Ci hanno umiliato, annientato, sovrastato. Riscrivendo un doppio confronto che forse non avremmo meritato appieno di volgere a nostro favore non foss’altro perché l’Inter di San Siro è stata migliore anche della Juve atto primo. Non sono certe partite a costruire uno status, a coniare definizioni. Anzi, a ben guardare la strigliata può anche destrutturare quell’atteggiamento spocchioso e poco votato al sacrificio che mesi di vittorie consecutive hanno indotto. Eppure.
Eppure nella lezione impartitaci dalla splendida Inter di coppa Italia si può scorgere una storia già scritta, un ordine naturale delle cose, quel principio mistico per cui nel calcio tutto torna, basta aspettare che la trama in atto generi la prossima, ciclicamente ed inevitabilmente.
Ad esempio è quasi inevitabile la reazione interista dopo l’ultima banale vittoria bianconera allo Stadium. Vietato sorprendersi cioè se i milanesi scendono in campo più affamati di noialtri, e cacciano la palla come Di Caprio il pesce crudo in “The Revenant”,
vincendo ogni contrasto e braccando l’area nostrana con interpreti improvvisamente travestiti da indiani.
E’ normale, alla stregua del risultato di andata, che Allegri schieri la Juve-2 per far rifiatare quasi tutti i titolari, rendendo oltretutto incontestabile il ruolo di riserva attribuito a chi è sceso in campo, soffrendo la superiorità tecnica degli ambrosiani, non tirando nella porta di Carrizo per tutto il primo tempo e singhiozzando a centrocampo. E non è un caso se le prove di Rugani e Morata (peggiori in campo secondo chi scrive) siano da dimenticare, il primo non pronto a certi assedi con arieti e trabucchi, il secondo in preoccupante mancanza di incisività.
Non è uno scandalo e mai lo sarà se i vari Hernanes, Sturaro, Asamoah (delusione) omettono di affermarsi sulla mediana “flat four” proposta da Allegri giocando insieme per la prima volta. Non erano campioni prima, non sono brocchi adesso. Ed è di brutale realtà se Neto ci mette del suo nella quasi-rimonta nerazzurra: essere il secondo portiere non sempre dipende solo dalle qualità del primo, anche se costui si chiama Buffon.
Ci può stare dunque se ti chiami Juventus e arrivi ad una semifinale di ritorno sapendo che un gol chiuderebbe definitivamente i giochi qualificazione ed è naturale avere quelle 4 – 5 nitide occasioni da gol, anche se gettate al vento un po’ per sufficienza un po’ per fortuna. Rientra sempre nell’ordine delle cose se il rigore decisivo lo tira Bonucci, ancora trascinatore assoluto, onesto a fine partita ad ammettere la disfatta.
E’ assolutamente naturale perdere una partita dopo mesi ed è ancora più ovvio chiamarsi Mancini e raccontare che il gap mostrato con la Juventus durante tutto l’anno sia stato dettato solo da episodi. E’ normale sorprendersi quando Palacio stampa il rigore sulla
traversa e torna a metacampo rivolgendo ai suoi festanti (?) compagni un’espressione come a dire “non so se è entrata, facessero quello che vogliono”. Ancor più ordinario è il boato di gioia di San Siro, a svelare una percentuale di tifosi bianconeri superiore a
qualsiasi aspettativa.
Sentenziava Mastro Brera “certe stagioni sono più benedette di altre”.
Alla luce di tutto ciò, siete ancora sorpresi di essere in finale di Coppa Italia?