La conferma di un SOLO punto di penalizzazione e della partita persa non possono mai essere la giusta pena per una SENTENZA, quella della Corte di Appello Federale, con motivazioni così gravi.
Se il primo grado di giudizio era stato tenero nei confronti della mariomerolata di Aurelio de Laurentiis, dall’ Appello ci si sarebbe aspettato un inasprimento delle sanzioni, supportate da stralci della SENTENZA come
“La ragione per la quale una Società di calcio professionistico, ben consapevole del contenuto dei Protocolli federali in materia di gestione delle gare e degli allenamenti in tempo di COVID-19, per averli applicati più volte, debba chiedere lumi sulla loro applicazione alle Autorità sanitarie è difficile da comprendere e a tale condotta non può che attribuirsi altro significato che quello della volontà della Società ricorrente di preordinarsi una giustificazione per non disputare una gara che la Società ricorrente aveva già deciso di non giocare.”
L’ UNICA società al Mondo ad essersi rifiutata unilateralmente di scendere in campo raccattando alibi e scuse tra biglietti aerei, ASL e alberghi chiusi da ristrutturare per la bolla.
Già questo, da solo, potrebbe far configurare il reato più attinente con la sentenza stessa, ovvero l’ ILLECITO SPORTIVO, rimarcato e lasciato intendere nella chiosa finale della SENTENZA:
“la Società ricorrente merita di essere sanzionata con la sconfitta a tavolino dell’incontro, oltre alla penalizzazione di un punto in classifica da scontarsi nella corrente stagione sportiva, perché, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, non si è trovata affatto nella impossibilità oggettiva di disputare il predetto incontro, avendo, invece, indirizzato, in modo volontario e preordinato, la propria condotta nei giorni antecedenti all’incontro nel senso di non disputare lo stesso, con palese violazione dei fondamentali principi sui quali si basa l’ordinamento sportivo, ovvero la lealtà, la correttezza e la probità.”
Ma Sandulli, probabilmente anche per ragioni di simpatia calcistica o semplice pietà, non ha voluto infierire più di tanto, limitandosi a confermare il primo grado e corredando la SENTENZA con dei consigli di non esagerare oltremodo, perché più avanti nei gradi di giudizio il Napoli potrebbe non trovare tanta benevolenza. E magari incrociare la strada di un procedimento parallelo aperto dalla Procura Federale, quello per Violazione del Protocollo COVID.
E il CONI o il TAR dovrebbero portarli a rigiocare sì contro la Juve, ma contro la Juve Stabia.
E la Juventus? Cosa c’entra la Juventus? La Juventus c’entra con la benevolenza e la magnanimità che purtroppo, ultimamente, troppo spesso ci contraddistinguono.
La Juventus ha evitato, per stile e gentilezza, di entrare a gamba tesa nella questione, peggiorando, qualora possibile, la pessima situazione del Napoli. Scelta assolutamente sbagliata; a parti inverse avrebbero fatto scrivere anche ai bambini le letterine a Babbo Natale o le preghiere alle suore di clausura per chiedere penalizzazioni e giustizia. La Juventus doveva, come fa da anni, farsi carico anche della probità morale delle altre società che HANNO RISPETTATO il protocollo e le regole.
La Juventus aveva il dovere, per rispetto anche dei suoi tifosi, di presentarsi come parte lesa alla CAF per l’ immane figuraccia fatta agli occhi del Mondo per colpa delle bizze di un ex produttore cinematografico in cerca di sceneggiatura per il prossimo cinepanettone; cosa che dovrebbe valutare di fare anche Sky, soprattutto considerando il periodo di difficoltà per la diffusione di un prodotto sempre più scadente, costantemente in lotta con la pirateria e che con quella pagliacciata veniva messo definitivamente a rischio così come tutto il sistema calcio.
Forse l’ immobilismo di Agnelli, il sedersi sulla riva del fiume, è stato anche un gesto di “ringraziamento” nei confronti di Aurelio de Laurentiis per questi 9 anni di trionfi, un paio dei quali portano la sua firma per scelleratezze simili a questa. Un atto di pietà per chi probabilmente a gennaio vedrà un suo calciatore pagato 40 milioni di euro svincolarsi a zero e firmare per l’ “odiata”. Un’ultima di cortesia per chi da tre anni gli fa da scudiero all’ ECA, in modo da far rendere conto a tutte le big d’ Europa la differenza tra chi gestisce una squadra di calcio come se fosse una Grande Azienda proiettata verso la Superlega e chi invece crede sia il suo personalissimo teatro dei burattini pensando che sia lui a muoverne i fili mentre ne è solo un’altra maschera.
Quale? Una bianconera, naturalmente.
Mike Fusco da Ischia.
