Se la vita del tifoso juventino già in tempo di pace (leggi vittorie) era dura e fondamentalmente di trincea, ora che è scoppiata la guerra è pure finita la tregua. Tutti contro tutti, nessuno escluso.
Io invece sono sereno e fiducioso nei confronti di chi è riuscito a
creare un ambiente in grado di vincere per ben 9 anni consecutivi. Nove
anni.
Julio Velasco in una delle sue tante e belle interviste ha detto che la cosa più difficile nello sport è vincere dopo che si è vinto,
correre con la pancia piena per non perdere il vantaggio conquistato su
quelli che stanno correndo perché hanno la pancia vuota. Vincere dopo
che si è vinto, la cosa più difficile. E la Juve ci è riuscita per 8
volte di fila.
Per questo voglio condividere con voi un mio pensiero e mai come stavolta mi mancheranno i commenti sotto a questo pezzo:
Io sono ottimista sul futuro della Juve perché la situazione attuale è un gran casino e di solito in questi casi la soluzione “è molto semplice”:
Quando sovverti l’ordine naturale delle cose è normale che sopraggiunga il disordine, il caos, la stagione 2020/21.
Di Andrea Agnelli abbiamo sempre apprezzato le capacità di gestione aziendale,
mai quelle calcistiche. Per quanto ne sappiamo il presidente potrebbe
non capirne nulla di pallone e la cosa sarebbe lo stesso ininfluente. AA
è il direttore di giornale che fa vendere tante copie ma scrive poco,
non è mai stato Indro Montanelli e nessuno gliel’ha manco nemmeno
chiesto.
Allora per riportare l’ordine delle cose lui per primo deve
tornare a scegliere e coordinare la gente. Dare ordine alla struttura e
rispettare per primo lui stesso le regole che impone alla sua squadra.
Il DS deve fare il DS
e scegliere in autonomia, indubbiamente rispettando certi paletti
imposti dalla proprietà ma oltre a questo perimetro nessuno si deve
intromettere, nemmeno il presidente. Perché è vero che è “il capo” ma
non per questo la domenica si veste da calciatore e scende in campo.
Allora si torni a dare pieno appoggio al direttore sportivo:
se sbaglia paga, ma deve sbagliare lui, con le sue idee, non con quelle
degli altri, sennò non può nemmeno essere giudicato per il suo lavoro.
Scendendo nella scala gerarchica, in panchina ci deve tornare un allenatore. Non un amico.
L’amicizia nel lavoro troppo spesso appanna la vista, assottiglia i
confini, rende difficilissimo tirare una riga e fare onestamente i
conti. Sono dinamiche note a chiunque, non c’è bisogno di essere
direttori di grandi aziende, parliamo di schemi e convenzioni che si
ripetono ad ogni livello.
Io ho un amico che per me è come un
fratello e fa l’infermiere (è bravissimo) ma se mi dovessi operare di
appendicite non mi farei mettere le mani addosso da lui manco morto.
Allora in panchina ci deve tornare un allenatore, non un amico. Un allenatore con la A e pure esperto. Che sappia guidare il transatlantico che è la Juve, non uno che fino a un anno fa manco voleva guidare un gommone.
E poi i giocatori: inutile tenere in rosa chi non ne ha più, anche se sono amici, anche se hanno scritto pagine storiche. Se l’inchiostro è finito non c’è niente da fare. Si organizzeranno le vacanze insieme. E, nel tempo che serve, tagliare i rami secchi, quelli che alla Juve hanno dimostrato di non poter più stare.
Ci vuole ordine insomma. Ordine e gran parte dei problemi si sistemano, a partite dal 2021/22.
Forza presidente, forza Juve: è molto semplice.
Willy Signori.
Juve, il futuro è restare aggrappati alla stagione
Ci sono quattro immagini che raccontano il disastro dello Stadium contro il Benevento: la prima è quella di Pirlo che attorno al 60’, con la squadra incapace di una produzione offensiva davvero efficace, continua a predicare “calma” mentre l’inerzia della gara implicherebbe un’accelerata; la seconda è lo stop di coscia in area di Morata col pallone che scappa via come se avesse provato a fermare una palla medica; il terzo è quando Arthur decide di dare un pallone orizzontale in area su cui si avventa Gaich e Danilo non affonda per paura di commettere fallo per il gol del Benevento; il quarto è il rigore clamoroso di Chiesa poco dopo il vantaggio dei sanniti non visto da Abisso e dal Var, l’immagine che quando una stagione non gira neanche gli episodi aiutano.
Per molti è il punto più basso della storia di questo decennio bianconero, molto simile alla traiettoria della Juve pre-Conte, quella dei settimi posti con la differenza evidente di una rosa all’epoca decisamente più scarsa.
