Così, a naso, non sarà il 2019 a portarci fuori dal Medioevo in cui il calcio italiano vive da un bel po’, tra dirigenti che non sanno prendere decisioni, squadre alla continua ricerca di alibi e incapaci di complimentarsi con i più forti, media troppo spesso superficiali e a caccia di like più che di racconti coerenti o aderenti alla realtà.
Sono bastati pochi giorni per assistere a una lunga e già insopportabile serie di battaglie retoriche, in gran parte non sentite realmente, dalla Supercoppa giocata in Arabia (cioè, non sull’Italia che intrattiene rapporti commerciali di ogni tipo senza porsi pressoché mai un problema etico, ma sulla Lega Calcio e addirittura sulla Juve, con tanto di manifestazione grottesca di dieci persone davanti allo Stadium) alla violenza negli stadi (che poi non sono da tempo negli stadi), fino al (per come è affrontato) tragicomico caso dei cori e degli ululati razzisti, che sono razzisti con alcuni giocatori, meno razzisti con altri, decisamente razzisti negli stadi in cui si sente meglio, meno razzisti in quelli con acustica meno limpida e assolutamente non razzisti se gli ululati si estendono ad altri loro compagni. Basterà gridare buuu a Insigne oltre a Koulibaly, dunque, per l’automatica degradazione a goliardia e rivalità.
Del resto, com’è noto, nulla più della retorica è capace di svuotare di significato e valore qualunque tema: se si considera legittimo sospendere le partite per un ululato ma non per un coro che inneggia a una tragedia, non possiamo sorprenderci che alcuni buuu siano più buuu di altri, fino a far terminare, come sempre, tutto in farsa.
Per uscire dal Medioevo che ci circonda, una volta l’anno ci distraiamo organizzando il nostro evento, stavolta a Milano, cui partecipano anche ospiti dichiaratamente non juventini (e tanti altri, tifosi dell’Inter, del Milan o del tutto imparziali, hanno mandato i loro saluti e l’apprezzamento per l’evento), correttissimi, chiari sin dal principio sul non essere dei nostri ma allo stesso tempo contenti di partecipare a un pomeriggio di questo tipo, con quel clima di apertura e non di odio e chiusura che spesso si respira altrove.
A noi piace così e ovviamente a tanti altri no, perché il Medioevo non è noto per il rispetto e per il piacere di confrontarsi, tanto che, sui social, si scatena (già prima dell’evento) la caccia ai partecipanti non bianconeri, perché se accetti di andare a parlare con degli juventini sei già uno di loro, se sei uno di loro sei dalla parte dei cattivi, se sei dalla parte dei cattivi vai pubblicamente linciato. Al netto di qualche sparuta (ma più che apprezzata, vedi l’interista Dalai e qualche altro) voce controcorrente, ormai la situazione è questa e, in tutta sincerità, non ce ne può fregare di meno (né frega minimamente agli ospiti che vengono a trovarci o mandano i loro saluti) e anzi ci divertiamo così, a sostituire, nel piacere di dialogare su calcio, tifo e passione, certi media troppo intenti a diffondere veleni.
Veleni utili a chi non vince da troppi anni, per trovare alibi; termine che, fortunatamente, non va troppo di moda dalle nostre parti. Così, il nostro Kean, a vent’anni subisce gli ululati (non razzisti, eh, per carità, non scherziamo) e reagisce segnando; l’under 15 sostituisce l’under 16 – squalificata per intero (primo caso in Italia) per un coro idiota cantato nello spogliatoio – e vince la partita contro i rivali di categoria superiore.
E così via, in un calcio sempre più uguale a se stesso, con la Juve che parla poco e pensa a vincere e intorno un gran vociare su ogni tema, con titoloni roboanti, convegni di professori e tesi da terrapiattisti.
Rimane un tema, perché nel nostro calcio medievale c’è ancora un surreale (surreale, grottesco, tragicomico; il problema nel commentare questi tempi è che a un certo punto i sinonimi finiscono e tocca ripetersi) scudetto a tavolino assegnato all’Inter di corsa, quando ancora non si conosceva, o meglio non c’era stata fatta conoscere, la realtà.
Scudetto impugnato non appena è emersa quella realtà, con il procuratore che a quel punto dà per scontato che il titolo vada revocato (anzi, ci sarebbe stato da procedere con altre condanne) ma, che sfiga, è intervenuta la prescrizione e allora la Figc, che sfiga, si dichiara incompetente e poi, che sfiga, incompetenti si definiscono pure i tribunali ordinari fino alla Cassazione e quindi, per provare a combattere la sfiga, rieccoci di fronte al Coni.
Ora, probabilmente vi è capitato di incrociare recentemente qualche articolo dai toni secchi e definitivi in cui si afferma che la Cassazione ha ormai chiuso Calciopoli, quando al contrario ha detto esattamente il contrario, cioè che non tocca a lei occuparsi di quello scudetto revocato. Oppure, se frequentate i social, avete presente quelli che, ripetendo a pappagallo un’idiozia letta da qualche parte, parlano di trenta e passa sentenze attestanti che avevano ragione loro? Ebbene, omettono, o non sanno, che una considerevole parte di queste afferma sempre la stessa cosa: non tocca a noi dire chi ha ragione.
Ma a qualcuno toccherà, supponiamo.
Ecco, ora, sfiga permettendo, tocca al Coni. Che forse, se ha voglia, dovrà rispondere: lo scudetto a tavolino assegnato ai terzi in classifica di un campionato non oggetto di inchiesta (2005-06) dagli amici agli amici per motivi etici (o meglio, per assenza di motivi etici di segno inverso) va conservato anche dopo avere saputo che i dirigenti di quella squadra chiacchieravano di arbitri e con arbitri perfino prima di partite di Coppa Italia in cui la diabolica Juve non c’entrava nulla? E’ questa, l’etica di cui ci si riempiva la bocca nel 2006?
Lo chiedono a Capello, allenatore di quella Juve, protagonista di quarant’anni di calcio italiano passato anche tra Nazionale, Milan, Roma e lui risponde affermando in modo secco quello che pensano tutti e viene negato solo dai tifosi interisti e taciuto da quasi ogni media: lo scudetto fu assegnato in modo comico, in tutta fretta e le verità uscite successivamente rendono il ricorso sacrosanto.
La Gazzetta, perfino lei, se ne rese conto in un giorno illuminato del 2011 dopo la relazione Palazzi, chiedendo in un sussulto d’orgoglio la revoca del tavolino, salvo poi, dal giorno dopo, tornare ad appiattirsi sulle tesi di Moratti & co, forti del tempo passato, delle prescrizioni maturate e della necessità di non indispettire il proprio pubblico di riferimento.
Un giorno, forse, sconfiggeremo la sfiga e qualcuno ci risponderà nel merito. Mi andrebbe bene perfino che il Coni ci dicesse “sì, è quella l’etica che vogliamo nel calcio, sacrosanto ricordare al designatore arbitrale lo “score” deludente di un arbitro prima della Coppa Italia, corretto dialogare di arbitri da designare senza procedere ai sorteggi con il designatore dei guardalinee, è tutto ok: lo scudetto resta lì”.
Sarebbe poco, ma comunque un passo per uscire dal Medioevo. Che invece, basta osservare queste prime settimane, ci accompagnerà fiero per tutto il 2019 e molto oltre.
Il Maestro Massimo Zampini