E così ci tocca la più temuta, la più simile a noi, con difesa granitica, intensità, attaccanti di grande classe, finalista più volte in questi anni (e vincitrice di diverse Europa League e Supercoppe), grande allenatore. Partite toste, verosimilmente non bellissime. Sorteggio che dimostra ancora di più quando sia stupido, se si parla di Champions League, parlare di fallimento in caso di mancata vittoria finale. Già agli ottavi contro l’Atletico abbiamo il 50% delle possibilità; da quel turno in poi, se si riesce a passare, le cose non saranno certo più facili. Senza fare drammi (la Juve quest’anno è fortissima e può eliminare chiunque, nessuna esclusa), viene da sorridere pensando a chi chiede di mettere da parte il campionato per vincere la Champions. Come se, impegnandoti di meno contro le rivali italiani (e quindi verosimilmente facendoti rimontare, perdendo lo scudetto, vedendo gli altri festeggiare al tuo posto), porterai a casa la Coppa sbarazzandoti di Atletico, Barcellona, City e compagnia. Dare tutto in campionato, esattamente come stiamo facendo, poi da fine febbraio penseremo alla Champions, che rimane una competizione meravigliosa ma pur sempre (o proprio grazie a quello) con un grado di aleatorietà non paragonabile a quello del campionato. Divertiamoci, allora, senza svalutare le nostre vittorie italiane, senza ansie europee da vittorie obbligate, mai foriere di qualcosa di positivo.
“Chi ha ambizione, non ha timore”, twitta Allegri, e allora proviamoci senza paure.
Aspettando l’Europa, dunque, ci tocca questo contorno, il solito che raccontiamo da più di un decennio. La Juve prende il miglior giocatore del mondo, allestisce uno squadrone, parte bene, distanzia le altre, vince il suo girone di Champions e in campionato ottiene 44 punti sui 46 disponibili? Bene, da noi il tema principale non è questo, ma capire bene se Belotti sia stato davvero sbilanciato in modo falloso o se Zaza abbia subito una trattenuta più forte e prolungata della sua, reciproca ma forse meno potente: rivediamo Belotti, rivediamo Zaza. Per alcuni moviolisti c’è un rigore, per altri c’è l’altro, poi vabbè ci sono i soliti noti per i quali ovviamente ci sono entrambi, il lunedì ecco Cairo sulla Gazzetta (brava Gazza, schiena dritta e parola al patron che vince tutti i sondaggi sul presidente più amato) che sostiene ce ne fossero “almeno” due e così via. Il tutto, si intende, con famiglie e bambini che gridano insulti al bus avversario (che poi era pure quello sbagliato), il signore che indossa la sciarpa del Liverpool e come premio si guadagna una bella inquadratura con microfono e tutto il resto che conosciamo già ma non indigna, non è funzionale al racconto mainstream di una Juve cattiva, dai bambini agli anziani, contro i rivali buoni e vittime di quei crudeli.
Come sempre, sparisce la partita, scompare il bel Toro della prima ora, il carattere della Juve che vince una gara complicata, solo tre giorni dopo una trasferta di Champions (roba che avrebbe fatto impazzire Sarri & co), sparisce l’analisi dell’episodio decisivo. Non tanto la moviola, ovviamente inutile su un fallo del genere, ma l’origine di quell’azione, la pressione di Bonucci, l’intelligenza di Mandzukic, non fare stare sereni gli avversari anche su una palla apparentemente inutile, persa. Non mollare neanche un pallone vuol dire esattamente questo, non è un esercizio di retorica.
Post scriptum.
Abbiamo scritto di Europa, di Italia e la verità è che non ho neanche commentato il derby sui social perché avremmo voluto scrivere un tweet, un articolo, qualcosa per ricordare Antonio Megalizzi, quantomeno la sua sana e bella juventinità emergente dai tweet, ma non ci siamo sentiti all’altezza. Ci abbiamo pensato dal momento della sua morte, ma non ce l’abbiamo fatta. Troppo forte il rischio di strumentalizzare, banalizzare, di rendere pure il ricordo di persona così luminosa una patetica rivendicazione di qualche inutile e sciocca battaglia tra tifoserie.
Capita anche a voi, una volta venuti a conoscenza di qualche fatto drammatico, di cercare notizie o pensieri delle vittime, sperando inconsciamente di disprezzarne qualche aspetto, al fine di rendere quell’evento un po’ meno doloroso ai nostri occhi di osservatori superficiali e sconosciuti? Ecco, io ci ho provato pure con lui e ho peggiorato la situazione: non c’è nulla che non mi piaccia, zero. Usa (utilizzo ancora il presente) i toni giusti per accompagnare le sue passioni, compresa appunto – siamo un sito juventino (lui peraltro seguiva le nostre pagine) e ci limitiamo a questo aspetto – quella calcistica, vissuta con amore per il calcio, passione per la propria squadra, sorrisi amari dopo le sconfitte più dolorose, ironia per quel desolante contesto che conosciamo ahinoi così bene. E allora al diavolo i pudori e le autocensure, ecco il nostro tardivo e inutile saluto omaggio, con l’unica promessa per noi possibile, quella di non dimenticarlo. Non serve a niente, lo so, ma ci andava lo stesso. E non farlo, comunque, sarebbe stato peggio.
Il Maestro Massimo Zampini