La difficoltà oggi è duplice: da un lato, individuare le responsabilità di un’annata decisamente al di sotto delle aspettative e, dall’altro, restare aggrappati a una stagione che non è conclusa e che non può prescindere dal raggiungimento minimo dell’obiettivo qualificazione Champions, vista la crisi del calcio ai tempi della pandemia e l’assenza di risorse alternative per programmare il futuro.
Sul primo punto, a sentire i tifosi giustamente inferociti per i risultati della squadra, sono tutti responsabili: Pirlo, Paratici, Nedved, Agnelli, i giocatori, preparatori, staff medico. Ma, al di là dello scoramento e della rabbia, occorre dire che non sia realistico pensare che paghino tutti e che, l’anno prossimo, si possa, per possibilità economiche e tempistiche, immaginare di cambiare da cima a fondo protagonisti e sistemi e, nonostante questo, avere una squadra che torni subito competitiva oltre che per il campionato anche per la Champions. Serve semmai individuare correttamente le responsabilità senza un repulisti caotico e chiarendo le certezze da cui provare a ripartire.
Il secondo punto è forse quello più difficile, perché mentalmente c’è la voglia di passare già all’anno prossimo ma la verità è che mancano ancora delle gare e il futuro di questa Juve non è ancora deciso del tutto, non in chiave scudetto, ma in ottica Champions: le prestazioni di Napoli e Atalanta, tra l’altro avversarie prossime della Juve, impongono di concentrarsi sulla conquista di un posto nella competizione che più conta e se solo qualche mese fa appariva tutto scontato oggi non lo è più. Mentalizzarsi sull’idea che la stagione non è finita è ciò che conta per utilizzare le energie residue per un traguardo minimo che cambia comunque tanto in prospettiva futuro e mercato.
Perché col Benevento si è chiuso il ciclo dei nove scudetti consecutivi, ma non ancora quello di una Juve capace di restare vincente: e nella stagione peggiore portare a casa una supercoppa, una coppa Italia e una qualificazione Champions sarebbe un modo per dare continuità a un percorso, nonostante agli occhi dei tifosi, possa sembrare tutto più riduttivo e meno glorioso.
La Juventus e le scelte di fine ciclo
Ovvero perché la Juventus ha bruciato tutto il vantaggio e la necessità di avere un allenatore in grado di creare valore e dare certezze.
Sono un tifoso della Juventus.
Domenica stavo male. Mi veniva da piangere, perché perdere in casa col Benevento giocando così male è qualcosa che ti stringe il cuore.
Chiaramente è l’immagine della fine di un ciclo, almeno in Italia, perché in Europa fatichiamo tremendamente da tre anni, che si è tentato in tutti i modi di prolungare fino a quando è stato possibile. Nelle stagioni passate ci si domandava come avrebbe potuto la Juventus perdere quell’incredibile vantaggio che aveva meritatamente costruito; le risposte, perché non ne esiste solamente una, vanno ricercate e ritrovate nelle scelte compiute in questi mesi.
- La Juventus ha investito centinaia e centinaia di milioni nel corso degli anni. A partire dal 2016, come ricordato da Antonio Corsa nel suo ultimo articolo, la società è intervenuta pesantemente sul mercato, quasi con una ingordigia senza freni particolari. Vedere la sequenza di giocatori acquistati nel corso di questi anni desta particolare impressione, perché sono passati calciatori di qualità assoluta. La Juventus ha sempre avuto nettamente la squadra più forte, ha vissuto la propria epoca d’oro mentre le altre venivano gestite malamente, avevano allenatori modesti, giocatori di dubbio e scarso valore. Eppure, non ha mai costruito la squadra sulla base delle idee dell’allenatore di turno. Questo è stato un grande errore, perché qualsiasi “visione” tecnica deve passare per le convinzioni e le idee di chi siede in panchina. Direttore sportivo e allenatore devono lavorare in sintonia totale sulla base di un modo di giocare che viene scelto dalla società e per il quale viene scelto il professionista.
