Il commento di Angelo Carotenuto apparso su Repubblica l’indomani della matematica conquista del 7° scudetto consecutivo da parte della Juventus inizia con un invito a riflettere “sul senso di questa egemonia senza precedenti, tipica dei sistemi sottosviluppati”.
E’ una riflessione che necessita di qualche dato che ci spieghi cosa è successo intanto nei campionati per così dire “sviluppati”.
In Spagna, con l’eccezione della stagione 2013/14 vinta dall’Atletico Madrid, il Barcellona ha vinto 4 campionati lasciando i restanti 2 al Real Madrid. Allargando l’orizzonte temporale alle ultime 20 edizioni della Liga scopriamo che solo 4 volte il campionato spagnolo non è stato vinto da Real o Barcellona (Deportivo La Coruna nel 1999/00, Valencia nel 2001/02 e 2003/04 e Atletico Madrid 2013/14).
Sarà un caso, andiamo avanti…
In Germania negli ultimi 7 anni il Bayern di Monaco ha vinto 6 volte lasciando il primato al Borussia Dortmund nella stagione 2011/12. Negli ultimi 20 anni il campionato tedesco è stato un po’ più combattuto di quello spagnolo anche se gli avversari del Bayern hanno vinto la Maistershale solo 7 volte.
Proseguiamo…
In Francia, il PSG ha vinto 5 delle ultime 7 edizioni della Ligue 1 lasciando il titolo al Montpellier nella stagione 2011/12 ed al Monaco nella scorsa stagione. Non è l’unico ciclo vincente vissuto dalla Ligue 1 perché negli ultimi 20 anni sono da ricordare i 7 campionati consecutivi vinti dal Lione fra il 2001 ed il 2007.
E dulcis in fundo la Premier che ha anche lei qualche scheletro di sottosviluppo nell’armadio… Infatti gli ultimi 7 campionati sono stati divisi equamente fra le due di Manchester ed il Chelsea, con l’eccezione Leicester che ha vinto l’edizione 2015/16, ed il Manchester United si è aggiudicato 9 delle 15 edizioni disputate fra il 1998 ed il 2013.
Negli ultimi 20 anni la nostra sottosviluppata Serie A ha assegnato lo scudetto 10 volte alla Juventus, 5 all’Inter, 3 al Milan e 1 a testa a Roma e Lazio.
Questo per dire che, se le squadre italiane nuotano “nello stesso mare [della Juventus] accettando in partenza di vivere agli estremi della catena alimentare sentendosi per giunta accusate (da chi? Non ho mai né letto né sentito niente di simile da qualche tesserato juventino) di essere poco allenanti”, sono quantomeno in buona compagnia delle varie Siviglia, Valencia, OM, Bordeaux, Werder Brema, Shalke 04, West Ham, Tottenham, per le quali le rispettive leghe si aprono ogni anno con la prospettiva di un posto dal secondo in giù.
Il calcio italiano pertanto, mi sembra, va nella direzione verso cui procedono tutti i movimenti calcistici più avanzati, né più né meno. Non si capisce nemmeno perché “i milioni della pay TV” abbiano stravolto solo il nostro movimento calcistico e non anche i movimenti spagnoli, tedeschi o inglesi dove peraltro i diritti TV hanno valori e tassi di crescita superiori ai nostri.
Carotenuto continua sostenendo che la Juventus “si è incardinata al centro di un sistema nel quale due terzi della Seria A incassa i soldi delle TV senza reinvestirli e dedicandosi esclusivamente alle plusvalenze” ed in cui “la borghesia del calcio italiano si è ritirata accettando una perdita di competitività in cambio di una cooptazione nel circuito del benessere economico”. Secondo Carotenuto poi la Juventus “ha scelto per sé il ruolo di eccezione al movimento, anziché farsi locomotiva o traino”.
Ora, non so quali siano le strategie o le idee della Juventus a riguardo, faccio però alcune considerazioni.
Nella stagione 2011/12, primo scudetto della Juventus, il valore complessivo delle rose di Serie A era pari a 2,01 miliardi di Euro. Nella stagione in corso 2017/18 il valore complessivo è salito a 3,79 miliardi di Euro con una crescita dell’88,5% (fonte Tranfermarkt).
Nel periodo il valore della rosa della Juventus è cresciuto del 133,8%, quello del Napoli del 129,8%, quello della Roma del 116,1%, quello della Lazio del 203,7%, quello dell’Inter del 12,2% e quello del Milan del 42,7%.
Quello descritto è un trend casuale o non è forse conseguenza della necessità delle rivali di rimboccarsi le maniche e recuperare il gap tecnico che le separa dalla Juventus?
Il successo dello Juventus Stadium ha indotto altre squadre di Serie A ad avviare progetti analoghi (Udinese, Cagliari, Roma ecc.) per ridurre il gap con altri movimenti.
Mi pare sia riconosciuto il merito dell’azione “politica” della dirigenza juventina per ottenere la qualificazione di diritto 4 squadre italiane in Champions League.
Non sono questi dei traini per il movimento calcistico italiano? Che peraltro fatica a riformarsi non certo per l’opposizione e la resistenza della Juventus.
