Il 21 Giugno oltre ad essere il giorno che ogni anno segna l’arrivo dell’estate, ci ha anche regalato nel 1955 uno dei più grandi campioni della storia del calcio: Michel Platini.
Dicono che l’estate sia la stagione della rinascita, della spensieratezza e degli amori.
Probabilmente è così, e forse non è un caso che il solstizio d’estate del 1955 abbia portato in dononella tranquilla regione francese della Lorena, oltre alla bella stagione, anche uno degli interpreti più sublimi del gioco del calcio: Michel François Platini.
Non è mia intenzione scrivere di Platini in forma strettamente biografica o didascalica perché già in tanti lo hanno fatto prima e meglio di me ma soprattutto perché ho solo voglia di celebrare nel giusto modo quello che, se non per tutta la tifoseria juventina, almeno per una buona parte di essa è il Natale del calcio.
E’ operazione sempre complicata fare classifiche di preferenza, a maggior ragione quando il bacino di scelta dei candidati è ampio come lo è la categoria di campioni che hanno vestito la maglia della Juventus, e se c’è una connotazione di questo meraviglioso sport che negli anni conserva il suo fascino romantico, è sicuramente quella di innamorarsi di una squadra sin da bambini avendo come viatico un calciatore: da questo punto di vista, Platini è, come Del Piero e Sivori, uno di quei riferimento generazionali che hanno “avviato” alla juventinità centinaia di bambini e ragazzotti, compreso il sottoscritto.
Conservo ancora gelosamente il suo pallone con tanto di numero 10 stampato a fuoco (attenzione, pallone di Platini che giocava nella Juventus, non della Juventus!), il pupazzetto con la maglia bianconera, la zazzera crespa e corvina e il numero 10 sulle spalle, il poster del Guerin Sportivo datato 1983 che ritrae questo signore di origini chiaramente italiane in tutta la sua regalità, con la classica maglia fuori dai pantaloncini e l’indice della mano destra puntato all’infinito con cui sembra indicare la strada giusta a un suo compagno di squadra per l’ennesimo assist che sfornerà di lì a poco.
Tutti sanno che Platini arrivò in Italia su preciso capriccio dell’Avvocato Agnelli e della sua mai sopita passione per i giocatori di talento, e che per consentirgli di spalmare quel famoso “foie gras sul tozzo di pane” dovette fargli posto l’irlandese Brady che pure piaceva tanto al Trap e ai tifosi; il suo inizio fu tutt’altro che facile, complice una fastidiosa pubalgia che ne compromise il rendimento fino al girone di ritorno del campionato 1982-83, di cui poi vinse la classifica cannonieri in una stagione però avara di soddisfazioni per la Juventus che, sul filo di lana, perse sia lo scudetto che la finale di Coppa dei Campioni ad Atene contro l’Amburgo, riuscendo a portare a casa solo la coppa Italia.
E’ a partire dall’anno successivo che infatti il fuoriclasse francese conferma tutte le sue doti, in particolare la propensione alla visione di gioco e quindi al ruolo di regista in pectore della sua squadra, accompagnata dall’innato senso del gol che gli ha consentito per tutta la carriera di realizzare molte più reti di suoi colleghi che facevano gli attaccanti di mestiere, senza dimenticare la bravura negli inserimenti di testa e, ovviamente, la specialità della casa che ha deliziato aripetizione i tifosi juventini, il calcio di punizione.
Michel, ribattezzato universalmente “Le Roi” proprio per l’eleganza e la capacità di prendere per mano la squadra nel momento del bisogno, è rimasto a Torino per un periodo troppo breve se relazionato alle delizie che ha regalato a chi ha avuto la fortuna di godersele, ma questo dipese innanzitutto dall’essere arrivato in Italia a 27 anni e, in seguito, da quel rapido senso di malinconia mista a torpore che quasi lo divorò, a seguito di diverse cause concomitanti che lo portarono a maturare la decisione del ritiro a soli 32 anni.
