Cosa significa e cosa rappresenta Gigi Buffon per il ruolo di portiere
Diciamocelo chiaro e tondo: non c’è grande gioia nel ruolo di portiere. Non c’è bambino che non fosse infelice di essere relegato tra i pali, perché è frustrante starsene in oggettiva disparte mentre in campo gli amici si litigano il pallone. Non è la massima aspirazione dei ragazzetti esuberanti e iperattivi che imparano a calciare il pallone, perché alla fine il portiere il pallone non lo tocca poi tanto; non c’è azione, non c’è grande pathos: anche nei momenti in cui l’avversario attacca, l’azione svanisce in pochi istanti, e se il portiere sarà coinvolto o meno nella maggior parte dei casi non lo decide lui, ma lo sviluppo dell’attacco. Motivo per cui nelle partite senza rilievo, noi portieri tifiamo per gli avversari. E poi, chiaramente, c’è la chiave di lettura più importante: ogni errore pesa maledettamente. Un giocatore di movimento che commette un errore tecnico – anche macroscopico – il più delle volte è irrilevante per l’azione o per il risultato: uno stop sbagliato del terzino e la palla scivola in fallo laterale, un lancio sbilenco del regista e al massimo si perde sul fondo. I portieri non hanno questo lusso, anche alla minima incertezza saranno sacrificati sull’altare della costante ricerca di un capro espiatorio, perché saranno i primi ad essere questionati.
È stato gettato molto inchiostro sulla “solitudine del numero uno”, di quanto gli estremi difensori siano sempre meno (secondo altri più) “dentro” la partita rispetto altri dieci giocatori di movimento. Tuttavia in pochi riescono a cogliere realmente la dimensione che fa del portiere il più bel ruolo del calcio, e riguarda ovviamente le inclinazioni caratteriali proprie di ciascun calciatore. Ribaltiamo per un attimo la prospettiva: se ogni errore è decisivo, significa che la responsabilità del ruolo è esponenzialmente più alta rispetto a quella dei compagni. Molto più alta dell’attaccante che diventa idolo dei bambini, molto più alta di chi segna un gol da favola non-sa-neanche-lui-come e la sua carriera si cristallizza in quel gesto. Il portiere è un elemento tendenzialmente affidabile, con un grande senso di responsabilità e di quella che in inglese viene resa – in modo intraducibile – come accountability. In definitiva, la bellezza del ruolo sta proprio nella percezione che ogni pallone che arriva dalle tue parti è potenzialmente decisivo.
Non credo che le classifiche di “portiere più forte di tutti i tempi” abbiano un gran senso, specialmente se si è passata la maggiore età. Nonostante l’intrinseco bisogno di categorizzazione del genere umano, ridurre il tutto ad un etichetta limita le analisi e mortifica la profondità dei ragionamenti. Ma sotto la lente d’ingrandimento della “responsabilità”, posso argomentare del perché secondo me Buffon è stato un caposaldo del ruolo.
Qualità
Mi riesce però difficile compiere un’esegesi lucida di Buffon senza partire dalle sue qualità eccelse. Ora che ci penso, non penso di essere degno di descriverne il talento – io, portiere qualunque di periferia. Mi sento un po’ come un comune mortale in un esercizio di voyeurismo alle porte dell’Olimpo. Il punto è proprio questo: Buffon ha un carnet di abilità che è praticamente impossibile passarle in rassegna in modo esaustivo.
Una delle prime cose che salta agli occhi è l’incredibile confidenza che ha con lo spazio. Buffon ha un talento innato nel trovarsi sempre al posto giusto. La “posizionabilità” di un portiere ha più livelli d’analisi. Il primo e più intuitivo è quello longitudinale sui 7,32 metri che separano i pali. Il secondo è la distanza dalla linea di porta: a seconda dell’azione o del tiro subìto, si sceglierà un tradeoff tra copertura dello specchio (posizione più avanzata, all’attacco della palla) o un tempo di reazione più prolungato (scelta conservativa). Il terzo, quello più personale, è il posizionamento dell’asse del corpo – nonché di gambe e braccia – rispetto al tiro. In centinaia di partite tra club e nazionale, Buffon ha saputo toccare vette di perfezione, sapendo ergersi a monumento imperituro del posizionamento tra i pali e costringendo la scuola tecnica italiana a produrre decine di video educativi per aggiornare i propri archivi.
