Perché, dice, la ASL non era obbligata a concedere i “benefici” previsti dal Protocollo (effettuazione di tamponi il giorno della gara, trasferta “in bolla” della squadra) ed ha scelto, avendone facoltà, di disporre solo l’isolamento fiduciario domiciliare, già dal 3 ottobre.
Le precedenti pronunce di Giudice Sportivo (GS) e Corte Sportiva d’Appello (CSA) avevano stabilito due principi: 1) fu il Napoli, con il suo comportamento, ad aver rinunciato unilateralmente a disputare la partita già prima che si verificasse una oggettiva e riconosciuta causa di forza maggiore (la comunicazione “finale” della ASL). 2) per il GS, ci fu un comportamento colposo della Società (diciamo un eccesso di timore e richiesta informazioni, quando c’era un protocollo noto da seguire), mentre per la CSA ci fu un “dolo di preordinazione” da parte del Napoli che nei giorni antecedenti alla partita aveva dato vita ad una serie di comportamenti atti volontariamente ad evitare di disputare la partita o comunque a crearsi una scusa per non poterlo fare.
Il Collegio di Garanzia, invece, nelle motivazioni uscite oggi, fa un discorso di gerarchia delle fonti. Sostiene che la fonte da prendere in considerazione debba essere la Circolare del Ministero della Salute n. 21463 del 18 giugno 2020, la quale prevede (al settimo comma) che la ASL possa (e quindi sarebbe una facoltà, non un obbligo) predisporre oltre alla quarantena dei contatti stretti, anche l’esecuzione del test il giorno della gara programmata, in modo da ottenere i risultati entro 4 ore dall’inizio della partita e consentire l’accesso allo stadio solamente ai soggetti negativi.
La ASL di Napoli, pur avendone facoltà, ha deciso di non avvalersi di questa procedura: avrebbe potuto applicare il comma 7, ma non lo ha fatto (e ha applicato il 6, ovvero ha trattato i calciatori come “semplici” cittadini). Per effetto di ciò, si può dedurre che la scelta di applicare un comma (il 6) piuttosto che un altro (il 7) da parte della ASL fosse ricavabile già dai comunicati del 3 ottobre (ore 16.03) e del 3 ottobre (ore 16.53) in cui si invitava all’isolamento fiduciario domiciliare per 14 giorni, senza fare mai menzione alla volontà di applicare invece anche il comma 7, quello che prevedeva tramite tamponi alla squadra di viaggiare.
Ciò renderebbe inutile un’analisi dei comportamenti del Napoli, non avendo l’ASL, per il Collegio di Garanzia, mai cambiato idea sulla sua scelta di applicare misure più “restrittive” di quelle del Protocollo ed essendo anzi il Napoli tenuto proprio a chiedere quale percorso la ASL avesse pensato nel suo caso. Non perdita di tempo, quindi, ma necessità reale di informarsi. Non mala fede, perciò, ma rispetto delle norme.
Antonio Corsa.
La sentenza di gennaio
I campionati si decidono a maggio. Quando vanno bene. Quando van male si decidono in inverno. Per Andrea Pirlo e la sua Juventus, il ritorno in campo contro l’Udinese e poi il filotto di grandi sfide prima degli ottavi di Champions saranno decisivi per le sorti della sua stagione. La brutta sconfitta contro la Fiorentina subito prima della pausa natalizia pesa, non ha lasciato entusiasmo, ma frustrazione nella mente dei giocatori. E ora c’è da ripartire, con convinzione – perché il lavoro fatto non è di poco conto – e con un po’ di fortuna. Visti i precedenti.
Sono proprio i precedenti negativi dei bianconeri a raccontarci che l’inverno non lascia scampo alle squadre non all’altezza dei vertici della serie A. Nella disgraziata stagione con Ciro Ferrara in panchina, la Juventus, dopo una lunga serie di prestazioni abbastanza interlocutorie, per non dire fortunose, riuscì a battere l’Inter e a portarsi abbastanza vicina dalla vetta. Quando la squadra tentenna ma i risultati ci sono, la pausa serve a correggere il tiro e ripartire con più forza. Ma le ultime tre partite prima della sosta furono un calvario: sconfitte contro il Bayern (fuori dalla Champions), il Bari e il Catania. La ripartenza a gennaio fu un incubo.
Ancora più emblematica la stagione di Delneri. La Juventus non era affatto male come quella dell’anno precedente, aveva gioco, idee, non era una macchina da guerra, ma sembrava crescere. L’ultima partita prima della sosta fu col Chievo. Sull’1-0 per i bianconeri, Krasic prese la traversa a porta vuota, poco dopo i Veneti pareggiarono su un errore di Sorensen (a proposito, i nuovisti davano il danese – una delle cinquemila meteore prese per fenomeni solo perché giovani e perché capaci di deambulare – pronto a rubare la maglia da titolare a Chiellini). Dopo un Natale con l’umore da occasione persa, la Juventus ripartì con il gravissimo infortunio a Quagliarella. Fine della stagione, Delneri non riuscì più a trovare una nuova quadra.
La gestione Pirlo può essere paragonata alle ultime due disastrose stagioni della Juventus? No. Anzitutto perché il valore della rosa è immensamente superiore. Ma anche perché il nuovo allenatore della Juventus dimostra di avere idee e coraggio. La sua Juve ha un’identità, ha un gioco, ha equilibrio e ha anche una duttilità tattica che può far ben sperare sulla gestione di eventuali momenti avversi, in termini di giocatori disponibili. Ma gennaio resta il mese delle grandi sentenze. Finora Pirlo ha dalla sua l’attenuante – non è un alibi, è un fatto oggettivo – di aver dovuto iniziare a lavorare con una squadra rinnovata senza avere di fatto un periodo di preparazione alle spalle (caso probabilmente unico nella storia del campionato).
Una condizione che ha messo, certo, la Juve in difficoltà rispetto a tutte le altre pretendenti allo scudetto, che invece hanno scelto la continuità. E anche chi, come chi scrive, ha criticato la scelta della società di affidare la panchina a un neofita, non può che riconoscere che il manico dell’allenatore in campo si vede. Ora, una nuova mini-preparazione c’è stata. C’è da sperare che il lavoro tattico e fisico possa pagare, c’è da sperare che l’esperienza di Pirlo come grande giocatore abbia aiutato a digerire un Natale improvvisamente amaro. Ma oltre a sperare nel fattore P (di Pirlo), c’è anche da incrociare le dita. Perché il momento è decisivo. E se alla lunga vince sempre il migliore, nel breve periodo, specie tra i campi ghiacciati di gennaio, il fattore C potrebbe risultare decisivo e la Juve non può permettersi di perdere altro terreno. No, C non è un allenatore, stavolta, è il fattore Caso.
Se la Juventus dovesse uscire positivamente dalle sfide che l’aspettano da qui a inizio febbraio, diventerebbe automaticamente la favorita dello scudetto. Se le cose andranno male, o anche solo così così, lo storico «decimo» diventerebbe un miraggio.