In primis la tragica serata di Bruxelles che, come ha poi avuto modo di raccontare in diverse interviste successive al ritiro, gli lasciò un dolore talmente grande da togliergli quasi del tutto la voglia di mettersi in gioco, voglia minata anche dal mondiale messicano andato male e finito ancora una volta in semifinale al cospetto dei soliti tedeschi, un mondiale in cui lui e tutto il popolo francese avevano riposto grandi speranze specie dopo l’Europeo che due anni prima Platini aveva vinto praticamente da solo.
Inoltre erano aumentati anche i problemi fisici, in particolar modo alle caviglie, che gli impedivano di allenarsi come avrebbe voluto e quindi di rendere ai livelli abituali, non a caso nella stagione che si concluse con il ritiro riuscì a realizzare soltanto due reti in 29 presenze: quel pomeriggio, con quella famosa intervista, i tifosi della Juventus presero un metaforico ceffone in viso che oltre a lasciare una sensazione di smarrimento palpabile, fece percepire in modo chiaro che il grande ciclo degli anni 80 era finito, un ciclo irripetibile in cui Michel e i suoi compagni di squadra riuscirono a vincere praticamente ogni competizione possibile con una costanza di rendimento che forse solo la prima Juve di Marcello Lippi, un decennio più tardi, riuscì a mantenere.
E se spesso in campo l’uomo di Joeuf aveva palesato quel fosforo probabilmente ereditato dal padre professore di matematica, le sue interviste lasciavano intendere che in lui ci fosse una spiccata tendenza diplomatico-politica che infatti lo ha portato nella sua seconda vita a presiedere prima il comitato di organizzazione dei mondiali di Francia nel 1998, e poi ad essere presidente della UEFA dal 2007 al 2015, un incarico lasciato obtorto collo per le infamanti accuse di corruzione dalle quali proprio pochi giorni fa è stato definitivamente scagionato.
In mezzo, una brevissima esperienza da allenatore della nazionale francese intrapresa immediatamente dopo il ritiro dall’attività agonistica e culminata con la mancata qualificazione ai mondiali italiani del 1990, esito che probabilmente convinse il nostro che non fosse quello il suo nuovo lavoro.
Ci sarebbero tanti gol, svariate magie dispensate sui campi di mezzo mondo e un’infinità di incredibili giocate da raccontare e riproporre quando si parla di Platini, e suo è anche il gol annullato più bello della storia del calcio, in quell’incredibile finale di coppa Intercontinentale di Tokyo del 8 dicembre 1985 contro l’Argentinos Juniors, ma se c’è una partita che non dimenticherò mai in quanto manifesto della sua onnipotenza, è la semifinale di andata di Coppa dei Campioni contro il Bordeaux, il 10 Aprile 1985.
Quella sera Michel era ovunque, tanto da dare l’impressione che in campo ce ne fossero almeno tre o quattro, e dopo qualche imbeccata per Boniek e un’azione iniziata e conclusa personalmente con un colpo di testa, decise che era tempo di sbloccare il risultato trasformando una normale transizione nel cerchio di centrocampo in una pennellata di oltre 40 metri con cui mise letteralmente il “bello di notte” in porta e in condizione di segnare.
Stessa storia poco dopo l’inizio della ripresa quando gli bastò alzare lo sguardo per vedere Briaschi al posto giusto e, in un batter di ciglia, replicare la pennellata del primo tempo, stavolta da posizione ancora più arretrata, con cui l’ala vicentina realizzò il secondo gol.
A quella serata perfetta mancava solo il sigillo personale che arrivò puntuale con uno schiaffo al volo dal limite dell’area, a conclusione di un assolo sulla fascia sinistra di Boniek che preferì il compagno accorrente dalle retrovie a rimorchio piuttosto che Paolo Rossi, comunque ben piazzato a centro area.
Dopo quella sera, di campioni e fenomeni da far luccicare gli occhi ne avrei visti fortunatamente tanti, ma il posto che occupa nel cuore l’artefice della buona metà della mia incrollabile fede calcistica è privilegiato e in prima fila, e mai nessuno potrà rubarglielo.
Buon compleanno, buona estate e buona leggenda, Michel.
Nevio Cappella.