Un gol di Chiesa nel finale di gara riaccende le speranze e le possibilità di qualificazione della Juve, che al do Dragão si complica subito la vita, regalando una rete a Taremi dopo un minuto e mezzo, e concedendo il raddoppio a Marega appena dopo l’inizio della ripresa.
INIZIO SHOCK
Si possono preparare le partite in tutti i modi, studiando gli avversari, cercando di prevederne le mosse, valutando fino all’ultimo la formazione da schierare… poi basta un errore banale e non c’è tattica che tenga: non sono neanche passati due minuti sul cronometro e Bentancur, nel tentativo di alleggerire su Szczesny, serve un assist a Tarimi, che si fionda sul pallone e mette in rete, anticipando il portiere, il vantaggio per i portoghesi.
SI FERMA CHIELLINI
La Juve ha il merito di riprendersi subito, ma rischia ancora cercando di manovrare dalla difesa, quando Szczesny rilancia e il pallone viene intercettato da Sergio Olivera, il cui tentativo da fuori viene messo in angolo da una deviazione. Il Porto è squadra che concede poco e conferma la qualità della sua fase difensiva rimanendo compatto e portando tutti gli uomini dietro la linea del pallone ogni volta che i bianconeri passano la metà campo. A dieci minuti dall’intervallo si ferma Chiellini, sostituito da Demiral e quando ne mancano cinque la Juve si fa vedere in avanti con la rovesciata di Rabiot. Marchesin riesce a deviare, ma in ogni caso la posizione irregolare di Ronaldo vanifica l’azione. + 11
PRONTI, VIA E MAREGA RADDOPPIA
Se il primo tempo era iniziato male, la ripresa inizia peggio. Questa volta al Porto bastano meno di venti secondi per passare con l’incursione di Marega che, servito da Manafà davanti a Szczesny, infila il raddoppio calciando tra palo e portiere.
ACCORCIA CHIESA
La Juve è scossa e il Porto è ancora pericoloso con la percussione centrale di Oliveira che però calcia centralmente dal limite. Pirlo cambia intorno al 20′, inserendo Morata al posto di McKennie, ma i bianconeri non riescono a superare il muro dei portoghesi. Ci provano allora Bentancur e Danilo dalla distanza, alzando troppo la mira, quindi Chiesa viene servito centralmente da Ronaldo, ma il suo sinistro viene smorzato e Marchesín riesce ad arrivare sul pallone. Dalla parte opposta Szczesny deve ancora intervenire per bloccare un altro destro di Oliveira. Pirlo cambia anche Kulusevski con Ramsey e quando sembra che la Juve proprio non riesca a pungere, arrivano la fuga di Rabiot sulla sinistra e il traversone basso per Chiesa che, libero a centro area, colpisce al volo e infila nell’angolino. I bianconeri hanno anche un’opportunità per pareggiare, quando Ramsey libera Morata davanti a Marchesín, che però riesce a respingere. È l’ultima occasione, perché il Porto tiene e riesce a portare il 2-1 sino al fischio finale. Il gol di Chiesa tiene vive le chance della Juve, ma a Torino, nel ritorno del 9 marzo, servirà una partita diversa.
PORTO-JUVENTUS 2-1
RETI: Taremi 2′ pt, Marega 1′ st, Chiesa 37′ st
PORTO
Marchesín; Manafá, Mbemba, Pepe, Zaidu; Corona (46′ st Loum), Uribe, S.
Oliveira (46′ st F. Conceicao), Otavio (13′ st Luis Diaz); Marega (21′
st Grujic), Taremi
A disposizione: Diogo Costa, Sarr, Loum, Joao Mario, Barò, Anderson, Nanu, Evanilson, Martínez
Allenatore: S. Conceicao
JUVENTUS
Szczesny; Danilo, de Ligt, Chiellini (35′ pt Demiral), Alex Sandro;
Chiesa, Bentancur, Rabiot, McKennie (18′ st Morata); Kulusevski (32′ st
Ramsey), Ronaldo
A disposizione: Buffon, Pinsoglio, Bonucci, Di Pardo, Frabotta, Bernardeschi, Fagioli, Dybala
Allenatore: Pirlo
ARBITRO: Del Cerro Grande (ESP)
ASSISTENTI: Yuste (ESP), Fernandez (ESP)
QUARTO UFFICIALE: Sanchez (ESP)
VAR: Hernandez (ESP), De Burgos (ESP)
AMMONITI: 18′ st de Ligt, 37′ st Danilo, 42′ st Demiral, 47′ st Alex Sandro
Porto-Juve 2-1:Tafazzi è juventino
Da anni ormai febbraio porta in dote il ritorno della competizione calcistica più prestigiosa.
