Cosa temere di questo Manchester United

Facendo una relazione tra soldi investiti e risultati ottenuti, tra i top club europei il Manchester United è quello che più di tutti ha faticato negli ultimi anni. In particolare, dopo essersi guadagnato per circa un decennio la fama di top allenatore, le sue gigantesche difficoltà coi red devils hanno portato a discutere il Josè Mourinho di questo periodo. A creare dibattito non sono soltanto i mediocri risultati, bensì il fatto che arrivino con una proposta di gioco che oggi sembra tanto anacronistica quanto inefficace.

Dario Saltari ha scritto così su Ultimo Uomo”:Il Manchester United, in questo senso, è una squadra che sembra voler negare molte delle ultime evoluzioni del calcio degli ultimi anni: il portiere non contribuisce mai alla costruzione bassa e rilancia sempre lungo; i centrali di difesa lasciano letteralmente il pallone ai mediani in fase di impostazione o, se vengono pressati alti dagli avversari, lanciano direttamente verso la prima punta, che cerca con le spizzate di servire in profondità gli inserimenti delle ali”. Se si aggiungono alle difficoltà tattiche tutte le crisi avute da Mourinho coi suoi giocatori, è facile intuire come la situazione non sia certo facile.

Tuttavia, dopo aver battuto in rimonta il Newcastle, lo United è reduce da una delle prestazioni migliori della stagione, avendo sfiorato la vittoria allo Stamford Bridge. Se finora il portoghese era solito schierare un 433, contro la squadra più palleggiatrice della Premier ha scelto un undici sulla carta molto offensivo, con Martial e Rashford ai lati, e Mata dietro Lukaku (mediana Pogba-Matic). Per la verità, questa formazione non si è tradotta in un atteggiamento più propositivo del solito, visto che lo United ha aspettato basso come sempre, con una pressione quasi nulla sulla prima costruzione del Chelsea e una squadra che si schiacciava all’indietro. La novità principale risiedeva dal modulo in non possesso: non più 451 ma 4411, con Mata quasi a uomo su Jorginho.

 

442 in non possesso, Mata su Jorginho.

 

Il primo tempo è stato sostanzialmente dominato dai padroni di casa, come al solito la passività del Manchester non si è tradotta in una protezione sufficiente della porta di De Gea, coi giocatori troppo attratti dall’uomo e una linea difensiva che si sfalda con facilità (sedicesima difesa della Premier, con 16 gol in 9 gare) . Le difficoltà che ha il Chelsea negli ultimi metri (il mancato acquisto di un top attaccante in estate rischia di essere un limite per Sarri) hanno impedito che la mole di gioco dei blues si traducesse in tante occasioni da rete. Lo United quindi, pur subendo sempre la manovra rivale, nel complesso ha concesso meno occasioni di quanto si sarebbe meritato (il gol tra l’altro è arrivato da piazzato, situazione che i giocatori di Mourinho soffrono terribilmente).

 

 

 

United schiacciato con un 451 nella propria trequarti. Su lancio di Jorginho si crea buco gigantesco tra il centrale difensivo (Smalling, attratto da Morata) e terzino destro (Young), con Alonso che va verso la porta.

 

Nel primo tempo lo United ha avuto le solite difficoltà palla al piede, con una totale incapacità nel fare partire l’azione dal basso. Anzi, la nuova disposizione tattica ha peggiorato ulteriormente l’occupazione degli spazi: Matic si abbassava in mezzo ai due centrali col resto dei compagni che scappavano in avanti, non riuscendo quindi a fare progredire l’azione in verticale. È una squadra senza un attacco posizionale efficace, con eccessiva difficoltà nel palleggiare per muovere la difesa avversaria. Sotto questo punto di vista, è fondamentale l’apporto di Lukaku, in quanto la priorità appena recuperata palla è lanciare lungo verso l’attaccante belga, sperando che l’ex Everton vinca il duello aereo e che la squadra prevalga nelle seconde palle. Insomma, una fase offensiva non solo diretta, ma quasi minimalista.

Nel corso della ripresa, lo United è però migliorato sensibilmente e le intenzioni di Mourinho sono finite con il punire effettivamente gli scompensi del Chelsea, soprattutto in transizione negativa. Col baricentro costantemente alto e una stanchezza che aumentava, i blues si sono fatti trovare impreparati nei ribaltamenti di fronte: Lukaku riusciva a raccogliere palla quando i compagni lanciavano lungo su di lui e i suoi compagni erano tempestivi nell’accompagnare il ribaltamento dell’azione. Soprattutto in queste situazioni, la posizione di Martial e Rashford è stata letale e ha punito le difficoltà del Chelsea nel coprire l’ampiezza del campo. Oltre a concedere molto meno, nel secondo tempo il Manchester ha dato la sensazione di potersi rendere pericoloso con facilità.

