Chi vorrebbe sancire già a febbraio, nel mezzo tra l’andata e il ritorno degli ottavi di finale di Champions League, il destino di Massimiliano Allegri e del suo rapporto con la Juventus compie un salto nel vuoto consapevole. Anche perché c’è tutta una storia alle spalle che riguarda il vissuto, le voci e l’esito di almeno due primavere precedenti.
La Juventus società, ovviamente, aggiorna costantemente la propria posizione a proposito. Come è giusto (e saggio) che sia. Mettiamola così: nel maggio scorso – quindi quando si può ritenere che il vertice fosse ancora a struttura romboidale con tanto di Marotta – Allegri prosegue il rapporto con la Juventus senza alcun rinnovo (a differenza delle occasioni precedenti) e questo anche perché intorno al nome del tecnico non c’è totale unanimità anche se il credito esiste e resiste nonché una fiducia molto condizionata dalla consapevolezza concreta, sui nomi e sul livello tecnico, del mercato che stai per affrontare.
Oggi è dunque quasi impossibile ottenere la reclamata sentenza, a prescindere dalla parte dalla quale ci si voglia schierare. Però qualcosa da settimane trapela, pre e post Wanda Metropolitano. E proprio questa doppia sfida veniva già posta come primo reale spartiacque. Si può serenamente dire, stando strettamente alle notizie accumulate, che in caso di eliminazione (e non sarebbe unicamente per la “colpa” di aver bruciato verosimilmente più di 100 milioni di euro tra il mancato obiettivo finanziario delle semifinali e le ripercussioni in borsa) non verrà sottoposto ad Allegri alcuna proposta contrattuale.
L’attuale accordo tra la Juventus e il suo allenatore va in scadenza giugno 2020. Non è logicamente verosimile che si possa continuare insieme con il tecnico all’ultimo anno di contratto. Così come non è logico arrivare a ridosso di giugno con le decisioni (reciproche) ancora da prendere. Prima del Wanda si paventava (rumour torinese, ma senza conferme dalle fonti incrociate) che “se tutto andrà come deve andare contro l’Atletico” ad Allegri sarebbe stata sottoposta una proposta di prolungamento 2022 a 9 milioni di euro netti a stagione. Anche per capire subito le intenzioni concrete dell’allenatore, che a Milano danno in odore di Real Madrid, mentre a Torino si dà Conte in odore di Inter nonostante l’inserimento della Roma con lui che aspetterebbe solo un eventuale mossa del Manchester United o del Bayern, mentre ovunque da tempo e su queste colonne in tempi non sospetti si associa un patto d’acciaio tra Agnelli e Zidane già stretto l’estate scorsa.
Voi chiederete: e dopo ciò che si è visto al Wanda? Semplice. Si aspetta il ritorno. Così come l’unanimità su Allegri non c’era 6 mesi non può esserci adesso. Intanto però la società ha scelto di farsi sentire con i giocatori, perché a questi mai un mezzo alibi va consegnato pena che le se le cose vanno maluccio, non potranno che andare ancora peggio.
Luca Momblano.
Allegri come Conte e Capello: senza centrocampo non si va da nessuna parte
La Juventus di Allegri di quest’anno ricorda quella dell’ultimo anno di Antonio Conte: in campionato domina, al punto che è seriamente a rischio il record di punti stabilito dal salentino, mentre in Champions League è arrivata alla terza sconfitta in sette gare.
Questo è un ruolino di marcia che giustifica l’uscita agli ottavi di finale, per quanto continuo a pensare che non sia ancora detta l’ultima parola: a Torino l’Atletico riceverà pan per focaccia dallo Stadium se la squadra sarà capace di suonare la carica, come accadde a Madrid un anno fa, quando in casa loro a cantare fino a quell’insensibile rigore furono soltanto i tifosi bianconeri.
Ma qual è il comune denominatore tra la Juventus di Conte e questa? A mio avviso il centrocampo. La Juve di oggi ha cinque centrocampisti: Sami Khedira, Emre Can, Rodrigo Bentancur, Miralem Pjanic e Blaise Matuidi. I primi due sono stati bersagliati da infortuni in serie, Bentancur sta maturando bene, mentre Pjanic e Matuidi portano la croce ogni partita, andando inevitabilmente a corto di energie con il passare della stagione.
Non fu diversamente nel 2013-14, quando la Juve si presentò con Pogba, Vidal, Marchisio e Pirlo, oltre al generoso Padoin (Isla e Asamoah giocarono prevalentemente da terzini). Troppo poco per affrontare al meglio due competizioni di livello, specie con un Arturo Vidal che nella seconda parte di stagione si è portò appresso una serie di problemi al ginocchio.
Andando più indietro nel tempo, viene da ricordare l’ultima Juventus di Fabio Capello, che dominò il campionato. Dietro a Vieira, Emerson e Nedved c’erano i generosi Blasi e Giannichedda: troppo poco per arrivare a febbraio/marzo con benzina nelle gambe. Anche quella volta, in Champions fu un disastro.
Vittima di conti sballati e di problemi di spogliatoio, la Juventus ha cacciato Claudio Marchisio nelle ultime ore del mercato estivo e a gennaio, oltre a non rimpiazzarlo, si è indebolita ulteriormente cedendo Medhi Benatia, con una difesa già in chiara emergenza-
E’ inutile parlare di mentalità o aggressività: se i tuoi centrocampisti hanno finito la benzina, tutto si fa difficile e due grandi allenatori prima di Allegri lo avevano già dimostrato.
Trasformare Dybala in tuttocampista non risolve il problema.
Graziano Campi.