Doveva arrivare, era nell’aria, e non poteva che succedere: sconfitta meritata, contro una squadra vera circondata da un ambiente stupendo, tanto di cappello a questa Lazio. Poteva essere la serata del contro-sorpasso all’Inter, ed invece il quindicesimo turno di questa Serie A si è rivelato essere pro-Inter: i nerazzurri scappano addirittura un punticino avanti rispetto a domenica scorsa, e non è neanche la notizia peggiore.
La parabola discendente della Juventus di Sarri prosegue, da San Siro in poi senza soluzione di continuità, non si riesce a svoltare, potrebbero essere tante le motivazioni: ostinarsi a giocare con Bernardeschi sulla trequarti, per esempio. “Fa tanto lavoro oscuro”, si dice: il trequartista in bianconero non deve fare lavoro oscuro, il trequartista della Juventus deve vincere le partite. Chiamiamo le cose col proprio nome: oggi Bernardeschi lì è inadeguato. Se il mister dovesse insistere con questa soluzione, si dovrebbe tentare di dare una scossa differente, un perché differente alla sua presenza lì: non deve essere mediano, deve essere decisivo in positivo. Gli infortuni ripetuti sono un ulteriore cruccio che crea handicap, non ti permette di giocare al massimo del tuo potenziale, e non sono alibi, anzi!
E’ vero che si poteva comunque vincere se solo Dybala non avesse commesso un errore non da lui, è vero che un episodio arbitrale condanna l’ingenuità di un Cuadrado troppo irruento, è vero che lì la Juve doveva provare a limitare i danni e non giocare all’arma bianca. E’ vero che oggi la Vecchia Signora non è padrona del proprio destino, anche perché un destino è difficile anche solo provare a prevederlo seguendo quella parabola di cui prima. Urge veloce cambio di rotta.
P.S.: bravo Ronaldo per il gol, ora ci fai il favore di prenderti la squadra per mano come teoricamente dovresti fare anche nelle partitelle amichevoli infrasettimanali? Grazie.
Lazio-Juve 3-1: Li mortacci nostra
Aspettavamo la serata romana per goderci
“un friccico de luna tutta pe’ noi” e invece siamo tornati con 3
fischioni sul groppone.
Fine.
La fredda cronaca: il primo tempo è tutto della Juve, prima crea molto e mette in difficoltà Strakosha più volte, poi passa in vantaggio con CR7 che appoggia da un metro su assist di Bentancur (migliore in campo) che di lì a poco abbandonerà la partita causa incidente poco diplomatico. Seconda parte magistrale: la Juve chiude nella propria area tutta la Lazio. Arriva il 45° e gli uomini di Sarri finiscono in vantaggio la frazione, la Lazio segna ma i nostri erano già negli spogliatoi già da qualche minuto (di troppo).
Nel secondo tempo i bianconeri ci fanno la grazia di ripresentarsi in campo in tempo per l’inizio e giocano una partita europea cioè a darle e prenderle fino a quando Cuadrado decide di sdraiare Lazzari e becca un giallo che si trasforma in rosso. Juve in 10.
Per la Lazio è discesa, per la Juve diventa la Roma-Pinerolo.
2-1 subito con la squadra alta (in 10 vs 11) e Szczesny che ci tiene vivi fino a un minuto dalla fine, ma non ce n’è. Prima sconfitta stagionale, casuale (sul 1-1, 3 minuti prima del rosso a Cuadrado, Dybala si mangia un gol) ma meritata.
Complessivamente poteva andare peggio, ma ci si arriva al termine di un lento e costante declino che va avanti da 2 mesi tondi.
Va detto che è stata una gara iniziata benissimo e girata male quando Bentancur è stato costretto a uscire, ma l’incapacità di rialzarsi, di proporre gioco, accende una prima spia.
La seconda spia si accende sull’azione che porta al rosso di Cuadrado, con la squadra che lascia 80 metri alla Lazio.
La terza spia riguarda
il centrocampo: un buco nero che inghiotte giocatori e milioni di euro.
Tra infortunati temporanei e/o perenni, adattati, disadattati,
chierichetti, ex giocatori e piedi ruvidi tutti i nodi sembrano essere
venuti al pettine insieme.
Prendiamo ad esempio Emre Can:
gli è stato chiesto di sostituire Khedira, lo fa alla perfezione, anzi
meglio, tanto da farci rimpiangere Sami, che almeno era intelligente
(calcisticamente parlando eh…). Sentire la mancanza di Khedira è uno
scherzo beffardo del destino, lo stesso che alla fine degli anni 80 fece
diventare Jerry Calà un sex symbol: sono cose che succedono, non sai come, ma succedono.
Dispiace dirlo ma Can è un problema; non c’è con la testa, meno ancora col corpo. Trotterella seguendo l’azione, si dimentica il pallone, causa un quasi rigore con un intervento rischiosissimo in area, sbaglia appoggi semplici a 2 metri. Lui non c’è ed è un guaio, bello grosso.