I calendari sono fissati da tempo, lo sanno anche quelli che non sanno
nulla di calcio che a metà febbraio ci sono gli ottavi di CL. Non è che
avvertono il giorno prima, come il governo con le chiusure di
ristoranti, palestre e impianti sciistici: quando a Torino hanno
programmato la stagione lo sapevano DA MESI che il 17 febbraio avrebbero
disputato l’andata degli ottavi di CL. Non è una novità di questa
stagione eh, è così già da un po’.
Eppure, per il terzo anno
consecutivo, la Juventus si è presentata in campo totalmente
impreparata, non concentrata, non centrata.
“Dove siamo?” “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?” Boh
Del Porto si sapeva che è bravo a difendersi e ripartire veloce. Guai quindi a fargli fare la partita a loro congeniale, cioè farli passare in vantaggio per potersi chiudere.
E infatti dopo un minuto e mezzo il duo comico Szczesny/Bentancur replica la frittata già vista a Milano con l’Inter in coppa italia, solo che stavolta non c’è Sanchez, o Demiral sulla sua strada, ma un iraniano che da 3 metri infila la porta arancione segnando un gol che è una mazzata sui denti per squadra e tifosi e la certificazione di una teoria che ormai è scienza esatta: non esistono le partite giocate male perché la testa era altrove, alla Coppa o chissà dove. L’unico modo per preparare bene la partita europea del mercoledì è giocare BENE quella del sabato (o della domenica).
Nulla cambia nel secondo tempo, anzi.
Tutto peggiora, con un inizio se possibile ancora più horror rispetto alla prima frazione.
Disastro in difesa, raddoppio del Porto dopo 23 secondi.
E meno male che questa Juve, agli occhi di qualche esperto, era più
adatta a competizioni ad eliminazione diretta perché approcciava meglio
alle gare…
Invece i bianconeri, da Pirlo in giù, si vestono da Tafazzi ma senza conchiglia.
I cambi sono tardivi, considerando che sarebbero dovuti arrivare dopo 30’.
In realtà una sostituzione dopo mezz’ora abbondante la vediamo. È il
forfait di Chiellini, su cui è giusto spendere 2 parole. In questo breve
periodo ha fatto in tempo a dimostrare 2 cose e ottenerne una terza: 1)
è ancora un difensore fenomenale 2) il fisico gli ha detto basta ma lui
non lo vuole accettare e la società non lo vuole capire infatti 3) ha
ottenuto il rinnovo.
Gli ultimi scampoli della sua carriera non
intaccano la sua splendida storia, ma ne sporcano il ricordo e ci danno
il quadro di come in società preferiscano affondare coi violinisti che
ancora suonano mentre la nave va a picco.
C’è sicuramente poca
scelta in panchina, ma a volte conta anche dare un segnale, una scossa,
qualcosa… e invece niente: ogni volta che lo inquadrano, Pirlo ha lo sguardo perso nel vuoto di Bush in Fahrenheit 9/11 quando gli dicono dell’attacco alle torri gemelle.
L’unico vero lampo di luce, dopo aver rischiato di prendere il terzo gol, arriva da una palla di Rabiot che Chiesa trasforma nella rete della speranza. Una fune lanciata in mezzo alle sabbie mobili dove i bianconeri si sono cacciati, come da copione immutato delle ultime stagioni, in una specie di giorno della marmotta dove ci svegliamo e buttiamo via ogni volta un tempo, o una partita. Come si possa sbagliare approccio alla stessa identica maniera, con 3 allenatori diversi in tre stagioni diverse è inspiegabile. Oppure spiegabile con la teoria di un allenatore, ancora oggi a libro paga, che definì questa rosa “inallenabile”.
Restiamo attaccati al punteggio, che è grasso che cola, e all’avversario che è organizzato ma non insuperabile, ma che disastro e che tristezza vedere una Juve così fuori giri, mai sul pezzo, mai senza idee e piena di paure. La Juve che perde e non impara. Mai.
