Non finirà 0-0, dice Allegri. Ed ecco che parte l’eterno conflitto tra le due anime. Con gli 0-0 casalinghi si abbracciano brutti ricordi. Partite grigie, con odore di niente, sotto possibilità e senza carogna in corpo. Anche quando bastava poco. Eppure lo 0-0. Mica così male. La Champions non è più la stessa di dieci o undici o dodici anni fa. Oggi verrebbe quasi da sfilare la biro dal taschino e chiedere dov’è che serve l’autografo. E’ la seconda anima che combatte con la prima. Sarebbe, forse, un’occasione persa se si pensa al valore di forza e attualità che offre lo Stadium. Ce l’hanno loro, ancora più spettacoloso, ma ce l’abbiamo anche noi. Sarebbe però il varco chiesto nemmeno troppo tra le righe (ma quanta pretattica abbiamo ascoltato nelle due conferenze di Juventus e Bayern? Come se funzionasse ancora. Come se i giornalisti nel day after non ne abusassero) anche da Gigi Buffon. Il varco. La soglia della speranza. Perché un ottavo che è una semifinale (cit.) non è per forza qualcosa a testa alta, per quel poco che possa contare.
Concordo con Kantor, non solo con Allegri. Anche lui non vede il pareggio a reti inviolate. Il prof è un uomo che dà un infinito senso alle gerarchie. In campionato come in Champions. A ognuno il suo. A chi il ruolo di dover fare ciò per cui è stato costruito, a chi invece il ruolo di provare a distruggere quell’obiettivo industriale. Lo 0-0 con il Bayern, dopo novanta e qualcosa di gioco, non sarebbe né una vittoria né una sconfitta. Non ci sarebbe da avvinghiarsi all’eventuale strapotere della nostra fase difensiva né a fantasticare sulle museruole tattiche uscite dalle taschi di Allegri. Ci sarebbe da pensare al secondo tempo, quello dell’Allianz, totalmente diverso e per questo nelle corde di una squadra che a dispetto di quando martoriava gli avversari prendendoli anche per sfinimento (a suon di botte nello stesso punto del muro fino a incunearsi nella crepa) ha imparato che il calcio è fatto di tante cose. Il punto è indovinarle, interpretarle, catturarle anche sotto il segno del destino.
Dunque lo 0-0 dello Stadium, con eliminazione poi in Germania, proietterebbe uno 0-0 nuovo. Cioè una Champions bianconera da 0-0. Di quelle che non sai se incavolarti per quell’occasionissima sprecata a porta quasi sguarnita (sapete benissimo alla partita a cui mi sto riferendo) o affidarti al pensiero che ci hai provato ed è andata come doveva andare. Nella Champions da 0-0 non ci sarebbe il cammino ideale, ma qualcosa che corrisponde al disegno perfetto a cui sono soltanto mancati i colori giusti nei posti giusti: sei rimasto nel lotto delle importanti d’Europa (manco fosse sempre così scontato), hai accalappiato il grosso del gruzzolo che fa chiama giri al motore societario per arrivare un giorno a ingranare la marcia ancora successiva, hai perso contro una squadra più forte.
L’anno scorso c’era tutto questo, ma non fu una Champions da 0-0, ma una Champions da 3-3 in cui l’ultimo benedetto colore lo stai cercando ancora adesso.
E guardi dappertutto.
E ripensi a Messi.
E guardi al Bayern.
E sai che urlerai comunque.
E io ti dico: 0-0 qua fa 1-1 là.
Buona partita. Buona Juventus, anche dovesse finire a schifìo (al che valuterò se scrivere nel dopogara oppure no).
Luca Momblano.