Gli spettatori neutrali e le inseguitrici riponevano le speranze di un campionato aperto nel calendario obiettivamente complesso per la Juventus nel mese di dicembre. La capolista ha affrontato Milan, Inter, Fiorentina, Torino e Roma, ma ha dato prova di grandissima solidità vincendo tutte le sfide d’alta classifica. La qual cosa dà naturalmente più lustro al record di punti.
Il minimo comune denominatore di queste vittorie è senza dubbio la contemporanea presenza dei tre attaccanti puri in rosa, in una disposizione denominata, senza grandi slanci di fantasia, “triplo nueve”. Lasciando da parte le dovute considerazioni generali sull’efficacia di questo assetto, vogliamo qui concentrarci sugli attaccanti. Se Ronaldo continua a sfornare conclusioni come se piovesse (117 in Serie A, 6.92 a partita), e di Dybala abbiamo abbondantemente parlato (anche nel podcast), vale la pena soffermarsi sull’importanza di Mario Mandžukić nell’economia delle ultime uscite.
Partiamo da gross data: Mandžukić ha segnato nelle ultime sei partite rimanendo a secco solo contro Fiorentina e Torino. Tutti gol decisivi, ma a differenza di quanto si possa pensare, Mandžukić tira molto – MOLTO – di meno di altri giocatori in rosa o di altri attaccanti. Il croato effettua solamente 1.72 conclusioni per 90’, sesto in questa speciale classifica tra i bianconeri; Icardi, che viene spesso additato come attaccante che tira poco ma segna tanto, è quasi al doppio (3.27 tiri p90’). E forse ancora più interessante è rilevare che dei 22 tiri totali tentati da Mandžukić, ben 12 sono arrivati di testa.
Il suo ruolo, per giunta, non è più quello dell’ala atipica, ma rimane iscritto senza timore alla funzione di attaccante. Il tridente pesante formato da quelli che sono sulla carta tre numeri nove, ha portato una nuova ripopolazione del centro del campo. Come ha correttamente individuato Di Francesco al termine della gara con la Roma, il nuovo (?) assetto si distingue per la spiccata attitudine dei tre attaccanti a venire dentro il campo. Questo ha un duplice scopo: tenere i terzini avversari stretti, per poi infilare l’ampiezza con i terzini e le sovrapposizioni delle mezz’ali.
Ma soprattutto, Mandžukić al centro ha l’incontestabile vantaggio di trovarsi in posizione vantaggiosa per il recupero palla una volta perso il possesso, attuando un contropressing spesso decisivo. Allegri ha più volte mantenuto inalterato il 4-3-3 (o anche il 4-3-1-2) per attuare una riaggressione rapida e avere i tre attaccanti già nelle loro posizioni. Sono situazioni certamente da affinare, ma ormai è difficile vedere la Juventus lasciare il possesso agli avversari rifugiandosi nella cara difesa posizionale. In queste occasioni il ruolo di Mandžukić è esente da marcature preventive o dalla guardia dello spazio: è un “libero al contrario” (cit. Enry), nel senso che è dispensato dalla zona, ed è quindi libero di andarsi a prendere la situazione di pressing più opportuna.
Come nota a margine, va sottolineato che Allegri si è lo stesso disimpegnato nel 4-4-2 degli scorsi anni, specialmente nei secondi tempi (vedasi Inter, Torino e Roma).
Per questo motivo non stiamo più vedendo Mandžukić in posizione di ala aperta, perché non ce n’è più bisogno: quella posizione in possesso consolidato è invece presa da Ronaldo, che pur avendo giocato spesso e volentieri a sinistra in un tridente, si trova costretto a partire da più lontano. Con la palla in possesso della Juventus, i suoi movimenti sono quindi complementari a quelli di Ronaldo, che parte invece defilato per poi chiudere l’azione nel cuore dell’area di rigore. Siccome la manovra della juventus si sviluppa ancora principalmente a destra, possiamo individuare questa complementarità abbastanza facilmente sul campo, anche e soprattutto in ragione degli ampi movimenti orizzontali del croato.