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Di questa partita, per molti finita nel dimenticatoio oscurata da gare più importanti, questa parata è una pietra miliare sulla posizione. L’attaccante ucraino non segnerà mai.
Un altro aspetto su cui vale la pena soffermarsi è la reattività. Buffon ha sempre avuto un fisico perfetto per il ruolo, alto a sufficienza per imporre la propria presenza al pallone e agli avversari, longilineo e non troppo possente da risultare limitante per le parate su tiri al corpo. Nonostante l’aiuto da madre natura (192 cm, poco al di sotto dei 90 chilogrammi), la reattività di Buffon è fuori dal comune. Tutte le componenti che contribuiscono a definire in maniera tecnica – ma soprattutto nell’immaginario dei tifosi – la parola “reattività”, Buffon le ha tirate fuori con sconcertante narutalezza: la lettura dell’azione e del tiro, la scelta in tempi brevissimi, la velocità nell’andare a terra (o nel rimanere in piedi, o nel rialzarsi) sono fiori all’occhiello nella sua carriera.
Un’altra caratteristica, forse meno lodata delle precedenti negli ultimi 20 anni, è la capacità di uscita bassa. Al di là del tempo rapidissimo con cui chiude baracca e burattini quando entra sull’avversario, Buffon ha un’altra qualità (nella qualità). Ha l’abilità di rubare il tempo dalle gambe degli avversari lanciati a rete, entrargli nel calzettoni e uncinare il pallone, impattando con il polso sulla sfera, per un grip maggiore. Con il tempo, questa caratteristica è andata affievolendosi, e se da un lato ha cominciato a causare qualche rigore, dall’altro questo è un marchio di fabbrica che troppo spesso è passato inosservato.
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Sarebbe noioso se Buffon fosse perfetto, no? Nessuno lo è, nemmeno Pelé o Cruijff lo erano, perché dovrebbe esserlo Buffon? Potrei sciolinare un paio di paragrafi sulla distribuzione con i piedi o sull’arco spaziale molto ristretto delle sue uscite alte. Ma non lo farò.
Responsabilità
Se è vera la storia secondo cui, dodicenne, faceva il centrocampista con i pari età e il portiere con la categoria di due anni superiore, sin dalla tenera età si possono notare i contorni del portiere che sarà: responsabile. Possiamo essere portati a pensare alle parole in conferenza stampa o nello spogliatoio, ma la dimensione su cui voglio soffermarmi io è strettamente di campo. Il portiere è responsabile tra i pali. Si assume oneri e onori in quel fazzoletto di campo, più ridotto e più importante rispetto al resto del terreno: “questa palla è responsabilità mia”.
La responsabilità delle scelte
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Questa peraltro è un vecchio trucchetto che se portato bene frutta parecchio: passo in avanti per dare all’attaccante l’impressione che si esca con decisione, e poi invece piede piantato e corsa all’indietro per prendere posizione e poter “pensare” la palla. Ogni tanto quando si è indecisi serve anche questo.
La responsabilità di lottare laddove i suoi compagni si erano ragionevolmente arresi
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La responsabilità di dare la scossa, anche psicologica.
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Chiaramente, la responsabilità dei rigori. Ovvero quel frangente meraviglioso in cui per una volta il portiere può vivere la situazione opposta alla sua condizione esistenziale: l’assenza di responsabilità.
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Grazie
È un ruolo stronzo, quello del portiere. Con ogni partita, ogni parata, ogni urlaccio alla difesa, ogni pensiero non proferito nel freddo della solitudine, Buffon ha reso giustizia al ruolo più bistrattato di questo sport, e proprio per questo il più bello. Si è addossato sulle sue larghe spalle la responsabilità di farlo conoscere sotto nuova luce, di farlo amare, ed è riuscito a dargli fascino. Si è preso la responsabilità di tramandarlo e attraverso la sua figura mitologica di passarne la passione alle generazioni future. Tutte responsabilità che non sono necessariamente richieste al ruolo già di per sé gravoso del portiere, e che danno la misura dell’incredibile grandezza di Buffon.
Grazie Gigi, con te termina una generazione