Attendiamo il 9 marzo, nel frattempo speriamo o tremiamo. Tremerà Pirlo, e forse pure i giocatori. Di sicuro dormirà storto Agnelli, autore principe della sceneggiatura che lui ha voluto scrivere di suo pugno e che i suoi uomini stanno trasformando in film (horror) e tremerà ancora di più pensando all’eco che faranno le casse della società casomai al ritorno dovesse accadere l’impensabile…
Notte horror a Oporto: 2 gol regalati e Juve aggrappata a Chiesa
È amara la trasferta di Oporto per la Juventus di Andrea Pirlo, che esce sconfitta di misura dal Do Dragao, per mano di un Porto compatto e capace di una partita di carattere, agevolata dalla serata horror dei bianconeri. Finisce 2 a 1 per i padroni di casa, con le reti segnate all’avvio di ogni frazione grazie agli errori clamorosi della retroguardia della Juve, ma, alla fine, poteva persino andare peggio perché la rete finale riapre di fatto i giochi.
Tutt’altro che felice, dunque, la ripresa dell’avventura in Champions League. È un inizio shock quello della Juve che decide praticamente di farsi gol da sola: la partenza del basso viene gestita male da Bentancur, nei panni di regista, che non si accorge dell’arrivo dell’attaccante del Porto Taremi e si concede un retropassaggio scialbo e leggermente laterale su Szczesny, su cui la punta avversaria si avventa per il più comodo dei gol.
È già 1 a 0. La Juve prova una timida reazione ma la partita sembra l’esatta fotocopia della sfida dell’anno scorso con il Lione e di quella di sabato scorso contro il Napoli: ritmo basso, poca cattiveria, nessuna incisività dai trenta metri in su con uno sterile possesso palla che non produce nulla. La squadra non arriva mai ad essere pericolosa.
E siccome i guai non arrivano mai da soli, verso la fine del primo tempo si ferma pure Chiellini, che sente dolore dopo un movimento anomalo e chiede il cambio. Dentro Demiral che ricompone con De Ligt la coppia della partita contro l’Inter.
Sul finire del primo tempo, sugli sviluppi di palle da fermo la Juve tenta di dare un segnale facendosi vedere dalle parti della retroguardia portoghese. Si va negli spogliatoi con la speranza che l’atteggiamento nella ripresa cambi.
Invece, pronti via, la squadra prende subito il 2 a 0, con un’azione sulla fascia destra che non viene interrotta e che permette all’altro attaccante, il gigante Marega, non proprio per la stazza velocissimo, di depositare la palla nell’angolino tra cinque giocatori della Juve immobili a guardarlo.
Sembra l’epilogo dell’ennesima stagione storta di Champions, con una Juve incapace di costruire trame ragionate e che rischia in un paio di contropiedi addirittura il colpo del definitivo 3 a 0.
La rete della speranza arriva a circa dieci minuti dalla fine, con un’azione di Rabiot, che riesce ad entrare in area dalla sinistra e a tagliare la difesa con un passaggio in orizzontale su cui, dall’altro lato, arriva Chiesa che incrocia per il 2 a 1 che sorprende Marchesin e riapre il discorso qualificazione.
È in questa fase che la Juve riesce a produrre il miglior sforzo offensivo e a sfiorare addirittura il gol del pareggio con Morata. Nel finale furia di Ronaldo che reclama un rigore proprio allo scadere del recupero. L’arbitro dice di no e manda tutti negli spogliatoi per il definitivo 2 a 1.
Servirà l’ennesima impresa alla Juve per proseguire una campagna europea che fin da subito si è dimostrata più insidiosa di quanto in molti credevano. Colpa anche dell’atteggiamento sbagliato della squadra e di errori imperdonabili in fase difensiva. Fra quindici giorni ribaltare il risultato non sarà scontato ma dovrà essere categorico.
Porto-Juve, il ritorno degli spettri
Un minuto e arriva il gol più surreale.
Un minuto e la Juventus cade in un incubo inatteso, che non tornava da molti anni: la paura. Il Porto continua ad aggredire, le gambe dei giocatori bianconeri si fanno pesanti, le certezze se ne vanno, quel tocco di troppo, quell’attimo di attesa dettato dall’esitazione fanno il gioco degli avversari. La squadra sbanda, sembra in apnea, i giocatori vorrebbero scomparire dal campo.