 

 

Senza riferimenti tra le linee, spesso per risalire lo United si si affida alle corsie esterne. Da notare sia la presenza in area per raccogliere il cross dalla trequarti, sia la posizione di Martial sul lato debole. Il Chelsea ha sofferto queste situazioni.

 

Dallo Stamford Bridge è uscito un Manchester che, seppur con ancora tante difficoltà tattiche, è stato finalmente “mourinhano” nel senso positivo del termine, ossia interpretando bene i momenti della partita (almeno nel secondo tempo). La Juve parte ovviamente favorita, ma sarebbe bene non sottovalutare la risalita dello United, che per quanto primordiale rischia di prenderti alla sprovvista nel caso non si dovessero prendere le dovute precauzioni.

Quando i bianconeri giocano col 433, le mezzali tendono a diventare attaccanti aggiunti, con solo Pjanic a protezione della difesa. Nel caso Lukaku venisse trovato coi tempi giusti, la Juve potrebbe soffrire in riaggressione gli inserimenti dei vari Rashford, Martal e/o Sanchez. C’è quindi da lavorare sulle marcature preventive, con Chiellini che forse è l’uomo più importante per stroncare sul nascere la fase offensiva del Manchester. Inoltre, anche i terzini bianconeri dovranno essere pronti a scappare all’indietro in caso di contropiede avversario.

Jacopo Azzolini.

Lo stadio della sfida: “Il Teatro Dei Sogni”

Tutte le curiosità su Old Trafford, la casa del Manchester United.

Uno scozzese l’ha progettato, un altro l’ha reso leggendario. Old Trafford, o meglio, “Il Teatro Dei Sogni”, come l’aveva rinominato Sir Bobby Charlton (a cui, tra l’altro, è intitolata una parte, la South Stand), è uno degli stadi più iconici del panorama calcistico.

Progettato dall’architetto scozzese Archibald Leitch, e inaugurato nel 1910, con i suoi quasi 75.000 posti, è lo stadio di club più grande in Regno Unito (il secondo in assoluto dopo Wembley), e l’unico ad aver ricevuto 5 stelle UEFA.

In realtà, della struttura originaria è rimasto pochissimo. Diversi bombardamenti durante la seconda guerra mondiale lo hanno quasi del tutto distrutto. L’unica parte rimasta intatta è il “Centre Tunnel”, ossia l’ingresso dove una volta entravano i giocatori, a cavallo tra le iconiche panchine di mattoncini rossi.

E’ proprio su una di quelle panchine che un altro “architetto” scozzese, Sir Alex Ferguson, ha scritto un capitolo glorioso della storia dello stadio e del club: trentotto trofei, tra cui due Champions League, in ventisei anni da manager dei Red Devils. Non è un caso che la tribuna più ampia dello stadio, la North Stand, nel 2011 è stata ribattezzata “Sir Alex Ferguson Stand”, con tanto di statua fuori dall’ingresso.

Sono tanti i simboli fisici presenti ad Old Trafford che raccontano il ricco passato del club più vincente d’Inghilterra. Il più iconico è la “Trinity Statue”, formata da Dennis Law, George Best e Bobby Charlton, situata davanti all’East Stand, la famosa vetrata d’ingresso dello stadio. Meta di pellegrinaggio, ogni 6 febbraio, è il “Munich Memorial”: una sezione fuori dallo stadio dedicata alla commemorazione del disastro area di Monaco accaduto nel 6 febbraio 1958, e nel quale persero la vita 23 giocatori e membri dello staff di Matt Busby, i “Busby Babes”. Accompagna il memoriale un tunnel, “Il Munich Tunnel” che collega la parte est a quella ovest dello stadio (la Stretford End, dove siedono i tifosi più caldi), e un orologio fermo alle 3:04 del 6 febbraio 1958.

Una curiosità: sul tetto dello stadio sventola una bandiera italiana. La tradizione vuole infatti che per ogni nazionalità presente all’interno della rosa ci sia la corrispondente bandiera, e il Tricolore sventola grazie a Matteo Darmian, ad Old Trafford dall’estate del 2015.