Massimiliano Allegri e la Juventus si separano.
Con fischi, insulti e una terribile e raggelante sensazione di fragilità iniziò il suo percorso in bianconero.
Con fischi, insulti e una terribile e raggelante sensazione di insoddisfazione si temeva potesse proseguire.
In mezzo, Allegri è stato l’allenatore più vincente, in termini di vittorie sul numero di gare disputate, della storia della Juventus FC. L’allenatore che ha consolidato il dominio in Italia, proseguendo ed allungando la striscia degli scudetti con 5 campionati di fila per un’impresa che ha reso EPICO il probabile e lo scontato, ci ha aggiunto 4 Coppe Italia, con quella stella (la decima) che mancava ad una Juventus dominante.
Soprattutto, Allegri ha preso lo straordinario lavoro di Antonio Conte e ha saputo farlo suo e poi gradualmente adattarlo e modificarlo alle sue idee, dando fiducia e “halma” alla squadra soprattutto in Europa. Siamo così passati da una squadra ai margini dell’impero europeo (quel ristorante troppo costoso) che Conte aveva provato a fronteggiare con armi troppo spuntate, ai vertici della montagna più alta da scalare, fin da subito. A Berlino.
Con 7 uomini diversi da quel manipolo di underdog del primo anno, la Juventus di Allegri, ancora più forte e dominante in Italia, si era ripresentata, due anni dopo, di nuovo alle vette dell’Olimpo, questa volta con voce autorevole, cammino autoritario, per quanto non spettacolare, e la fiducia di un popolo pronto ad assaporare una gioia diventata ossessione dopo 20 anni. A Cardiff.
Da lì in poi Allegri ha perso quasi tutto: il calore, l’entusiasmo e la fiducia della gran parte dei tifosi, la capacità quasi prodigiosa di inquadrare un modulo perfetto durante l’anno, in grado di valorizzare tutti gli elementi di talento in squadra senza perdere in efficacia, e probabilmente anche il credito e la fiducia illimitata di una Presidenza che lo aveva elogiato (memore di quei fischi del 15 Luglio 2014).
Soprattutto, negli ultimi 2 anni Allegri ha perso quella voglia di una ricerca di un calcio più qualitativo, ripiegandosi invece sulle altre sue doti: la gestione dei momenti, dei tempi, delle fasi di gara e l’adattarsi all’avversario -tatticamente e fisicamente-, purtroppo anche nella mediocrità.
Così Allegri ha continuato a vincere, seppure di “corto muso” contro Sarri (o Pochettino) ma ha preso la china di un’involuzione tattica, o meglio, di una mancata evoluzione, che ha avuto due abbaglianti momenti di illusoria bellezza e fierezza: Real-Juventus (1-3) e Juventus-Atletico (3-0) e una brevissima -davvero troppo- stagione di gran calcio, iniziata a Valencia e terminata, 2 gare dopo, sempre col Valencia in casa, dopo le picconate di Mourinho.
Nell’anno dello shock più potente della storia del calcio –Cristiano Ronaldo alla Juventus- arriva non solo il primo flop in termini di risultati (l’eliminazione da parte dell’Ajax) ma soprattutto la sensazione di una incapacità di Allegri di rigenerare sé stesso, di ricercare un gioco adatto alla spettacolare qualità della rosa in suo possesso. Non è tanto l’essere usciti dalla Champions, ma il modo, il come e il perché.
La Juventus ha deciso: cambiare prima di essere costretti. Come vi abbiamo raccontati, orgogliosamente per primi, in modo certo ed inequivocabile, su queste pagine con gli articoli di Luca Momblano.
In modo altrettanto certo e senza dubbi, Massimiliano Allegri va ringraziato per 5 meravigliosi anni, con 2 grandissime illusioni e 2 stagioni opache ma pur sempre vittoriose. Va ringraziato per i 5 Scudetti, sia quelli mai in discussione, sia le due rimonte con Zaza a Napoli e Higuain a Milano, per le 4 Coppe Italia. E va ringraziato per Dortmund e Berlino, per Monaco e Montecarlo, per le vittorie in casa dei due Manchester e a Wembley, per le imprese -realizzate o sfiorate- al Bernabeu e per i 3-0 rifilati al Barcellona e all’Atletico.
Se ne va un grande Allenatore, che ha rivaleggiato con Klopp, Ancelotti, Enrique, Guardiola, Emery, Zidane, Pochettino, Mourinho e Simeone, a volte vincendo altre perdendo, grazie ad una squadra sempre più forte e consapevole. Se ne va al momento giusto, perché la Juventus è diventata più grande di qualsiasi allenatore che non riesca, per più di due anni, a stare al suo passo.
Se ne va un Mister a suo modo unico ai microfoni, istrionico e cazzeggiante, lucido e ironico, con qualche scivolone legittimo, mai polemico su alibi arbitrali o fatturati o altri mezzucci cari ad altri mister, sempre perfetto nell’aderire ad uno stile Juventus inappuntabile, con un calo -coincidenza- nell’aplomb e nel livello delle argomentazioni negli ultimi 2 anni.
Se ne va, tra gli applausi -speriamo- sia di chi non apprezza questa scelta, sia di chi -speriamo- aveva il timore di una sua permanenza.
Grazie Mister. Grazie Andrea.
Andiamo avanti e applausi!
Sandro Scarpa.