Chi ha paura di Antonio Conte al Real Madrid?

Chi ha paura di Antonio Conte al Real Madrid? Io sì, così non si deve scorrere noiosamente verso il fondo per conoscere la risposta.

E di cosa è fatta la paura? Dell’irrazionale consapevolezza dei mezzi a disposizione dell’antagonista, delle alchimie che è potenzialmente in grado di produrre, della sua dimensione intrinseca, dell’ultima definitiva domanda che ci si pone a proposito di se stessi. Ma la paura è anche strumento per la massima allerta, che è un mix che mette insieme profondo rispetto e picco totale di necessaria concentrazione; qualcosa che può bloccarti solo se inaspettato, repentino e magari insensato per i canoni della ragione umana. Non è quindi, in questa ultima sfumatura, il caso di Antonio Conte al Real Madrid.

Se poi, però, questo antagonista lo si è vissuti da vicino – o addirittura da dentro – allora è il familiare, lo spirituale, l’affine che sdoppia definitivamente il sentimento. E badate bene, non c’entrano l’amore e l’odio. “Antonioconte”, per intenderci, è stato quasi da subito – in qualità di allenatore della Juventus – una parola sola. Tutto attaccato. Da qualche anno abbiamo imparato, tra rimproveri e sberleffi (che ne hanno agitato persino la percezione dei risultati durante e dopo il triennio in bianconero), a oggettivarlo. Ed è soltanto più “Conte”.

Ma che tipo di paura? Per tanti che non lo ammetteranno è paura di non vincere. Di non vincerla. Per coloro che lo ammetteranno, se lo ammetteranno, è qualcosa che sfiora la scaramanzia: la nemesi, il deja-vu, il cerchio maledetto, il mondo che ti si ritorce contro. E tra coloro che non lo ammetteranno ci sono i saggi (analisi semantica del Conte Europeo), i pragmatici (numeri alla mano, ragazzi!) e qualche dozzinale membro del partito calcistico – non così raro – per il quale un’esperienza si misura attraverso il percorso della sua conclusione. Come metro di esempio, si utilizzi il Chelsea e non la Juventus. Così che il concetto sia più chiaro e neutro possibile, così come io che provo a scrivere di “antonioconte” sto cercando di essere più chiaro e neutro possibile.

Ma non ho risposto a questo: che tipo di paura? La ritrovate in psicanalisi, il luogo a noi sconosciuto attraverso il quale proviamo troppo spesso a spiegare il bene e il male delle cose episodiche di questo sport: si chiama “perturbante”, ed è “tutto ciò che si presenta come estraneo e non familiare al soggetto, generando in lui angoscia e quindi appunto paura, e la cui origine si connette, CONTRADDITTORIALMENTE, a ciò che gli era già noto da lungo tempo, ma che era diventato oggetto di una rimozione”.

Quindi molto più di un Buffon a Parigi o di un Marotta a Milano. Merito anche della vera dimensione in cui siamo stati trasportati da tutti questi uomini messi insieme. E da uno in particolare – che di noi non potrà cambiare più niente, ma che ha l’occasione di cambiare il modo di stare allo stadio al Santiago Bernabeu  – visto che il presidente è il presidente e nessuno lo può toccare.

Luca Momblano.