Il gol à la Mandžukić
Una delle tendenze più consolidate di questo assetto è però la dinamica dell’attacco alla porta sui cross e sulle imbeccate. In questo, il tipico taglio diagonale di Ronaldo a chiudere la palla trova un ottimo contraltare nell’allargamento di Mandžukić sul secondo palo, una delle situazioni che ha portato i maggiori dividendi ultimamente. La coppia riesce così a costringere la difesa alla scalata in marcatura, e se c’è un terzo uomo in area apparecchia la tavola al duello tra il croato e il quarto di difesa.
Ormai, conclamare il mismatch fisico tra Mandžukić e il terzino di riferimento è diventato esercizio comune, ma questo non dice molto sulle dinamiche che lo portano ad essere decisivo ed è anzi una definizione che può essere fuorviante. Per esempio, nel grande calderone del “Mandžukić sovrasta gli avversari”, due anni fa mettevamo le situazioni di gioco in cui la squadra si appoggiava alle sue sponde per risalire il terreno e per cambiare il campo. Oggi queste soluzioni sono molto meno esplorate, in favore piuttosto di un utilizzo a mo’ di terminale offensivo.
Questo significa che il numero 17 ha un ruolo molto più limitato all’intero della manovra, la quale cerca sempre di avvolgere e abbassare l’avversario su un lato, per liberare poi Mandžukić all’uno contro uno (mi rendo conto che siamo abituati a pensare al duello in isolamento per un’ala molto tecnica – leggasi Douglas Costa – ma è un concetto perfettamente valido anche sulle palle aeree). Dopo tutto, qualsiasi allenatore vi dirà che le partite tese si vincono vincendo i duelli, e questi rientrano a pieno titoli nei fattori che portano punti.
I suoi pesantissimi gol nelle partite di cartello hanno molto in comune. Contro il Milan l’azione ha trovato sbocco sulla sinistra: la difesa a quattro dei rossoneri è stata lenta a scivolare, e con Abate largo sul crossatore, Dybala e Bentancur hanno tenuto occupati i due centrali, lasciando Mandžukić in isolamento su Rodriguez.
Contro l’Inter è successo praticamente la stessa cosa, con la differenza che Cancelo ha effettuato un cross a rientrare molto difficile da leggere per difesa e portiere. La finta (una pausa) di Cancelo è determinante per permettere l’arrivo di Dybala e Ronaldo in area.
L’errore di Santon nel match natalizio contro la Roma nei replay è ancor più evidente, perché non guarda l’avversario e aspetta il pallone senza rendersi conto di quello che succede dietro di lui. Il cross di De Sciglio, come quello di Cancelo contro l’Inter, cade proprio dove deve cadere per massimizzare la portata del colpo di testa e tagliare fuori il portiere. Sono palloni quasi inesorabili.
È importante notare alcune cose, che possono aiutare a comprendere queste situazioni. In primo luogo, queste dinamiche sono indipendenti dal lato su cui si sviluppa la manovra, ad ulteriore conferma dell’ecletticità raggiunta. In secondo luogo, Mandžukić è sicuramente più alto e imponente dei terzini avversari, ma non è questo a mio avviso l’unico fattore determinante: il croato sa leggere meglio le palle alte, riesce a prendere il tempo all’avversario, e trovare sempre l’angolo migliore per aggirarlo – o sormontarlo. E infatti – terzo punto – si nota come in tutti questi casi gli avversari abbiano aspettato il pallone, senza andarlo ad aggredire: sono cross lenti, in cui è troppo rischioso accettare il duello con un avversario, e sarebbe meglio al contrario attaccare la palla. Quarto ed ultimo punto: a parte il gol contro il Napoli (su una ripartenza e in cui comunque c’è un pregevolissimo movimento di Emre Can a “togliere” Koulibaly da Mandžukić), sono tutte marcature in cui i compagni gli tengono occupati i centrali al centro dell’area.
Non è un caso che situazioni ripetute del genere lascino il gusto dell’inesorabile: è perché nessuna squadra ha ancora saputo contrastare la contraerea di Mario Mandžukić.
Andrea Lapegna