Momento pompiere: è il calcio, lo conosciamo bene, una partita storta ci può stare soprattuto se arriva dopo 19 tra vittorie e pareggi ed è storta perché la Juve poteva vincerla in vari modi, portandosi sul 2-0, sul 2-1, gestendo meglio certe situazioni. Talvolta le partite, anche quelle giocate bene, girano su un episodio, lo sa chiunque abbia guardato un pò di calcio. E poi c’è sempre l’avversario che stasera ci ha creduto di più e sbagliato di meno quindi merita solo complimenti.
Ci sta, niente drammi ma è fondamentale sapere sempre a che punto della storia ci si trova. La bussola ci dice che questo è il momento in cui sapremo se la squadra segue Sarri oppure se finora è andata avanti solo per inerzia. A suo modo è un bivio decisivo e determinante: Per l’allenatore, per i giocatori e per tutti noi.
È l’occasione di fermarsi e riflettere su cosa va, cosa non va e dove si sta andando. Avanti tutta quindi, che “chi si ferma è perduto ma si perde tutto chi non si ferma mai”.
15a Serie A: Lazio-Juventus 3-17 min lettura
Dopo il pareggio interno dell’Inter, la Juventus era chiamata ad offrire una grande prestazione contro la Lazio. Questo è soprattutto vero dopo i segnali negativi del pareggio contro il Sassuolo, che – al di là del risultato comunque stretto – ha obbligato tutto l’ambiente a prendere coscienza della necessità di apportare migliorie urgenti. Nelle uscite dell’ultimo mese e mezzo, la squadra campione d’Italia ha infatti palesato piccole idiosincrasie che, quando sollecitate a dovere dagli avversari, sono diventate problemi ben più grandi. Parliamo naturalmente delle difficoltà a portare una pressione armoniosa con costanza, dei problemi a concretizzare la grande mole di gioco creata, e della tendenza ad allungarsi nelle situazioni di gioco più dinamiche.
Per queste ragioni, la partita contro la Lazio rappresentava un test importante, tanto più che la Juventus si trovava ad affrontare una delle squadre più in forma del campionato, reduce da 6 vittorie consecutive. Simone Inzaghi ha disegnato una squadra molto più eclettica delle sue versioni precedenti e, grazie ad un eccezionale momento di forma del suo attacco, si candida ad un posto nell’Europa che conta, per certi versi sorprendentemente. Il 3-5-2 del tecnico piacentino cerca sempre di dilatare le distanze tra i reparti avversari, accettando di giocare su un campo più lungo e confidando nell’elettricità dei propri interpreti. Il solido trio difensivo garantisce copertura e un giro palla basso sempre efficace, mentre la corsia di destra ha trovato in Lazzari un interprete molto più che affidabile, tanto che l’ex Spal non ha impiegato molto a prendersi la titolarità. L’attacco vive sì del momento di grazia di Immobile, ma l’attaccante azzurro può contare su un contesto congeniale e su dei compagni complementari: Correa ha finalmente trovato la continuità di prestazioni per ottimizzare l’indiscutibile talento, e Luis Alberto si è calato alla perfezione nel ruolo di mezzala creativa. Quando la Lazio non riesce a sfruttare i corridoi centrali, può sempre appoggiarsi a Milinković-Savić, con una densità e un tempismo eccezionali sulle seconde palle.
Sarri non concede cambiamenti radicali, ma costruisce la squadra sulle positività degli ultimi match. Nell’undici titolare trova quindi posto Bentancur, l’unica mezzala a garantire trazione e copertura nelle due fasi; a Bernardeschi viene chiesto di massimizzare il suo apporto difensivo schermando Lucas Leiva, mentre Dybala – unico vero imprescindibile della squadra in questo momento – affianca Cristiano.
Il piano gara della Juventus, immutabile nonostante un avversario ostico, ricerca la creazione di spazio nelle zone centrali del campo. Per contrastare questa strategia, Inzaghi ha ben pensato di stringere oltremodo gli esterni e chiudere così i mezzi spazi. Il 3-5-2 però fa molta densità in mezzo, e la Juventus si è vista costretta ad usare più del solito le corsie esterne, per stanare le mezzali biancocelesti. In particolare, è stata battuta tantissimo la traccia interno-esterno tra mezzala e terzino, specialmente sulla corsia di destra.
Uno degli aspetti più interessanti era il modo in cui Sarri avrebbe adattato il suo tridente alla difesa a tre della Lazio. Sarri ha scelto, almeno nelle prime battute, una soluzione ambiziosa: Dybala e Ronaldo prendevano Radu e Felipe, ed era addirittura Bernardeschi ad andare su Acerbi. Il numero 33 giostrava sulla traccia da Acerbi a Leiva, neutralizzando molto bene la prima costruzione laziale.
Questa strategia ha pagato a metà. Vista l’impossibilità di raggiungere il centrocampo, la Lazio non si è fatta troppi problemi a scavalcarlo in toto trovando una Juventus già lunga. La squadra di casa ha effettuato un gran numero di lanci, la maggior parte dei quali cercava Milinković-Savić o Immobile. Questo, assieme ad un’ottima conquista delle seconde palle, ha permesso alla Lazio di guadagnare metri in modo diretto.
