diretto si gioca a Torino).
In quest’ultima bordata, secondo me azzeccatissima dal punto di vista comunicativo, c’è molto del modo di intendere il calcio di Allegri in contrapposizione a quello di Sarri. Dove il secondo è metodico, codificato e ripetitivo, il primo lascia spazio all’improvvisazione. Se Sarri sbraita quando il calendario non gli consente di allenarsi perché si fida ciecamente del lavoro sul campo, Allegri quasi lo ridicolizza: prima dice – esagerando – che “ad allenarsi tutta la settimana viene a noia” (altro riferimento lampante senza bisogno di nominare l’avversario), poi concede due giorni di riposo ai suoi giocatori.
Allegri sta chiaramente cercando di alzare il volume dello scontro dialettico perché pensa di poterne trarre dei vantaggi. Sa che lavorare senza sosta e senza valvole di sfogo è logorante; ha individuato in questo logorio mentale un possibile punto debole del Napoli e cerca di esporlo per aumentare la pressione mediatica sulla squadra di Sarri.
Lo scudetto si può vincere (anche) così, ma Allegri dovrà essere bravissimo a dosare le parole, perché il confine fra provocazione e segno di debolezza è molto labile.