Il ruolo di eccezione al movimento, secondo Carotenuto, sarebbe esercitato anche attraverso la posizione dominante “esercitata con relazioni senza confronti con 41 calciatori in prestito tra i professionisti che allargano l’influenza su agenti, procuratori e direttori sportivi, con uno stuolo di suoi ex campioni che parlano all’opinione pubblica dai salotti TV”.
La pratica dei prestiti è probabilmente da criticare, e credo sia al centro di una riflessione da parte dell’UEFA, è tuttavia una pratica legittima ed una politica non disdegnata da altre società di Serie A se si pensa che (fonte Transfermarkt) il Napoli ha 17 giocatori in prestito, la Roma 25, l’Inter 35 e la Lazio 16. Detto anche che un terzo dei 41 citati sono ragazzi provenienti dalla Primavera, per i quali credo possa essere legittima la scelta di tenere il cartellino per vedere come crescono, probabilmente l’introduzione delle squadre B (non certo avversata dalla Juventus mi pare) potrà essere la via per non dover dare in prestito giovani promettenti ma ancora acerbi per la prima squadra, esattamente come fanno Real o Barcellona.
Sui rapporti con gli arbitri mi sembra sufficiente citare quanto scritto da Luca Marelli qui
Infine faccio notare che in NBA, in un sistema completamente diverso, senza retrocessioni, con i draft ecc. dal 1999 ad oggi i Lakers hanno vinto 5 volte, San Antonio 5, Miami 3, Golden State 2, Cleveland, Dalla, Boston e Detroit 1 a testa.
di Filippo Noto
La scatola del cuore di ogni juventino
Quando c’è in ballo il cuore, si mette in moto la parte irrazionale. E’ lei che riproduce il film dei ricordi più vero. E’ questo il talento dell’uomo: muovere la cinepresa che c’è in ognuno di noi quando ci si lascia andare, quando le endorfine inondano il senso del dover per forza ragionare secondo linee guida.
E’ un film diverso per ognuno, e non ne esistono due copie neanche all’interno del singolo tifoso juventino che si sforzi di rivivere e riassistere a questo travolgente ciclo. E’ colpa sua, della testa, anche quando è leggera, che spinge a catalogare e poi sovrapporre ogni immagine, ogni sussulto ed emozione di cui si ritiene di conservare il ricordo esatto. Pensare di potersele riprodurre è mera illusione, così alla fine diventano anche queste immagini, proiezioni attualizzate del sé. Fortunatamente ci sono anche i fatti. E il cocktail diventa micidiale: diapositive su diapositive, volti su volti, gesti, parole, intenti, risultati, cori, urla, delusioni, formazioni, litigate, desideri. Nella scatola del cuore lo spazio è illimitato.
Si va dall’ormai dimenticata Bardonecchia alle Officine Grandi Riparazioni che hanno ospitato il grande gala aziendale Juventus a ridosso del fiume umano torinese: guai a mettere due o più juventini a confronto. Chi ci mette il carico (perché c’è sempre un momento con più enfasi di un altro, secondo una scala gerarchica senza più regole), chi sposta la prospettiva (il calcio è il re indiscusso degli sport relativi), chi guarda alla panchina (allenatore o riserve), chi al cognome che unisce da sempre (Agnelli), chi al nome del singolo calciatore (non uno, nemmeno uno, che non accenda ancora fantasie, dibattiti, battaglie personali: non Peluso, non Estigarribia, non Sturaro, non Storari, non Howedes, non Isla, Ogbonna o Giovinco, guai poi passare ai grandi ex), chi ripensa all’azione, al gol in quanto tale (Pogba al Chievo, Morata all’Inter, Barzagli all’Atalanta o fate voi), al senso di quell’altro gol in quanto vale (Vucinic, Coppa Italia, al Milan o anche solo ai due di Caceres all’andata, Giaccherini, Zaza, Borriello, Cuadrado, Higuain o fate voi), alla dinamica della partita o alla morale di questa. E avanti così, che non è mai finita.
All’interno di questo avvolgente magma, esiste un unico significativo distinguo in grado di sintetizzare il gruppo di appartenenza. Contiani o allegristi, non siete nessuno. Esteti o risultatisti, scannatevi per sempre. Italianisti o europeisti, ovvero il cane che si morde la coda. Perché la si deve vivere, ormai, su un altro livello…
Il distinguo è un altro, e uno soltanto. Ci va solo un pizzico in più di consapevolezza. Perché, appunto, c’è in ballo una scatola a forma di cuore. Ed è l’unico distinguo capace di generare un corto circuito comunicativo che spazzi via torto o ragione:
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Ci sono due lingue diverse, che possono avere anche significati identici,
ma sono idiomi ostinati e ostinati sono i loro locutori.
Una di chi tiene sempre aperta quella scatola davanti a sé,
rassicurante e fonte di vitalità sportiva. Religione.
L’altra propria di chi la scatola la custodisce gelosamente,
un po’ nascosta e non meno colma del religioso,
da vergognarsene in pubblico perché il sapere non deve mostrare l’anima.
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Eppure, nudi davanti alla vittoria che è l’unica cosa che conta, siamo tutti molto ma molto simili.
Luca Momblano.