Di Massimo Zampini
9 Dicembre 2020
Che notte, quella notte. Ed è tutto diverso, rispetto a quell’esaltante passaggio del turno di tre anni fa contro il Barcellona,
visto che al tempo serviva soprattutto una conferma di una squadra
all’altezza delle alte aspettative europee mentre ieri sera abbiamo
scoperto, senza neanche aspettarcelo, la prima grande Juve di Andrea Pirlo.
In comune, tra le due esperienze c’è solamente la reazione collettiva
con la quale il trionfale successo bianconero viene sminuito calcando la
mano sui problemi del Barça: “volitivo, generoso ma un po’ spento, copia sbiadita di se stesso e forse arrivato davvero a fine ciclo”,
si scriveva sul Fatto Quotidiano dopo quell’impresa del 2017 e più o
meno le stesse cose si leggono e ascoltano ora. In mezzo, un Barcellona
che (talvolta con le riserve) elimina Inter, Napoli e altre brillanti
squadre, ma quando tocca noi, che fortunelli, è sempre a fine ciclo.
Nulla di nuovo, sotto questo fronte, mentre in campo le novità e
le suggestioni sono infinite. Se dovessi dire cosa è mancato alla Juve
fino al Camp Nou, direi continuità, intensità, autostima,
concentrazione. Nella descrizione del nostro atteggiamento che ha
portato a questo 3-0, sono probabilmente i quattro termini che
utilizzerei prima degli altri. Una squadra che non molla mai, che fa per
tutta la partita quello che ha deciso di fare prima di scendere in
campo: all’inizio pressare, metterli sotto, fare paura e aprirsi la
strada per l’agognata vittoria con tre reti di scarto e poi, quando le
cose si sono messe bene, chiudere ogni spazio e ripartire, senza mai
distrarsi, concedendo tanti tiri, sì, ma senza mai tremare o rischiare
eccessivamente.
Continuità e concentrazione, quindi. Intensità, perché abbiamo sempre
cercato di essere corti, pronti, svegli, aggressivi sul possesso palla
degli avversari, salvo sapere aspettare quando era il momento di farlo.
E autostima, ecco cosa mi mancava. È una caratteristica che non ha nulla
a che vedere con la presunzione e la leggerezza che abbiamo scorto in
alcuni frangenti di questa stagione, come se le vittorie dovessero
arrivare per inerzia e ci si potesse dunque distrarre per un minuto o
per intere frazioni di gara. Autostima vuol dire essere consci della
propria forza, delle potenzialità, sapendo perfettamente che queste
virtù emergeranno solo ed esclusivamente se supportate, appunto, da
concentrazione e intensità.
Una serata perfetta, per un mare di motivi: per il primo posto nel girone che quantomeno ci garantisce di evitare Liverpool, Bayern, City e compagnia, con diverse insidie in seconda fascia ma è la Champions, bellezza, qualcuna di forte la becchi di sicuro; per Buffon, Bonucci e quella vecchia guardia che, misteri del tifo più strano del mondo, a volte viene guardata con sufficienza e perfino con insofferenza da chi anche grazie a loro ha esultato per 3000 giorni di fila; per Cuadrado, ormai difficilmente descrivibile senza scadere nella retorica; per Arthur e McKennie, già bocciati dopo un mese dal loro arrivo e invece chissà come andrà a finire; per Ramsey finalmente nel vivo, Morata straordinario anche quando non segna; per Ronaldo, che, a quanto ci dicono non è quello vero, e ci accontentiamo di questo farlocco.
E un pensiero, per chiudere, per Andrea Pirlo.
Bollato come inadeguato alla sua decima partita allenata in carriera, si
prende i complimenti per questa grande impresa, si mostra sicuro delle
sue idee e della sua squadra (“quando scende in campo con questa determinazione”)
e ricordando da subito che l’obiettivo è la serie A. Che se non
ricominciamo già da Genova a vincere due partite di fila, questo
successo non varrà già più. Che fare bene anche in Italia non è un
obiettivo, ma “un obbligo”.
Da raggiungere attraverso quelle quattro parole mai viste fino a ieri e
ritrovate tutte insieme nella serata perfetta. Proprio come quella notte
del 2017, contro quel Barcellona spento, sbiadito e a fine ciclo.