L’arrivo di Maurizio Sarri sulla panchina della Juventus apre il terzo grande ciclo manageriale sotto la presidenza di Andrea Agnelli e, al tempo stesso, rappresenta una svolta netta a livello di gestione tecnica rispetto al suo predecessore, Massimiliano Allegri.
Se da un lato c’è la volontà di prolungare la striscia aperta di successi in Italia con un allenatore che ha ampiamente dimostrato di essere competitivo in Serie A (il Napoli di Sarri è stata la rivale più credibile dei bianconeri negli ultimi sette anni con una media triennale di 86,3 punti rispetto ai 90,8 del quinquennio di Allegri) e che arriva da un’esperienza complessivamente positiva al Chelsea, dall’altro c’è la volontà di valorizzare una buona base tecnica – con singoli di grande qualità, Cristiano Ronaldo in primis – che nell’ultimo biennio di Allegri non è stato sfruttato a dovere.
Ma quali sono, in sostanza, le principali differenze di campo tra i due tecnici toscani?
Affinità e divergenze
Come molti allenatori, Sarri ed Allegri riconoscono – e condividono – l’importanza di non soffocare la libertà decisionale del singolo in base alle proprie abilità cognitive, esecutive e d’improvvisazione, soprattutto negli ultimi 30 metri; inoltre curano molto il lavoro delle rispettive linee difensive (come dettagliamente spiegato qualche paragrafo più in basso).
Generalmente, però, il loro approccio sul campo è diametralmente opposto: il primo aspira ad un controllo totale – nei limiti dell’umanamente possibile – sulla partita grazie al pallone, mentre il secondo accetta anche di subire passivamente il possesso palla e dominio territoriale avversario – spesso per lunghi tratti della gara -, puntando su alcuni correttivi (sostituzioni, cambi di posizione/modulo ecc.) a partita in corso e gli episodi a favore, oltre ovviamente alle qualità individuali.
Come attaccano le loro squadre
La struttura offensiva delle squadre di Sarri è estremamente organizzata (soprattutto negli scaglionamenti, smarcamenti e ricezioni durante la prima costruzione ed il consolidamento del possesso), con il tipo di rifinitura che dipende dalle caratteristiche dei giocatori offensivi: ad esempio, dopo un fraseggio prolungato nel primo terzo di campo per attirare il pressing avversario, l’Empoli attaccava tramite verticalizzazioni improvvise sui movimenti incontro o ad allargarsi delle due punte (Maccarone e Pucciarelli) per favorire gli inserimenti con o senza palla del trequartista (Saponara), mentre il suo Napoli sfruttava molto i tagli interni di Callejón sul lato debole ed i movimenti del terzo uomo (Hamšík) grazie ad un fraseggio più ritmato, in verticale ed orizzontale, per disorganizzare le difese avversarie.
Quella delle squadre di Allegri invece si basa su un paio di semplici direttive: nella sua Juventus l’obiettivo principale della prima costruzione era una circolazione sicura del pallone (che spesso si traduceva in un possesso conservativo ad U) e se ciò non era possibile si ricorreva al lancio lungo verso la punta; il consolidamento del possesso non avveniva centralmente, ma tramite le catene laterali (con un notevole utilizzo dei cambi di gioco) e si rifiniva l’azione coi cross, principalmente sul secondo palo dove – soprattutto – Mandžukić garantiva importanti mismatch coi terzini avversari sulle palle aeree.
Come difendono le proprie squadre
La fase difensiva di entrambe è particolarmente curata, ma si basa su riferimenti diversi: la Juventus di Allegri utilizzava un sistema difensivo a zona sporcata dagli orientamenti sull’uomo, con marcatori aggressivi come Barzagli, Benatia e Chiellini particolarmente proni a seguire l’avversario sia nella metà campo avversaria che in area di rigore; la squadra difendeva con un baricentro medio-basso, prestando grande attenzione alla compattezza (in orizzontale e in verticale) tra le linee di difesa e centrocampo ed alzando l’intensità del proprio pressing solo in determinate zone del campo (ad esempio vicino alle linee di rimessa laterale).
Le squadre di Sarri invece utilizzano una difesa a zona “pura”, cioè con il pallone come riferimento principale in fase di non possesso: questo sistema difensivo, che in area di rigore tende a lasciare scoperto il lato debole, permette un miglior controllo degli spazi (nonché delle distanze tra compagni e reparti) rispetto alla marcatura orientata a uomo; questo però non significa che la linea difensiva non si spezzi mai per andare a chiudere su avversari in zone pericolose (ad esempio un centrale che accorcia su un giocatore posizionato tra le linee), ma si cerca sempre di avere una serie di coperture preventive e movimenti coordinati da parte dei compagni qualora – da parte di un difensore – ci fosse la necessità di uscire in maniera aggressiva verso il portatore di palla e/o un possibile ricevitore.