- L’allenatore, come detto giustamente da Massimiliano Allegri, è un valore aggiunto. Perfetto. Crea valore, aggiungo. Il ciclo della Juventus è iniziato con Antonio Conte che, per carità, ha i suoi mille difetti e sono tutti noti, ma è un incredibile ed eccezionale professionista. Conte ha rivoluzionato la mentalità della squadra, ha lavorato sui singoli, migliorandoli notevolmente, creando organizzazione e struttura. Ha dato certezze. Costruito leader tecnici (la BBC, per esempio, Marchisio e Vidal), plasmato giocatori. Tutto questo lo sta facendo all’Inter, perché Conte è bravissimo. Dopo quel triennio, fortunatamente la scelta è ricaduta su Massimiliano Allegri. Ai giocatori serviva un gestore, bravissimo a preparare le partite, a infondere tranquillità, consapevolezza, fiducia. Allegri, per usare una fortunata definizione di Kantor, è stato furbo e intelligente. Ha lavorato benissimo su quanto ha trovato, ha infuso tranquillità, ha costruito la squadra sulla difesa più forte in circolazione (la leggendaria BBBC creata da Conte). Una squadra di campioni che sapevano giocare bene a calcio, tanto da non dover insegnare a loro quasi nulla, come detto dallo stesso Allegri. Giusto fare questo? I risultati dicono di sì – e che risultati sono stati ottenuti -, ma i singoli sono stati migliorati? Si è lavorato in sintonia con la direzione sportiva? Mentre Marotta e Paratici continuavano a investire su giocatori di qualità e portatori di un gioco più offensivo, la Juventus era ancorata alle proprie certezze, una magistrale difesa posizionale che viveva grazie alla applicazione costante e feroce delle idee del proprio allenatore. Dani Alves, Higuain, Pjanić, Cristiano Ronaldo, Douglas Costa ecc non sono però i giocatori adatti per fare questo. Se prendi questi giocatori, scegli un altro allenatore. Perché il risultato è stato quello di salutare come un alieno bizzarro Dani Alves, vedere intristito e imbolsito Higuain (colpa sua, anche), avere Pjanić trasformato in buon regista, far segnare poco Cristiano Ronaldo. Il fuoriclasse portoghese è stato acquistato per vincere subito e per farlo in Europa: sembrava il matrimonio perfetto, quello tra l’allenatore vincente e il campione. Eppure non ha funzionato, perché Ronaldo ha bisogno di un contesto che è quello di una squadra offensiva, che macina occasioni da gol, che fa toccare a lui palloni in area: serviva una organizzazione diversa ed efficiente.
- Quello che la Juventus, intesa come società, poteva cogliere era la necessità di avere un allenatore più in linea con la propria visione? Capace di lavorare sui singoli? Parlano i fatti, perché dopo Allegri è stato scelto Sarri, dopo un’estate in cui si ventilava il nome di Guardiola. Ve lo immaginate a dover fare i conti della serva con Paratici? A sentirsi dire “i giocatori li scegliamo noi”? Sarri è certamente un eccellente allenatore di campo – per lui non parla solo il Napoli -, ma è stato un innesto sbagliato e quasi subito rigettato. Bisognava conoscere come Sarri vive lo spogliatoio, come si confronta con la società, come dialoga con i giocatori stessi. A maggior ragione se questi sono convinti e certi che si vinca in una determinata maniera. Non è facile andare da chi ha vinto 8 scudetti di seguito e dire che si può vincere tranquillamente in una altra maniera: bisogna sapersi porre, avere la giusta credibilità e autorevolezza, avere il supporto constante della società e della proprietà. Soprattutto, qui è il punto, serve apertura mentale, voglia di aprirsi a nuove certezze da parte dei giocatori.
- Poi arriva Pirlo. Ed è stata una scelta morattiana per eccellenza. La Juventus ha vissuto una stagione iniziata con l’entusiasmo, con la restaurazione stilistica, ma crollata pian piano di fronte alla mancanza di certezze, ordine. E il ciclo finisce nel momento in cui hai necessità di avere un allenatore di campo in grado di costruire, lavorare e migliorare i singoli, garantire loro una identità, forgiare i nuovi leader tecnici. La scelta di un allenatore esordiente assoluto, amico e conosciuto, sembra quasi il manifesto del “tanto abbiamo i giocatori più forti, vincono loro”. E invece no. No, perché nonostante la rosa più forte e con due fuoriclasse come De Ligt e Cristiano Ronaldo, l’Inter con Conte ha costruito quella organizzazione che dà loro fiducia e con diversi singoli migliorati (Bastoni e Barella, per esempio). Chi è migliorato dei nostri giocatori? Forse Chiesa che oggi è lo stesso di Firenze? Forse Kulusevski che rischia di confondersi e perdersi?
Cosa fare? Boh, un esempio è in casa. Non come la Ferrari, per esempio. Quanti tecnici e piloti di valore sono stati bruciati nell’ultimo decennio? Una ecatombe a ben pensarci. La Juventus deve ripartire collegando visione – uso termine di Paratici – societaria a competenza e merito. Cosa ci serve? Scegliamo come vogliamo giocare, prendiamo un allenatore bravo a costruire certezze vincendo subito, uno che crei valore, appunto. Spogliamoci completamente dal “si è sempre fatto così” che è il modo perfetto per finire male. Abbiamo bisogno di aprire porte e finestre, far entrare nuova aria, resettare e ripartire. Rimettiamo al centro competenza e merito, ovunque, a partire dal campo.