La verità è che il pezzo era già praticamente scritto da solo.
Le due settimane di chiacchiere, le solite quando c’è la sosta per la nazionale, tra boutade di mercato e la disperata ricerca di dati e statistiche che attestino inequivocabilmente che la Juve è aiutata. Scientificamente, direbbero gli esimi professori che ci hanno scritto un libro, organizzato un convegno, invitato due giornalisti importanti (i quali, scoperto il vero tema del dibattito, hanno gentilmente declinato) e ospitato perfino il presidente dell’Anac, il quale, nel brusio generale, li ha guardati con affetto quasi paterno, spiegando quanto egli sia tifoso azzurro ma contestualmente supplicandoli di smetterla con queste lagne insopportabili e immotivate, quando la Juve merita le sue vittorie e la città ha ben altre cose serie di cui discutere, soprattutto se si parla di diritto all’università. E’ complicato rendersene conto: c’era il presidente dell’Autorità Anti Corruzione, lì, a spiegare che la voglia, l’atteggiamento, perfino un cambio sbagliato, contano più di un possibile errore arbitrale. Che nulla può giustificare una prestazione indecente il giorno dopo. Che di serio e scientifico, insomma, in quel libro e in quel convegno non c’era davvero nulla.
Il pezzo era pronto, perché allora mi ero preparato alcuni dati scientifici pure io, e, tenetevelo per voi, sto per scriverci un libro con alcuni professori juventini, prima di chiedere all’Università di Torino di trovare una data per un convegno come si deve.
Ma mica i dati che conoscete già, tipo che la Juve da anni segna di più ma le viene assegnato un numero nettamente inferiore di penalty. Roba vecchia e comunque adesso i rigori non contano più, ormai decidono tutto i gialli, la gestione dei cartellini. Si sono fatti furbi, gli arbitri: mica si fanno beccare dandoti rigori, anzi ne danno molti di più ai rivali che pure segnano meno di te, ma intanto ti risparmiano dei cartellini. Diabolici.
Quindi, se adesso contro Inter, Roma e compagnia ci riempiono di rigori a favore ma ci ammoniscono mezza squadra dovrebbe andare bene a tutti, se ho capito bene.
Lo so, volete un dato nuovo, uno di cui parlerò nel convegno. Fatemi pensare. Ecco, per esempio, c’è una squadra, tra le prime due del campionato, che dall’inizio dell’anno – tralasciando le assenze per infortunio – ha affrontato la Lazio senza Lulic e Leiva (squalificati), il Milan senza Chalanoglu (squalificato), il Parma senza Gervinho (turnover), la Juve senza Douglas Costa (squalificato), il Sassuolo senza Berardi e Di Francesco (turnover), il Chievo senza Giaccherini (scelta tecnica) e affronterà l’Atalanta, la settimana prossima, senza Ilicic (sempre per squalifica). E’ una delle due che comandano il campionato, ma al momento, per piacere, non fatemi dire altro: il nome lo farò solo nel libro e poi al convegno. E’ una roba scientifica, cercate di capirmi: non voglio soffiate prima delle mie rivelazioni.
Era un pezzo pronto, già scritto, anche perché intanto vi era stata una nuova puntata della polemica sui cori. E sinceramente – ripetiamolo ancora – un giorno capiremo quale intelligenza ci sia nell’urlare a Napoli di usare il sapone, tanto più quando stai affrontando la Spal. E questo vale sempre, ci mancherebbe, ma a maggior ragione in anni in cui stai vincendo tutto e di sfottò divertenti, efficaci, incisivi, ce ne sarebbero a bizzeffe, piuttosto che offendere, offendere e basta.
Ma un giorno, permettetecelo, capiremo pure come faccia l’Ansa a riportare i cori sul Vesuvio, quando un tempo per noi l’Ansa era semplicemente la verità assoluta e invece quei cori non ci sono stati. Capiremo se la battaglia di Ancelotti contro gli insulti e la maleducazione vale sempre, anche quando i propri tifosi intonano cori ben noti da decenni su tifosi avversari umiliati in fabbrica a “ciucciare piselli” ai propri padroni. Non sarà discriminatorio territorialmente, ma mi è capitato di ascoltare pensieri più educati.
Un giorno capiremo anche un’altra verità: gli juventini sono “apolidi”, o comunque “tutti del sud, perché Torino è granata”, come vuole una vulgata dal tenore un po’ razzistello, oppure sono diventati improvvisamente un popolo di padani simil leghisti separatisti prima della recente conversione nazionalista?
Più che razzisti o discriminatori, dunque, sono cori cretini, offensivi, ma non diversi da chi si augura Firenze, Torino o Milano in fiamme, per non parlare delle tragedie spesso invocate in tanti stadi. Difficile trovare una soluzione, ma di certo ce n’è una sbagliata: ridurre anche questo discorso nazionale di civiltà a una battaglia tra la Juve cattiva e i rivali buoni, l’unico modo in cui tanti media paiono sapere affrontare ogni problema del nostro calcio.
Sarei poi passato al campo, nel mio pezzo, perché la parte più divertente è sempre lì. Con la Juve che vince bene, Ronaldo decisivo, Bentancur ancora in crescita, Costa ritrovato e devastante, Allegri spiega la juventinità rispondendo a una domanda sul caso Ramos (“cose vecchie, hanno vinto, piuttosto un abbraccio a Mazzarri che non sta bene e deve tornare presto”) e il Napoli che, ancora scioccato dall’esito del convegno scientifico, non riesce a fare un gol al Chievo. So che reclamano un rigore, ma che ci fai con un semplice rigore, nell’era in cui decidono tutti i cartellini?
Avrei scritto tutto questo, trovando una qualche battuta finale. Ma poi è arrivata la bellissima intervista a Vialli sul Corriere, e allora tutto il resto passa in secondo piano.
Racconta la sua visione dell’attuale politica, i primi calci; l’ascesa con la Samp, le motivazioni di Mantovani, l’amicizia fraterna con Mancini; il dialogo con Lippi quando lui vorrebbe andarsene e Marcello gli fa capire che non è il caso; le chiacchiere insensate sugli arbitri e la sua Juve; l’importanza del Moggi dirigente (“un dirigente che ti metteva nelle condizioni di dare il massimo; e i calciatori pesano i dirigenti da questo”), che poi però per vincere sempre si è spinto troppo in là; la rabbia per l’ipocrisia del processo doping; il sollievo per non avere dovuto tirare il rigore nella finale di Roma (“era la mia ultima occasione; pensa gli incubi, se…”), il rimpianto per avere fatto prevalere l’orgoglio nel dire no a Sacchi nel 94.
Soprattutto, racconta la malattia, il cancro, il maglione sotto la camicia per sembrare ancora il vecchio Vialli, le risate perché “sono tornato ad avere un fisico bestiale”, la paura in quanto “non ho ancora la certezza di come finirà la partita”.
E due frasi, per finire: “se molli una volta, diventa un’abitudine” e “la vita è fatta per il 10 per cento di quel che ci succede, e per il 90 per cento di come lo affrontiamo”. E forse sembrano slogan, o solo due frasi che in fondo riuniscono tutti gli argomenti di questo pezzo: non mollare, perché dipende tutto da te. Ma valgono molto di più perché le dice Gianluca Vialli, il capitano. Uno che non mollava mezzo centimetro quand’era in campo, figuriamoci ora.
Il Maestro Massimo Zampini