Sopra ho accennato al pressing in merito al sistema difensivo della Juve di Allegri: quello delle squadre di Sarri invece è nettamente più organizzato, sia in zone alte che intermedie del campo, sia tramite il pressing collettivo che la ri-aggressione a palla persa; i giocatori cercano di schermare le linee di passaggio avversarie, provando a forzare il giocatore in possesso ad effettuare un lancio lungo alla cieca o ad un passaggio rischioso e facile da intercettare.
La maggiore organizzazione nel pressing si traduce in transizioni offensive più pericolose, soprattutto perché la palla viene mediamente recuperata vicino alla porta avversaria e non nella propria trequarti, come invece succedeva alla Juventus di Allegri.
Le squadre di Sarri sanno anche difendere posizionalmente nella propria metà campo, ma è una situazione di gioco che il tecnico toscano cerca di evitare il più possibile grazie al possesso palla ed il dominio territoriale.
Che Juve dovremo aspettarci?
Al momento è impossibile fare previsioni certe sul modulo o l’undici titolare dato che sono previste diverse entrate ed uscite durante questa sessione di calciomercato, ma in generale sappiamo quali saranno i princìpi di gioco della squadra: vedremo una Juventus che proverà ad imporre di più il contesto tattico tramite il pallone, che cercherà di controllare maggiormente il gioco nella metà campo avversaria (alzando quindi il proprio baricentro) e che proverà a difendere in maniera più proattiva nella fase di non possesso.
La guida tecnica del club torinese in questo momento rappresenta l’occasione della vita per Sarri: alla società spetterà il compito di assecondarlo e soprattutto proteggerlo nei momenti di difficoltà (che inevitabilmente arriveranno) della sua rivoluzione tecnico-tattica.
L’1% che mancava ad Allegri
”La filosofia di gioco può essere diversa, ma non si deve perdere quel 99% di positivo che c’era nel modo di giocare nella Juventus di prima” (Maurizio Sarri, Allianz Stadium, 27 giugno 2019)
All’interno della prima, copiosa intervista rilasciata dal neo tecnico bianconero, colpisce in particolare quest’affermazione che, sostanzialmente per l’intero, valuta e rivaluta il tanto bistrattato modo di stare in campo e giocare il pallone della Juventus di Massimiliano Allegri. Colpisce, poi, che a rendere questa dichiarazione sia proprio Maurizio Sarri che, per quanto visto sinora, è portatore di una filosofia non già “diversa”, come sostenuto dal tecnico stesso, quanto opposta rispetto a quella dell’allenatore livornese: la bellezza funzionale contro il pragmatismo radicale. Come conciliare, anche solo concettualmente, questa “filosofia di gioco” con quel “modo di giocare”? E come giustificare che quest’ultimo, per un sostenitore della prima, rappresenti in pratica la “quasi-perfezione”?
La filosofia di gioco di Sarri, come già meglio spiegata in altri articoli qui nel nostro sito, si distingue per imporre i propri ritmi agli avversari e sfruttarne i punti deboli, grande organizzazione, preparazione tecnica e atletica, attenzione maniacale ai dettagli e alle posizioni (ora aiutati anche dall’intelligenza artificiale), il tutto senza mai snaturarsi contro qualsiasi avversario. Il calcio come bellezza, come divertimento perché, se i giocatori si divertono, divertono anche il pubblico e, per l’effetto del gradimento da parte di quest’ultimo, la squadra è motivata ad aumentare l’intensità delle proprie prestazioni (parafrasando quanto affermato da Sarri nella conferenza stampa di insediamento). Questa filosofia comporta in realtà un calcio piuttosto “semplice” sotto il profilo tattico, perché le posizioni e i movimenti sono pressoché prestabiliti e tutto ciò che occorre fare è applicarli attraverso un sapiente dosaggio dei passaggi e dei cambi di posizione, facendo muovere l’avversario o coinvolgendolo in frequenti “torelli” destabilizzanti, quindi velocità di pensiero ed esecuzione, per mettere gli attaccanti nelle condizioni ideali per andare a segno: non sorprende che molti gol delle squadre di Sarri giungano a porta sguarnita.
Lo stesso Sarri conferma questi concetti: “Il tentativo sarà quello di giocare più palloni possibili, ma questa è filosofia di gioco, poi vorrei che la squadra mantenesse alcune caratteristiche della squadra di Max, che ti dava anche la sensazione di poterla mettere sotto, poi improvvisamente ti dava la sensazione opposta.“
Sarri contrappone la propria “filosofia” a un “modo”, a “caratteristiche”, quindi, non a un’altra filosofia. Questo aspetto – che, a sua volta, può apparire come “filosofeggiare” – in realtà spiega molto del tecnico attuale, che ha un’idea di calcio prima che una pratica, contrariamente ad Allegri. Per entrambi, i giocatori sono al centro del progetto, “perché sono loro ad andare in campo” (multicit.) ma, per Sarri, l’allenatore ha un ruolo asseritamente relativo nei confronti dei campioni e incisivo su quelli più giovani, da formare, mentre per Allegri l’allenatore “dovrebbe fare meno danni possibili” (che poi questo fosse realmente o meno il suo pensiero è stato oggetto di ripetuto dibattito in questi ultimi anni).
