La verità è, forse inconsciamente, che ce lo aspettavamo. C’era un’aria strana, se si considera che venivano da un pareggio con gol fuori casa. Eppure ci si guardava, fuori dallo stadio, dicendo “sarà molto tosta”, perché “loro la giocheranno come all’andata” e così via. Loro. E questo nasconde un timore sul “noi”, perché ok, loro sono cosi, ma noi? E noi – eccola, la seconda verità – non siamo al meglio. Non sappiamo bene come giocheremo, non sappiamo se sarà la Juve di Madrid o del ritorno, se Dybala sarà quello irresistibile di due anni fa o quello malinconicamente involuto di questi mesi, come saranno stavolta Bernardeschi e Rugani, che impronta darà Allegri (troppo timore o coraggio e sfrontatezza), se correremo per 95 minuti come ossessi -vedi grande notte con l’Atletico – o se saremo spompati, poco aggressivi, passivi, come spesso accaduto in questo ultimo periodo. Troppi enigmi, con Douglas Costa che se sta bene e ha voglia è il più forte di tutti ma poi in sostanza non c’è mai, Chiellini che ci mette sempre di più a riprendersi, Mandzukic giù e senza gol da troppo tempo e così via. Troppi enigmi, noi, dall’allenatore ai preparatori, dalla continuità di alcuni giocatori a un centrocampo, forse, mai riportato ai livelli fenomenali di Berlino 2015. Troppe certezze, loro, che se De Jong esce per un problema muscolare te lo ripropongono in buona condizione tre giorni dopo, e rieccoli tutti a correre più di prima. E io lo so, che magari il loro gol del pareggio ha un pizzico di casualità, ma non ne vedo di meno nel fatto che ne abbiano sbagliati 4 a dieci metri dalla porta. Hanno strameritato, nel secondo tempo ci hanno tritato.
E allora, siccome diventa superfluo pensare a ieri, perché meriti (loro) e demeriti (nostri) non sono in discussione, è il momento di porsi alcune domande, e magari di ripartire da alcune certezze. Le domande, intanto, perché dovremmo capire come mai lo vedessimo già, il rischio che finisse così; perché, nonostante un campionato ipotecato da tempo, non siamo riusciti ad arrivare ad aprile in condizioni ottimali (eufemismo); perché non sappiamo ancora, al nono mese, quale sia esattamente la Juve di quest’anno, se sia programmata per mettere Ronaldo nelle migliori condizioni oppure no, se sia nata per aggredire come con Valencia, United, Napoli (andata) e Atletico (ritorno) oppure per gestire, gestire, aspettando il colpo di qualche campione davanti (che poi è praticamente sempre lo stesso, visto che i suoi partner segnano poco o niente, ed è tempo di interrogarci anche su di loro).
Quindi, arriviamo al punto: andare avanti con Allegri? Non prendendo parte alla penosa faida tra cotifosi su di lui (né su Mandzukic, Dybala e chicchessia), prendo pragmaticamente atto che questo è il primo anno in cui in Champions usciamo (e nettamente) contro una squadra teoricamente inferiore, con meno mezzi economici, meno fuoriclasse affermati, meno esperienza. È un dato di fatto inoppugnabile, esattamente come le tanto vituperate (sempre da cotifosi in perenne stato di autolesionismo e desiderosi di faide e “lo avevo detto”) due finali in cinque anni, perse contro due super squadre. Negli scontri diretti dagli ottavi in poi, negli ultimi due anni, la Juve mi ha convinto davvero solo due volte in 8 partite: in casa contro Simeone & Co, a Madrid dopo lo 0-3 interno. Entrambe quando ormai era quasi fuori, da outsider, e anche questo potrebbe indurre a qualche riflessione, su questo perenne obbligo di vincere, ché a volte quando questo viene meno torniamo a dare il meglio. Valutiamo bene, dunque, se Max e la società ci credono davvero fino in fondo, sennò meglio salutarsi qui, con un grande applauso dello stadio all’allenatore dei quasi 5 scudetti consecutivi, che ci ha riportato in Europa al nostro posto, cioè a lottare fino in fondo con le big. Valutiamo bene le alternative, perché cambiare ha senso solo per tentare un non facile upgrade. Se si crede in un upgrade, non si abbiano timori, perché la fine del ciclo, come in società sanno molto meglio di me, va anticipata e non attesa. E questo vale per l’allenatore, che è uno, e quindi è più facile parlarne, ma anche per alcuni giocatori, partendo dal Pjanic che, ottimo giocatore, troppo spesso difetta un po’ in certe partite cruciali, nel ruolo più cruciale.
