Il segno di una resa invincibile

Hanno vinto i più forti, ha dominato il migliore di tutti, applausi, testa bassa e via. Non c’era nulla da fare.

Eh no. Non va affatto bene! Da fare c’era eccome, molto ma molto meglio di quello che si è fatto e con le stesse armi che pure avevamo a disposizione. Frecce, scudi e pietre contro draghi fiammeggianti.

Cosa c’è di più arrendevole, per chi “vincere è l’unica cosa che conta” di un intero stadio che applaude ad un gol iconico di un penta-pallone d’oro che ci segna altri 2 gol, dopo i due della 7° finale persa?

Quale segno più evidente di una resa invincibile e incontrovertibile del vedere il tuo numero 10 e giocatore simbolo a livello mondiale che, dopo una gara sufficiente (solo sufficiente), si fa buttare fuori dopo una mezza simulazione e un mezzo intervento scriteriato?

Quale fiume di discorsi inutili si possono fare sul calcio, sulla tattica, sulle chance, se il giocatore che ha segnato 500 gol, 14 in questa CL, 22 solo nei quarti (la Juve 21 in tutta la sua storia) e 9 gol con 12 tiri nello specchio a Buffon, vola in rovesciata a 2 metri e 30 infilando un missile nel sette?

1. Potevamo giocare meglio!

Aveva senso dopo Wembley (nonostante l’1-2). Col Real non devi “giocare bene”, non devi “sbagliare”

2. Dobbiamo cambiare mentalità!

Quale mentalità? Quella del non mollare mai? Al Camp Nou, al Bernabeu, a Wembley, proprio quella che ha fatto spesso la differenza anche quando eravamo inferiori su molti aspetti? Non va cambiata la mentalità, va semplicemente rafforzata, non nascosta dietro l’alibi dell’onnipotenza altrui.

3. Dobbiamo cambiare filosofia di gioco, giocare d’attacco!

Allo Stadium ce la siamo giocata e ne abbiamo prese 3, al Bernabeu catenaccione e beccammo solo su rigore. Non è questione di mentalità e di gioco d’attacco. In questi anni chi ha eliminato Real e Barca (Di Matteo, Mou, Simeone, Allegri) l’ha fatto “distruggendo il gioco” non “giocando a chi attacca di più”.

4. La Juve non ha un gioco “europeo”, né un allenatore vincente in Europa!

In questi anni uno dei club col miglior gioco espresso è stato il Bayern di Guardiola, eppure è uscito con le ossa rotte contro il Real (0-4 in casa) contro il Barca (3-0 al Camp Nou) e contro l’Atletico. La Juve non ha mai giocato così bene come quel Bayern, non ha avuto un allenatore geniale come Pep, eppure è riuscita, con le sue armi, ad eliminare sia Real che Bayern, con una strategia diversa, limitando al massimo gli errori.

5. La Juve non ha una società ricca che investe in top player e tiene i campioni!

In questi anni PSG e City hanno riscritto ogni anno il concetto di “mercato faraonico”, eppure le scoppole dei francesi contro Barca e Real sono recentissime, per tacere delle disfatte passate (8 gol dal Monaco) e presenti -seppur parziali- (Liverpool) del City. E la Juve non sarà mai ricca come PSG o City.

6. In Europa usciamo mentalmente dalla gara alla prima difficoltà.

In questi anni la Juve è rimasta in gara e rimontato contro Olympiacos, Real (2014-15), City, Bayern (2015-16), Lione, Siviglia (2016-17), Tottenham (2017-18). Perfino nelle due finali perse la Juve ha risposto ai primi gol subiti pareggiando e riemergendo, prima di affondare definitivamente.

Non lo ha fatto quest’anno, sia col Barca che col Real. E’ andata a fondo, sopraffatta dall’alone di onnipotenza di Messi e CR7. Ecco il punto!

 

FATALISMO DELLA RESA

La Juve ci ha provato per un’ora, poi è stata schiacciata, non solo dalla superiorità Real, non solo dalla brutale superiorità del più brutale degli uomini superiori del calcio, ma dal fatalismo dell’essere più debole.

Non devi solo “giocare a calcio“, devi “distruggere il gioco“, non basta “sperare che non facciano valere la loro onnipotenza“, devi anche avere l’anelito a distruggerli gli Dei, andare oltre la tua inferiorità.

Se da un lato c’è l’Onnipotenza, la Juve ha fatto molti più errori di quelli consentiti contro chiunque:

tre errori collettivi grossolani difensivi sui 3 gol; tanti errori di misura nei passaggi; alcuni errori sotto porta, l’errore marchiano di Dybala che da ammonito osa un intervento pericoloso.

Gli errori ci hanno fatto perdere, non l’onnipotenza altrui.

L’onnipotenza devi subirla, applaudirla ed arrenderti solo se sei stato perfetto e hai perso in ogni caso, non puoi farlo se sei stato appena sufficiente. Come questa Juve.

Nei prossimi anni la Juve evolverà, forse tornerà in finale Champions o forse no. Forse giocherà meglio contro i Tottenham e i Lione di turno e magari perderà, forse non sarà di nuovo imbattuta per 5 anni in Europa allo Stadium, ma riuscirà a fare più gol dei pochi che fa adesso in Champions o forse no.

