L’ho scritto e testimoniato altre volte. Ho visto Carlo Ancelotti fradicio dalla testa ai piedi con una stazzonata tuta della Juventus fendere una folla inferocita che gli gridava di tutto. Un passo dietro di lui c’erano Zidane e Ferrara. Insieme con un preparatore atletico allora per la maggiore. Aveva piovuto tanto e c’era quel caldo che appiccica tutto. Sembrava di stare in Vietnam e non al centro d’Italia, nella bella Perugia, nella magnifica Umbria. Dopo di allora, si disse, che quanto di poco era nato tra la società e ‘Carletto’ finì o fu compromesso. Meglio delle eliminazioni spagnole in Coppa. Meglio dei colpi di testa di Zizou che era e sembrava tutto.
Qualcuno continua ad offendere Carlo Ancelotti. Succede. Ma non sono chiamati a farlo i tifosi bianconeri della Vecchia Signora. E’ questa la mia personale e semplice convinzione. Vuoi perché ho visto Ancelotti in quello stadio in mezzo all’Italia e vuoi perché si prese una delle più sonore e terribili rivincite che il calcio possa permettere. Lui, questo signore ‘made in Parma’ guidò il Milan alla vittoria in finale, a Manchester, nel 2003. La sua storia in panchina è certamente cambiata quella sera. Ma è bello ritenere che al termine di quelle quasi 2 ore di battaglia Ancelotti salutò Umberto Agnelli che lo aveva voluto nella Juve. E’ successo, dicono. E ci fu un dialogo bello, giurano.
Il presidente Andrea Agnelli ha conosciuto quelle Juventus e quando è tornato dopo gli anni del disastro, della tragedia e del ridicolo ha certamente guardato lì se è vero che ha portato Pavel Nedved nella stanza dei bottoni. Ed è sicuro che non ha ascoltato nessuno perché così fanno i manager quando devono decidere. Adesso, in mezzo a questa riflessione che guarda al passato, ha senso anche la notizia del saluto o quasi di Beppe Marotta. Perché il signor dirigente arrivato dalla Sampdoria e che ha fatto bene qualunque cosa sinora sembra destinato a risollevare il calcio della Nazionale? Nessuno è sicuro. Torino è lontana – ha detto e scritto un grande – e non è facile mai capire quel che succede. E’ la città dei misteri, si aggiunge. Ancelotti la amava per il cioccolato e le passeggiate lungo il fiume.
Marotta spiega in due battute che qualcosa non c’è più e non bisogna lasciar spazio ai cattivi. Ancelotti ce li aveva tutti alle spalle e davanti, con le maschere da maiali e gli sfottò orribili. La società non riuscì a proteggerlo. Il destino non gli permise di vincere. Altrimenti, forse, la storia sarebbe stata diversa. Marotta ha vinto quasi tutto il possibile e se adesso, in questa fine estate che non è autunno accade quel che sappiamo, bisogna guardare a quello che possono fare i migliori, quelli che prendono le decisioni senza troppo guardare al mondo che gira. Perché lo fanno girare loro.
Simone Navarra.