Con il pallone tra i piedi, la Juventus è riuscita a muovere la Lazio molto bene. Le combinazioni strette trovavano sempre il terzo uomo dietro il centrocampo, e spesso avevano uno sbocco naturale sui piedi di Bentancur, mossosi benissimo dietro Luis Alberto. L’uruguaiano, finché è stato in campo, ha unito qualità e quantità muovendosi benissimo sia in spazi congestionati che in situazioni più dinamiche. Bentancur era riuscito a capire che c’era bisogno di movimenti ad elastico per stanare Luis Alberto e Leiva, dando credito a chi gli tributa una comprensione del gioco superiore. Questa strategia, unita ad un’esecuzione precisa, ha tolto campo e certezze al blocco della Lazio, che ha infatti avuto diverse difficoltà a stare dietro al palleggio bianconero, abbassando molto il proprio baricentro. La Juve ha così costruito palle gol importanti (Dybala due volte), e trovato la via del gol grazie ad un gran movimento sul lungo di Bentancur, al secondo assist consecutivo.
Attraverso un palleggio preciso, la Juventus è riuscita ancora a mascherare alcuni difetti della struttura posizionale, come ad esempio lo sfilacciamento a palla persa. La Lazio era più pimpante, più intensa, ma questa intensità è servita a poco finché la squadra di Sarri è riuscita a far correre il pallone più velocemente degli avversari e soprattutto a minimizzare le palle perse.
Con il passare dei minuti, però, il fraseggio si è fatto meno preciso, e le situazioni di possesso consolidato si sono trasformate in palle contese. La Juventus ha perso il controllo sulla partita nel momento in cui ha rinunciato a contendere le seconde palle. Non è un caso che si siano persi questi duelli proprio quando Bentancur ha dovuto lasciare il campo, dato che el Lolo è stato un vero e proprio rastrello in mezzo al campo. Senza la sua intensità, il dinamismo e la qualità della Lazio hanno avuto la meglio nelle zone nevralgiche del campo, e quindi sull’inerzia della partita.
I padroni di casa hanno allora guadagnato terreno e fiducia, potendo contare su maggiore qualità a centrocampo e su una maniera efficace di risalire campo. Emre Can, entrato malissimo in campo sul finire del primo tempo, è sembrato un pesce fuor d’acqua, sia per le capacità di decision-making, sia per il contesto tattico collettivo. La Lazio è riuscita così ad allungare la Juventus, creando terreno fertile per lanciare lungo (e tenere poi i palloni giocati su Milinković-Savić). Con il centrocampo bianconero in affanno, Luis Alberto e Correa hanno avuto gioco facile al rimorchio e si sono ritrovati più volte in conduzione fronte alla porta ai 20 metri.
Se da un lato è encomiabile il tentativo di tenere i principi di gioco posizionali anche in 10 (difesa alta, gioco centrale, ricerca del terzo uomo dietro la linea avversaria), è vero come ha detto Sarri in conferenza che la squadra ha avuto diverse difficoltà a giocare in inferiorità numerica per la rinuncia ad un ripiegamento difensivo. Questa volontà di stare alti ha scoperto il fianco alla verticalità della Lazio, tanto più che gli esterni bassi erano chiamati a dare una mano al centrocampo. De Ligt e Bonucci si sono trovati così a dover gestire transizioni impegnative con gli avversari – in superiorità numerica – già lanciati in corsa. In particolare, il contropiede subito su corner a favore nasce, anche secondo l’allenatore della Juventus, da una mancata esecuzione delle consegne tattiche con una seconda linea inesistente e un Matuidi che prima prova a prendere Luis Alberto, poi scappa all’indietro.
Quindi, che indicazioni possiamo trarre da questa partita? Da un lato, è inevitabile lodare i primi 40 minuti della partita, un dominio su ritmi di gioco ed avversari che avrebbe potuto e dovuto portare qualcosa in più. Dall’altro, questi 40 minuti hanno un artefice chiaro in Bentancur, il cui infortunio ci dà l’appiglio per cominciare a snocciolare le criticità emerse. Senza la sua qualità la Juventus si è persa, mostrando i difetti di spaziatura emersi nell’ultimo mese e mezzo. Se questa squadra ha mostrato di saper tenere la linea alta, il reparto avanzato deve ancora ottemperare alle richieste del tecnico in tema di contropressing, e con un baricentro così alto non è un lusso che può permettersi. Con Khedira e lo stesso uruguaiano ai box (e Ramsey inaffidabile) chi prenderà la casella di mezzala destra? Se l’infortunio si rivelerà una lesione del collaterale, bisognerà intervenire sul mercato? La partita con la Lazio ha esposto tutte le criticità dell’ultimo periodo. Per il campionato questa sconfitta sposta molto poco, ma qualcosina può dire sullo stato dell’apprendimento collettivo delle idee del nuovo allenatore, rallentato da infortuni e situazioni particolari che per ora la squadra sta faticando ad assorbire.