Antonio Conte è un fenomeno unico.
Non
il migliore, non il più vincente, forse non perfetto, ma un allenatore
formidabile nei suoi punti di forza. Lo abbiamo esaltato per anni su
queste pagine per il capolavoro titanico di aver risollevato la Juventus
dal periodo più critico della storia al più dominante di sempre,
assieme ad una rosa via via sempre più forte che è cresciuta grazie ed
insieme a lui.
Tra le doti straordinarie di Conte c’è anche e
soprattutto la totale dedizione al lavoro e la fusione estrema di ogni
sua molecola con la squadra che allena, professionalità che sconfina
nella passione umana, troppo e meravigliosamente umana, e che lo rende
votato anima e corpo, giorno e notte, in allenamento, in campo, in piedi
in area tecnica e fuori, al suo progetto, ai suoi uomini alla sua
squadra.
Per questo, prima, durante e dopo la sua epopea bianconera,
sapevamo già che in qualsiasi club sarebbe proseguita la sua carriera,
la “passione” totalizzante e divorante di Conte lo avrebbe portato ad
esprimere la stessa identica fame, voglia e profusione di energia per i
suoi nuovi ragazzi. Non è il primo tifoso della squadra che allena, non
se questa non è la Juve, ed è un uomo smisuratamente devoto alla causa. Un allenatore che si dà completamente, che tocca le corde profonde dell’animo dei suoi uomini e, per osmosi, dei suoi tifosi. Oltre ovviamente ad essere un grande tecnico.
Non ci meravigliò la sua esternazione di alcuni anni fa “sono un professionista, allenerei tranquillamente anche l’Inter“, di più: non ci siamo stupiti che, terminata la sua esperienza all’estero, abbia scelto l’Inter, il progetto di squadra italiana più serio e avvincente per una tipologia di allenatore “unico” nel migliorare squadre.
Infine, nulla dei comportamenti del primo Conte interista – frasi, richieste, esultanze ai primi gol e alla vittoria- è sorprendente, anzi, assolutamente prevedibile.
Razionalmente prevedibile, emotivamente soggettivo: si può essere indifferenti o impauriti, fomentati per la sfida o perfino disgustati, se si è compreso poco del Conte professionista e si è rimasti ancorati al Conte capitano in campo e condottiero in panchina, se si sono investite emozioni smodate nell’esaltarsi per un mister che esulta sotto la “sua” curva battendosi il petto, credendo ad una forma di empatia esclusiva che non poteva che essere temporanea, ancorché stupenda.
Quello che non sorprende
affatto è ovviamente anche la clamorosa piroetta dei suoi attuali
tifosi, di curva, social e tribuna vip e dei maitres a penser ed
influencer dell’interismo duro e puro.
Assistere all’incredibile
spettacolo di una curva esaltata, che all’annuncio di Conte aveva
esternato disappunto per un mister “portatore di valori negativi, opposti ai nobili ideali nerazzurri“;
ai 60mila di San Siro in delirio, stropicciarsi gli occhi per il gioco
dell’ex-simbolo del marcio juventino, disonesto, corrotto e
scommettitore; leggere soddisfazione e orgoglio per una squadra che fa
sognare (come fino a Dicembre avevano fatto Mancini e Spalletti, o fino a fine Agosto Stramaccioni e De Boer…) da quei social
interisti che fino all’altroieri rigurgitavano su Conte accuse violente
è davvero sconcertante, eppure al tempo stesso inebriante e
consolatorio per noi.
È l’ennesima conferma, dopo il Trap, dopo Lippi, della fallacia delle deliranti convinzioni di una tifoseria perennemente in cerca di una presunta immacolata ideologia, anche nella sconfitta, opposta a quella odiata della “vittoria ad ogni costo e con ogni mezzo, fino alla fine” bianconera, tifoseria che finisce poi, sistematicamente, per idolatrare quei vincenti bianconeri che vanno da loro.
