Il cielo gronda. Il Paese è ingovernabile. Tutti trasudiamo pensieri gravi dopo il silenzio e la commozione di ieri. Quasi come se chi vive e respira calcio si fosse affratellato di fronte all’ineluttabile e inaspettata cesura di un suo protagonista, mentre tutto intorno si duellava e strombazzava.
Da qualcosa bisogna ripartire e lo si può fare in due modi: la bellezza abbacinante del 600° gol di Messi, patrimonio e tesoro immenso dei nostri tempi. E poi la bellezza pratica, tosta e splendidamente cinica di un gol a 15 secondi dalla fine di Paulo Dybala. Il nostro tesoro, così ondeggiante tra l’essere il “nuovo Messi” e il “nuovo non-Messi” in questi mesi, dall’aver messo tutti d’accordo, estimatori e detrattori, in un gesto che è un condensato di tecnica pura, come gemma incastonata all’interno di una caparbietà e capacità di non mollare non comune.
Il gol di Dybala alla Lazio è la sintesi più scintillante di quello che la Juve è, è stata e sarà sempre: classe e tecnica al servizio di praticità e grinta, o il suo esatto contrario, solidità e compattezza del collettivo che si solleva e innalza grazie al talento purissimo di un singolo.
Stremato dalla sequela infinita di domande sul belgioco ed in particolare sul “piacere di vincere giocando male” Allegri alla fine ha ammesso: “la Juve è questa, ha una sua storia, è sempre stata così e ha sempre vinto così“. Che non vuol dire rigettare la possibile evoluzione di un calcio più arioso, tecnico e sinfonico, semplicemente significa che non tradirà mai la priorità dell’essere saldi, costanti, robusti e infine eminentemente pratici, alla ricerca della vittoria.
Lazio-Juve è l’apoteosi dell’attuale declinazione dello stile Juve di ricercare questa necessità ed obbligo di vincere. Come del resto lo sono state tutte queste vittorie in trasferta. Così pesanti e pragmatiche da essere erroneamente identificate come casuali, episodiche. Come si può confinare una striscia di 17 vittorie su 20 (17 su 18 in Italia) nell’alveo degli episodi? Come si etichetta una squadra che subisce 1 gol in 18 gare in Italia come “fortunata” per i centimetri di Gomez o Schick che fa cilecca davanti a Szczesny?
Questa Juve viaggia ad un punto dai 102 di Conte, ha già eguagliato il suo record di vittorie consecutive in trasferta (8) di quell’anno, è ad un passo dal record di vittorie consecutive senza gol subiti (8, siamo a 7) e ha già battuto il record del numero consecutivo di trasferte in gol (28).
Soprattutto, proprio Dybala, a cui tremò il piede in quei 2 rigori oltre il 90° contro Atalanta e Lazio, quelli che ci separano dalla perfezione, ha segnato a Roma il 4° dei suoi 15 gol nei minuti di recupero.
Non c’è nulla di così iconico ed emblematico per questa Juve e per questo nuovo Dybala di quel gol al 92° e 45 secondi all’Olimpico. Dopo una gara ancora una volta passiva per un tempo, involuta, lenta, lacunosa e poco volitiva anche nella ripresa, seppure contro un’avversaria ormai fisicamente doma. Eppure, per l’ennesima volta, si era concesso zero e con calma, con manovra farraginosa, con graduale, anche frustrante, avanzare, alla fine arriva, ancora una volta l’inesorabile.
Una marea infinita di vittorie di misura, che è esattamente ciò che fa la differenza oceanica tra noi e le altre. E poi lui, Paulo. Anche lui sporco, ingabbiato, lento, a volte assente, a sprazzi. Negli ultimi minuti si è preso il centro della scena, così come aveva iniziato, sempre a Roma, sempre contro i biancoazzurri, all’esordio con quella maglia.
Al 92° Paulo c’è ancora, va a duettare a centrocampo, imposta, la scambia, ne supera due, va a mettersi al centro, lì dove, anche per il suo allenatore, teoricamente non potrebbe fare il 9 di una squadra di vertice.
Eppure fa proprio quello, anzi, fa molto di più. Riceve palla di spalle, si gira, guizza, tunnel in giravolta, supera in velocità, va a contrasto con un rivale fisicamente più forte, resiste e in caduta non perde di vista l’obiettivo. Che non può essere solo una meta parziale.
Non vuole cadere una volta arrivato lì, non vuole un rigore, sa che deve concludere solo nel modo più concreto e determinante il suo compito e la mette dentro in un concentrato di genio e forza di volontà che solo quello dei 600 gol dimostra, sempre. Tutto questo nella gara del suo ritorno.
E’ la solita vecchia Juve, è un nuovo Paulo Dybala, passato dai fasti dell’essere onnipotente e indispensabile, all’essere bacchettato e rinunciabile e poi rotto. E’ un numero 10 nuovo, temprato dalle giravolte della sua stagione e forgiato dai saliscendi del suo recente destino. Così vanno le cose alla Juve, non sarai mai “solo” classe senza volontà di potenza, non sarai mai “solo” grinta senza il genio che ti spinge oltre. Dybala è davvero la Juve ora.
Sandro Scarpa.