Per Allegri, il calcio era altrettanto “semplice”, ma avulso da teorie e schemi, più fisico che atletico, più prudente che audace, risultando di conseguenza maggiormente farraginoso e meno fluido: queste sono le “caratteristiche”, che portavano le sue varie Juventus a soccombere spesso sul piano del gioco, che appariva come lasciato alla casualità (non è in discussione che ciò avvenisse anche contro squadre di modesta caratura e che le partite dominate in campo dalle squadre di Allegri in cinque anni si contino sulle dita di una mano), ma a risultare, alla distanza, vincenti nel risultato (in Italia), grazie a qualche prodigio individuale o estemporanea azione corale che andava a segno. Solo a tratti, nel corso del quinquennio, questo modo di giocare ha evidenziato anche imponenti limiti, che si sono osservati sia in alcune fasi dei vari campionati sia in Champions League.
99% e 1% tradotti: avere schemi nel calcio su cui basarsi sarà pur poco (?) ma, senza quello, non completi l’opera, perché la giocata del campione non sempre può intervenire e rivelarsi propizia e questo la relega a piano di riserva, elevando l’applicazione pratica della teoria a strategia principale di riferimento. Così come, senza una solida mentalità vincente, data dal pragmatismo, ti limiti a offrire un bello spettacolo e nulla di più.
Quelle che appaiono come due visioni contrapposte, in realtà, possono rivelarsi perfettamente complementari (e non sarebbe certo la Juventus la prima a darne dimostrazione): è una sorta di incremento per fusione quello che intende operare Sarri, tra il proprio gioco (1%) e il DNA Juventus che – ammettiamolo – le squadre allenate da Allegri hanno pienamente espresso (e questo spiega il 99%), perché sappiamo bene, andando indietro con la memoria, che poche Juventus vincenti hanno anche espresso un bel calcio, ma si tende a idealizzare il passato. La filosofia di gioco di Sarri è sicuramente preferibile perché “all’europea”, mentre il DNA Juventus, se effettivamente espresso da Allegri, è sicuramente più “all’italiana”, quindi tendenzialmente calcolatore e speculativo che, nel bene e nel male, è una caratteristica propria della Juventus (lo dimostrano, purtroppo, i pochi successi europei in bacheca). Sarri, questo, vorrà preservarlo e probabilmente porlo a fondamento del proprio progetto sportivo, soprattutto perché può permettere, in campionato, di arrivare alla vittoria finale e, in Europa, di dare quel qualcosa in più in certi momenti, contro certe squadre.
Sarri sa bene che non tutte le partite esprimeranno, per un fatto statistico, il suo miglior calcio e non tutte porteranno risultati positivi: per ottenerli, occorre quindi chiarire ai propri giocatori che la mentalità dev’essere quella – “alla Allegri” – di crederci fino all’ultimo, restando compatti e concentrati e preferendo la giocata scolastica all’italiana (o all’inglese) rispetto al virtuosismo brasiliano, anche talvolta a discapito della “bellezza”, se necessario; che non ci può essere vittoria (che è tutto ciò che conta) se non si ragiona da squadra e che ci saranno tempi, anche durante le partite, in cui potrebbe essere necessario ricorrere allo stratagemma della vipera che si nasconde sotto il sasso, per poi colpire a freddo. Questi sono concetti noti in casa Juventus, ma nuovi per Sarri, che vuole dimostrare di aver già assorbito e fatto propri.
Perché Sarri tutto questo l’ha capito non oggi, non ieri, ma in anni, da avversario, e anche quando non era nostro diretto avversario, perché allenava in categorie inferiori, e ci osservava. Soprattutto, io credo che Sarri sappia che questo modo di giocare – non bello, ma efficace – unito alla propria “filosofia di gioco”, potrà consentirgli di raggiungere quella sorta di perfezione tattica, che dovrebbe – idealmente – produrre ciò che tutti noi vogliamo: intrattenimento e vittorie. Insomma, filosofeggiare va bene altrove, ma qui contano i risultati e, quindi, per la concretezza, rivolgersi alla “lezione” allegriana: alla Juve si diventa aziendalisti, il passato si lascia fuori dalla porta. Sarri, in pratica, ci sta dicendo che apporterà un “tocco cosmetico”, apparentemente modesto nella sua entità, ma che è tutto ciò che serviva per poter far bella La Signora anche in Europa: l’upgrade che mancava.