Con Conte era già in parte accaduto nel periodo della Nazionale, da incallito scommettitore che vinceva “rubbando“, l’Italia antiJuve si era esaltata per quel CT che come nessun altro -dopo l’altro bianconero odiato Lippi- aveva saputo farsi amare.
Ora sulla panca nerazzurra la giravolta del tifo interista nei confronti di Conte è ancora più assurda e ridicola, accompagnata dall’esaltazione per i grandi colpi di mercato e per le frasi nette contro Wanda Nara, di Marotta, altro ex-DG “mafioso e scorretto“, altro protagonista delle ruberie bianconere, con tanto di Champagne ad indicare il numero giusto e crescente di scudetti juventini.
Si dirà che le piroette ci saranno anche, prossimamente si spera, tra i tifosi Juve che davano del perdente, zotico e campione della napoletani piagnona, a Sarri.
C’è una differenza netta: moltissimi tifosi Juve hanno attribuito a Sarri (e continuano a farlo) comportamenti negativi, palesemente tali: il continuo ricorrere ad alibi, uno stile comunicativo rivedibile, a tratti sconcertante. Nessun tifoso juventino ha però mai ascritto i risultati sul campo di Sarri a disonestà, valori marci, furti e ruberie. Si condannava Sarri per fatti e comportamenti extra-campo, molti lo ritenevano un perdente (e di fatto a Napoli lo è stato, anche se uno splendido perdente), ma non si è mai negato un singolo risultato, acquisito sul campo, adducendolo a sistemi, palazzi, arbitri e poteri occulti.
È questa la strada maestra del giudizio: il campo.
Parte del tifo Juventino potrà anche essere becera, qualunquista e populista, ma è abituato, dalla sua Storia, a rispettare il risultato del campo, e per questo potrà cambiare atteggiamento più volte, nei confronti dell’ex-milanista Allegri, dell’ex-Napoli Sarri, dell’ex-Real Cristiano, ma senza la totale negazione del merito, come quella che gran parte del tifo nerazzurro, spalleggiata da alcuni media che vezzeggia questa follia, continua ad assumere negli anni, lunghi, delle sconfitte.
Conte vinceva perché rubava, era disonesto e corrotto, e ora toh, guarda un po’ è davvero bravo, bravissimo, si esalta, ci esalta e ci trascina, grande Conte, evviva Conte, facci sognare!
Evidentemente qualcuno in società, scevro da questa ideologia farlocca, col vostro Mourinho, il Migliore, libero e disponibile a tornare, ha preferito invece “lo juventino” quello dei furti.
Godetevelo Conte, nelle vittorie e nelle sconfitte (curiosi di assistere anche a quel tipo di spettacolo, con solite dietrologie e complottismi del caso), ma non venite a spiegare a noi quanto è bravo Conte, perché noi, sul campo, lo abbiamo sempre saputo.
E voi no.
“Sì al calcio moderno” – O tempora, o mores, o Conte
Era l’estate dei miei futuri 14 anni (li avrei compiuti due giorni prima di un Atalanta-Juventus deciso da Del Piero e Trezeguet), quella del passaggio dalle medie al liceo, quella della cessione di Zidane al Real Madrid. Ci rimasi male, la presi peggio. Adoravo Zizou (una delle mie poche concessioni al mainstream) e quel “tradimento” giustificato dalla voglia di mare di madame Veronique – mare che stanno ancora cercando dalle parti di Valdebebas ma sto divagando – fu il motivo di maggior godimento post 3-1 rifiliato ai blancos il 14 maggio 2003, una delle poche serate in cui persino il Delle Alpi sembrava qualcosa di unico e meraviglioso. In quel momento, più che alla finale di Manchester poi ovviamente persa, più che a Nedved diffidato poi ovviamente ammonito, l’unico pensiero era al “traditore”, alla lezione che aveva ricevuto, al rimpianto che certamente covava dentro per aver abbandonato la squadra che da un giocatore lo aveva fatto diventare Il calciatore – e poco importa che, lui, la Champions che gli mancava l’aveva vinta l’anno prima. Ma sto divagando, bis.
