Gli incastri dell’attacco e il piccolo grande dubbio su Dybala

La Juventus, o meglio Massimiliano Allegri, si sta prodigando alla ricerca delle varietà di incastri più efficienti per il settore offensivo. Si è ancora al prologo, quasi al rango di amichevoli estive, dopo tre turni di campionato che hanno coinvolto – oltre al pluricitato Cristiano Ronaldo – cinque effettivi bianconeri (escluso quindi il solo Kean, che non verrà trattato alla stregua del classico cerino in mano). Di questi cinque calciatori, tutti di prima o primissima fascia, il solo Bernardeschi ha effettuato la prima parte di preparazione e dunque la tournée statunitense. E a pagare il conto, per il momento, è stato Paulo Dybala più che Douglas Costa per un motivo semplice: l’argentino alla Juventus ha praticamente vissuto sempre lo status di titolare.

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Contro Chievo, Lazio e Parma Allegri ha guardato al lato pratico forse con la sola esclusione della formazione di partenza del Bentegodi (4-4-2 sparato, e non tanto per Cancelo che negli USA c’era eccome quanto per la compresenza di Cuadrado e Douglas Costa in corsia più due attaccanti centrali. Tutti uomini con dieci giorni di effettivo lavoro congiunto alle spalle). Il lato pratico ha quindi poi premiato Bernardeschi, detto che il lato tattico di proporre un laterale destro basso di spinta dietro a un piede opposto (pure Dybala è mancino, e pure Douglas…) sarà probabilmente una strada sulla quale Allegri sarà costretto a insistere. Si ha a che fare però con tre potenziali interpreti piuttosto diversi del medesimo ruolo.

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Sempre il pratico ha detto quindi ad Allegri che la sostanza di Matuidi e Mandzukic – cioè davvero gli ultimi arrivati dalle gioie e fatiche mondiali – era preferibile, come impianto, al senso del nuovo e subito soprattutto contro una squadra collaudata come quella di Simone Inzaghi e per la terza importante vittoria a fila prima della sosta.

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Non è qui la sede, e forse non è neanche il tempo, per discutere se tutte le scelte iniziali abbiano pagato. Perché la panchina a disposizione dell’allenatore – un po’ per lui e un po’ per il tenore – ormai la si guarda, vede, v ive e prende come un tutt’uno con l’undici iniziale. Sta di fatto che per tornare alla centralità del discorso attaccanti è lo stesso Allegri a venirci in soccorso avendo cancellato al momento ogni ragionamento su ciò che accade davanti agli occhi Szczesny proponendo stabilmente il terzetto composto da Bonucci, Chiellini e il metodista Pjanic. Una centralità che ha messo in disparte, anche per questioni fisiche ma questi sono affari a noi meno noti, il numero 10 bianconero (che poi, già siamo senza 8 e 9, ma lasciamo perdere l’inutile fronte romantico).

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Allora cosa dire su Dybala, senza dover per forza giocare al chi gioca bene con chi, a chi è più adatto dove e se ha senso parlare ancora di ruolo ideale? Dato che si tratta di un calciatore che conosciamo ormai piuttosto bene, limitiamoci a provare un ultimo esercizio circa l’individualità, appuntando in breve il miglior pregio e il peggior limite, stando alla sensibilità di chi scrive, alle porte di una stagione nella quale sarà impossibile per chiunque mantenere il basso profilo.

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Del pregevole piede mancino – come stoccatore e battitore – della nostra Joya c’è poco da aggiungere; così come è da premiare l’applicazione da parte del nostro, che poteva anche essere messa in dubbio, nell’immergersi in un ruolo complicato come quello della cosiddetta “sottopunta” se è vero che lo si immagina ovunque tranne che lì ma che alla fine le sue migliori gare le ha disputate in quel ruolo e raramente ha covinto altrove (NB. Sarebbe interessante vederlo riproposto in una coppia di attaccanti centrali veri, con Higuain in questo senso ha però sempre funzionato a spizzichi e bocconi).

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Sull’altra faccia della medaglia ci sono un difetto piuttosto conclamato e un sottile dubbio. Il difetto è tutto nella velocità di base – che nulla ha a che spartire con la velocità di esecuzione – cioè mantenere la punta di velocità nel tempo, prendere campo, spaccare la linea avversaria. Il nostro 10 ha ottimo spunto, ma è lui il primo a voltarsi per guardarsi alle spalle da eventuali rientri, e dunque proteggere se serve il pallone dal fianco giusto, proprio perché cosciente di questa sfumatura grigia che è anche difficilmente lavorabile in settimana. Veniamo al dubbio, sorto guardando la rassegna dei gol di Dybala e il suo decision-making quando si tratta di cercare la battuta a rete: ecco, Paulo sembra dover avere o sentire di dover avere la palla messa “giusta”, ovvero poter calciare sempre pulito e come piace in assoluto a lui. Fosse così, sarebbe un limite. Anche questo poco lavorabile perché innato. Pensateci, togliete il rocambolesco e magnifico e salvifico gol all’Olimpico contro la Lazio in quel sabato sera, nel quale si è dovuto sporcare la maglia per calciare… ce ne vengono in mente altri?

 

Luca Momblano