Non è una questione tecnica, non è una questione tattica, è solo un problema di testa. Lo dimostra il fatto che i giocatori in campo sbagliano anche i passaggi elementari, lo fanno persino i più bravi: errori da almeno tre categorie inferiori. La Juventus perde poi quasi tutti i contrasti, spesso neppure li affronta, fa il passo indietro.
Sono gli spettri del peso della responsabilità che ricade su una squadra più forte quando, contro avversari più deboli, in un confronto diretto che non consente di sbagliare, sente venire meno le sue certezze. Sono situazioni che non succedono quasi mai contro le grandi squadre, quando si lotta su ogni pallone anche quando le cose vanno male, perché c’è niente o poco da perdere. Succede solo da favoriti. È una cosa che nel calcio succede spesso, è successo anche alla Juventus. Era accaduto non molti anni fa, quando le gambe tremavano contro un Copenaghen o contro un Galatasaray, e non per caso le partite migliori si vedevano invece contro il grande Real Madrid.
L’ultima volta che la Juve ebbe le stesse paure in una partita alla sua portata fu contro l’Olympiacos, nel 2014. Sono meccanismi che scattano quando si gioca una sfida dentro-fuori, come lo fu sette anni fa la partita di Torino contro i greci, quando, pur nel girone, i giocatori della Juventus si giocavano la qualificazione in quella partita. I bianconeri andarono nel pallone, finirono sotto nel punteggio e solo a quel punto la disperazione prese il sopravvento sul terrore, con un’ultima mezz’ora di livelli altissimi in cui la Juve portò a casa il risultato.
Succedono spesso queste situazioni, alle squadre buone e meno buone. Ma dopo quella partita contro l’Olympiakos la Juventus diventò qualcosa di più, diventò una grande squadra, che non solo imparò a combattere alla pari con le grandi d’Europa, ma fu in grado di assicurarsi un dominio mentale, oltreché tecnico, contro tutte le formazioni di rango inferiore. Una Champions si vince così giocando alla pari con le grandi e senza rischiare nulla con le piccole.
Sette anni dopo quel laborioso processo di maturazione, la Juventus sembra aver fatto un grosso passo indietro. Non tecnico, perché i lusitani sono sensibilmente inferiori ai bianconeri, non tattico, perché la qualità di uno scaglionamento diventa del tutto inutile se si sbagliano passaggi di 3 metri. Un passo indietro di mentalità. È tornata la paura, la paura di sbagliare quando non puoi permettertelo. E Il Porto con straordinaria lucidità e ferocia ha capito che il ritorno in campo nel secondo tempo non doveva lasciare spazio all’autostima della Juventus. L’aggressione che ha portato il secondo gol non è casuale, è una scelta misurata e saggia fatta nello spogliatoio, perché, anche se il gol non fosse arrivato, quella situazione avrebbe di nuovo minato le certezze dei giocatori bianconeri, che a loro volta speravano nell’efficacia del reset fatto nell’intervallo.
Non dovrebbe succedere, non deve succedere che una grande squadra abbia più di cinque minuti di queste cattive sensazioni. Una grande squadra può sì finire in un momento da incubo, ma breve, e di solito lo supera facendo girare palla in modo sterile, il tempo che serve a rigenerare la testa. Che cosa serva per far scattare una molla diversa in una squadra che finisce nel panico è difficile dirlo, ma lo scatto serve, in questo l’allenatore ha un ruolo cruciale. È evidente invece che contro il Porto la Juventus non abbia portato in campo sufficiente tranquillità – spesso un eccesso di tensione può essere controproducente –, sembra quasi che dopo l’ultima partita contro il Napoli, giocata sotto ritmo, sia stata, per una scelta nefasta, caricata fin troppo. Non è un caso se la Juventus dopo la bella azione che ha portato al 2 a 1 abbia rischiato subito di pareggiare.
Dopo la partita, anche Andrea Pirlo ha ammesso che dopo un gol come quello incassato in apertura “un po’ di paura ti viene, ti mancano le certezze“. Ha ragione, la diagnosi è corretta, ma il medico che deve curare la malattia e scacciare gli spettri è proprio lui.