Si tratta di un’istantanea che tiro idealmente fuori ogni volta che nel calcio del 2019, quasi 2020, globalizzato e iperprofessionistico come gran parte degli sport che generano movimenti di soldi che noi fatichiamo anche solo a immaginare, la parola TRADITORE (più altri corollari più o meno riferibili) viene infelicemente accostata a un calciatore/allenatore che decide di esprimere la propria professionalità, appunto, in una squadra piuttosto che in un’altra. Si tratta di un’istantanea, quindi, che ho tirato fuori anche ieri, nell’immediato post partita di un Inter-Lecce di fine agosto, funestato dalle grida di sdegno dei tifosi juventini contriti perché Antonio Conte, bontà sua, si era addirittura permesso di esultare ai gol della squadra che attualmente allena. Scandalo, vergogna, appelli accorati che manco Mattarella durante la crisi di governo, letterine strappalacrime (e straccia-qualcosa più a sud dei bulbi oculari) a uso e consumo dei consensi espressi sotto forma di un like e tutto l’abituale circo(lo) barbaradursizzante con cui stiamo imparando ad avere sinistra familiarità nell’era del calcio ai tempi dei social network.
Ora, non sarà il sottoscritto a ribadire che Antonio Conte – allenatore per cui la mancanza di un mio particolare trasporto dal punto è esclusivamente legata all’aspetto tecnico, in relazione a quello che immagino debba essere la Juve 2019/2020 e seguenti. Ma sto divagando, ter – è e sarà assolutamente libero di fare le scelte che riterrà congeniali alla sua carriera di allenatore senza doversi sentir vomitare addosso robe indegne di una società civile.
Così come non sarà il sottoscritto a raccontare come le scelte di vita dei Del Piero, dei Nedved, dei Marchisio, dei Buffon, dei Chiellini – solo per restare in ambito B&W, ma si potrebbero nominare anche Totti, De Rossi, Maldini, Zanetti – sono ormai l’eccezione e non la regola, in un mondo e in un tempo in cui le eccezioni, per quanto nobili, non costituiscono alcun quid in più nella narrazione e nel racconto dello sport contemporaneo che rifugga da retorica, strumentalizzazioni e banalizzazioni.
Così come non sarà il sottoscritto a sottolineare che, magari, conviene pensare più alla Juve, al campo e alla Juve sul campo invece che alle prossime esultanze – e, a naso, saranno tante. ma sto divagando, quater – dell’ex conducator, seduto sulla panchina che nel calcio anni ’70 e ’80 non avrebbe mai occupato e che invece nel calcio del XXI secolo occupa e bene. Perché i tempi cambiano, perché il calcio cambia, perché la vita cambia, perché tutto cambia, andando avanti e mai indietro.
Il sottoscritto si limiterà a una banale considerazione. Come per tutte le cose, c’è un tempo per essere tifosi e tifosi. C’è un tempo per essere tifosi di 14 anni che maledicono gli Zidane (e i Conte) per aver “tradito” la suprema causa bianconera e i milioni di cuori al suo servizio, filtrando ogni analisi successiva attraverso la lente distorta dell’amante ferito; e c’è, poi, un tempo per essere tifosi più maturi e consapevoli. Del contesto, della realtà che ci circonda, delle dinamiche ad essa sottese. Che non saranno le migliori possibili ma che vanno comunque comprese per non restare confinati in una pericolosa bolla atemporale. In modo che quell’ “insanire” – che è e resterà una delle componenti essenziali della passione che spinge a sacrificare buona parte dei weekend e di un infrasettimanale ogni due – resti realmente un “semel in anno”.
Soprattutto quando si tratta di discutere di chi ha fatto parte di un passato glorioso e che, adesso, è uno dei principali ostacoli sulla strada verso un futuro altrettanto glorioso. Del resto funziona così anche nella quotidianità. Dove non si è 14enni per sempre.