Per finire con le domande, qualche quesito me lo porrei su di noi, incapaci di goderci fino in fondo campionati dominati, annoiati in Italia e troppo tesi in Europa, cosicché non riesco più a immaginare entusiasmo per una stagione futura, a meno di non portare a casa la Champions, che però ahinoi non si può certo programmare. È sano, chiedo in primis a me, non essere più felici di nulla, a meno che non si vinca la Champions League? La risposta è facile, e ovviamente negativa: non è sano avere il dubbio fino alla fine se la curva canterà, se gli altri settori si degneranno di dare il contributo, se, anche a casa, saranno più i mugugni che le gioie finché non riusciremo a vincere la Champions.
Poi, però, perché il grande rischio delle serate nere è quello di non vedere la luce, ci sono le certezze.
Tra queste metto l’aver trovato un portiere eccellente,
da Juventus, e quando dico da Juventus lo rapporto ai grandissimi che
abbiamo sempre avuto. Ci sembra banale, ma non era scontato, dopo
l’addio del numero 1 dei numeri 1. Gli esterni difensivi mi vanno benissimo così: Cancelo e De Sciglio da una parte, Alex Sandro e Spinazzola dall’altra. Mi vanno bene i centrali difensivi attuali, a costo però di aggiungere un big, possibilmente giovane. Emre Can può essere una colonna dei prossimi anni, tra difesa e centrocampo; Bentancur rimane un ottimo prospetto, forse quasi pronto; Ramsey sarà utile, darà imprevedibilità e inserimenti a una squadra a volte un po’ statica e prevedibile; Ronaldo
è fenomenale, a volte persino più di quanto mi ricordassi: leader,
goleador, non sbaglia quasi mai la giocata, segna appena ha mezza
occasione, spesso perfino altruista come non mi pareva fosse a Madrid.
Alla faccia di chi lo definiva un’operazione commerciale, è tuttora un
giocatore fantastico. Kean merita di avere spazio e qualche
chance in più: solo così capiremo bene chi possa diventare. Insomma,
intervenendo bene, lasciando alcuni punti fermi, possiamo avere un
grande futuro, oltre all’ottimo presente.
Perché, ecco l’ultima certezza, a breve vinceremo l’ottavo scudetto di fila, e io me lo godrò esattamente come gli altri sette, perché più passano gli anni e meno è sufficiente essere i più bravi sulla carta (bisogna sempre ritrovare stimoli, voglia, continuità, ed è sempre meno facile, mentre gli altri sono ormai costantemente più affamati), perché il giorno felice di chi non mi ama dev’essere sempre solo quello in cui qualcuno (non lui) in Champions si dimostra più bravo di noi. Perché solo quando smetti di vincere capisci quanto fosse bello vincere. Perché ieri ci siamo rimasti male, perché non dobbiamo nascondere le cose che non vanno, perché dobbiamo essere pronti a cambiare senza timore.
Ma di certo sarò sempre grato a questa società, questo allenatore (e quello precedente), questi giocatori. E meritano, meritiamo una festa come si deve, con i giocatori sul pullman scoperto e una folla di gente ad accompagnarli per festeggiare per tutta Torino, tutta Italia, con tutto l’entusiasmo e l’orgoglio che la legittima voglia di Champions non potrà e non dovrà mai portarci via.
Il Maestro Massimo Zampini.