Juve-Napoli, D’Onofrio a CJ: «Ricorso al Coni? Dubbi sull’ammissibilità»
Una sentenza «politica», intesa come «gestione della pòlis», e un percorso, quello degli eventuali prossimi ricorsi tutto da decifrare: commenta la decisione della Corte sportiva d’Appello della Fgic, che ha confermato il 3 a 0 a tavolino per Juventus-Napoli e il punto di penalizzazione ai partenopei, il professor Paco D’Onofrio, avvocato e docente di Diritto Sportivo, intervenuto nel pomeriggio a Casa Juventibus, il talk show condotto da Massimo Zampini.
D’Onofrio ha subito sgomberato il campo da un «equivoco»: «Non era un derby sportivo tra Napoli e Juventus, anche perché processualmente i bianconeri non si sono costituiti in giudizio, ma semmai un confronto tra Napoli, Lega e Federazione. Un passaggio della sentenza mi ha colpito molto: quando nel condannare il comportamento del Napoli lo si è messo in relazione alla presunta lealtà sportiva verso le altre squadre, quelle menomate dal virus e che comunque hanno giocato a ranghi ridotti».
A chi ritiene che la sentenza sia troppo dura, l’avvocato replica sottolineando che il dispositivo sembra andare oltre la partita perché pone un tema centrale: «Bisogna giocare con lealtà, perché tutti i presidenti, a inizio campionato, hanno accettato una scommessa, ovvero che è possibile che non ci siano solo gli infortuni muscolari, articolari ma anche quelli virali. E chi in qualche modo voglia compensare questa eventualità, secondo il giudice federale, commette una irregolarità. Ecco perché la sentenza sia stata molto caustica, corrosiva, andando al di là della partita che praticamente non viene neanche quasi citata».
D’Onofrio ribadisce, come peraltro evidenziato nel tempo, quanto sostenuto nella sentenza, ovvero che il protocollo non sia solo un accordo tra società e federazioni: «Quello che si faceva passare era che l’Asl interveniva, perché in materia sanitaria non poteva farlo autonomamente la federazione. Un assunto sbagliato, perché in realtà quel protocollo è stato sottoscritto dal governo tramite il Cts (comitato tecnico scientifico, ndr), che è un’organizzazione superiore all’Asl benché quest’ultime abbiano una competenza territoriale inderogabile».
Per l’avvocato la sentenza ha un valore «politico», ma non nel senso che avevano attribuito molti media in queste settimane (ovvero di compromesso tra le parti), ma come «gestione della polis, della comunità»: «Qui – ha chiarito – si è dovuto proteggere l’organizzazione sportiva: ci si è dati delle regole e quelle regole vanno rispettate».
Del resto, la decisione della Juve di non costituirsi in giudizio, per l’avvocato, è stato un messaggio importante: «Non so quante altre squadre si sarebbero astenute dal costituirsi in giudizio e dal ribadire con fermezza il risultato portato a casa in primo grado. La Juventus ha deciso di non partecipare in questo processo, con una scelta molto intelligente ed elegante, perché ha capito che non si trattava di Juventus contro Napoli, ma che il Napoli doveva spiegare all’intero sistema calcio le proprie ragioni a sostegno della propria iniziativa. Questo è un valore ulteriore della sentenza».
Il punto ora si sposta ai passaggi successivi, soprattutto dopo l’annuncio da parte del Napoli di volersi rivolgere al Coni: «Non ho certezze – spiega D’Onofrio -, ma ho dei dubbi che si possa effettivamente ricorrere al collegio di garanzia, che non è un vero e proprio terzo grado automatico, come è stato l’Appello, in cui si chiede di rivedere i fatti e le premesse scrutinate dal giudice di primo grado e arrivare eventualmente a una soluzione diversa. Funziona in maniera differente: non si entra nel merito, ma si può vedere se nei primi due gradi ci siano stati errori da parte dei giudici, non siano state valutate delle prove o le motivazioni della sentenza siano contraddittorie o lacunose».
«A me sembra – prosegue – che questi presupposti non ci siano e che la criticità di un eventuale ricorso sia non solo sulla possibilità di essere accolto o meno, ma anche sulla sua ammissibilità. Le prove sono state già fornite e valutate, non vedo una contraddizione della motivazione che certamente è un’idea del giudice ma non è sindacabile dal collegio del Coni; non mi sembra ci sia neanche una carenza di motivazione, quindi, il problema è semmai è un eccesso di motivazione. Vediamo, insomma, se supererà il vaglio dell’ammissibilità».
Quanto all’ipotesi Tar, D’Onofrio precisa che la giurisprudenza possa cambiare ma sulla materia sia intervenuta la Corte costituzionale: «Nel 2011 e in modo conforme nel 2018, ha ribadito che le sentenze sportive nella loro determinazione sportiva sono intangibili: il Tar, quindi, eventualmente può predisporre un risarcimento al danno ma mai demolire il provvedimento amministrativo della sentenza sportiva».