Ma sarà sempre “inferiore” a 3-4 squadre. E da inferiore dovrà sempre provare a ribaltare i concetti di forza e destino. Non dovrà sfaldarsi di fronte alla superiorità avversaria, non può essere un alibi per i propri errori. Non esistono alieni o supereroi, anche gli dei del calcio cadono, ma non basta essere lì ad aspettarne la caduta, devi abbatterli, non favorire i loro colpi e soccombere allargando le braccia e scuotendo il capo.

E’ tempo di ringraziare (infinitamente) i nostri personali eroi e assoldare gente che non abbia paura di fronteggiare chi ci ha fatto genuflettere, che abbia di nuovo voglia di abbatterli quegli dei non di venerarli nella sconfitta. Gente che non nasconda i propri errori dietro l’ineluttabilità della forza dei Messi e dei CR7. Solo a quel punto, dopo essere stati perfetti ed aver perso lo stesso, potremo applaudirli.

E’ tempo di rialzarsi da questa “resa” che sembra ineluttabile, non di rassegnarsi a capo basso.

Sandro Scarpa.

Perché Isco sembra più forte di Dybala

Quante volte il tifoso juventino – me compreso – si spazientisce quando vede Dybala costretto a retrocedere nella nostra metacampo per giocare il pallone? Ieri sera, guardando giocare Isco, ho capito perché il tifoso del Real Madrid non avanzerà mai una recriminazione simile.

Fermiamoci subito, prima di proseguire con il parallelismo: ha senso mettere a confronto Isco e Dybala? Certo non come ruolo naturale, e tutto sommato nemmeno come caratteristiche. Ma i loro compiti sono tanto diversi all’interno dei rispettivi sistemi? Io dico di no. Sono entrambi registi offensivi a cui è demandato il raccordo fra centrocampo e attacco, e soprattutto sono entrambi lasciati liberi di muoversi per il campo alla ricerca degli spazi migliori dove ricevere il pallone.

Perché allora Isco riesce a influenzare la manovra in ogni parte del campo? Perché il suo arretramento sembra così logico e organico, mentre quello di Dybala ci fa storcere il naso?

I passaggi effettuati da Dybala (in rosso) e Isco (in blu). Ben 22 su 57 i passaggi effettuati dallo spagnolo partendo dalla propria metacampo. Fonte whoscored.com

La grande differenza è che Isco si abbassa e si alza con la squadra, palleggia e galleggia, aiuta l’organizzazione del possesso e poi sbuca 30 metri più avanti per essere decisivo nell’ultimo terzo di campo. E così il Madrid gli permette di sentirsi sempre al centro del gioco, di toccare tanti palloni e di rimanere con la testa dentro la partita.

La Juve invece non sa dare questo gioco corto a Dybala, così come non sa darlo a Pjanic, Khedira, Douglas Costa. Tutti giocatori associativi di natura, che quindi smentiscono la teoria secondo cui basta mandare in campo giocatori tecnici per migliorare il livello dell’espressione collettiva.

Il problema del nostro possesso palla nasce semmai dall’occupazione degli spazi. La Juve ha una struttura posizionale molto rigida, in cui al massimo si verificano interscambi di posizione fra due giocatori. Nelle situazioni dinamiche e tendenti al disordine, i giocatori (persino quelli più talentuosi) non hanno la minima consapevolezza di quali spazi andare a occupare in relazione al movimento dei compagni.

Al Real Madrid invece sono tutti maestri di questo fondamentale e si conoscono talmente bene che non hanno paura di disordinare la loro struttura, mantenendo intatti i principi tecnici e tattici che si allenano col torello: 7 fuori e 3 dentro, gioco corto a uno-due tocchi, calibrazione della velocità di passaggio, ricerca del terzo uomo. Ogni passaggio viene effettuato pensando anche a ciò che vorrà fare dopo il compagno che riceve e a come sarà orientato quando gli arriva il pallone.

Magari Zidane non passerà alla storia come Guardiola o altri professori della scuola spagnola, ma il possesso palla del suo Real Madrid – ed è indiscutibilmente suo, ricordate il centrocampo svuotato di Benitez? – è davvero un connubio raro di eleganza ed efficacia. Trasmette una sensazione di costante fluidità in tutte le situazioni di gioco, sia che si tratti di uscire dal pressing alto, sia quando i centrocampisti decidono di accelerare e andare in verticale.

Soprattutto, e questo è un aspetto che le letture della partita non hanno sottolineato abbastanza, la rete di passaggi del Real Madrid valorizza gli elementi di talento come Isco senza chiedergli di forzare la giocata per creare superiorità. Il dribbling finisce per essere un elemento accessorio e infatti non è un caso se in nessuno dei tre gol dei blancos ce ne sia traccia. Così come non è un caso che nel corso della partita la Juve ne abbia portati a termine 24, ben nove in più degli avversari.

Certo, a volte è proprio un dribbling di Dybala, quando il numero 10 si abbassa nella nostra metacampo, a essere determinante per lo sviluppo delle nostre azioni. La Juve vive di fiammate e far saltare il pressing avversario, anche a 60 metri dalla porta, può generare una potenziale occasione da gol 10 secondi dopo.

Quello che ci manca è la capacità sistematica di accompagnare questi giocatori, un passaggio dopo l’altro, nelle zone dove sono più pericolosi. Continuiamo a chiedere loro – a Dybala e Douglas Costa soprattutto – di essere Maradona. Il Real Madrid invece ha solo permesso a Isco di essere Isco.

Davide Rovati.